Il tema dell’innovazione digitale e del gap sempre più ampio che separa il nostro Paese dalle realtà più avanzate in Europa e nel mondo è tornato sotto la luce dei riflettori lo scorso 31 gennaio, quando un centinaio di esperti che lavorano sui temi dell’innovazione e dell’ICT, fra universitari, manager e imprenditori, si è autofinanziato per pubblicare sul Corriere della Sera la richiesta di dare al Paese un’Agenda Digitale. Tra le righe, si legge un’urgenza di cui solo ora sembra esserci piena consapevolezza: è in gioco il futuro della nazione, perché il treno dell’innovazione sta passando veloce e se l’Italia non sale a bordo subito rischia di perderlo definitivamente. Sembrano essere in tanti a pensarla in questo modo, se in due mesi l’appello ha superato quota 20.000 sottoscrittori sul sito e oltre 10.000 aderenti alla pagina Facebook. Alcuni politici, di diverso orientamento, ed esponenti del Governo italiano hanno già attivato al loro interno dei gruppi che discutono di questi temi, mentre l’appello ha ricevuto il plauso del Vicepresidente del Parlamento Europeo Gianni Pittella e del Vicepresidente della Commissione Europea Neelie Kroes che ha la delega sull’Agenda Digitale Europea.
Ne parliamo con Francesco Sacco, uno dei promotori dell’iniziativa, esperto di innovazione e docente dell’Università Bocconi di Milano e dell’Università dell’Insubria di Varese.
Professor Sacco, qual è l’obiettivo dei sottoscrittori dell’appello?
L’iniziativa è nata per chiedere al mondo della politica di elaborare una strategia organica per digitalizzare il nostro Paese. Non per proporne una in particolare – tra gli stessi sottoscrittori dell’appello le visioni sono molto diverse – ma per chiedere alla politica di darsene una, ma che sia coerente e unitaria, capace di fare compiere all’Italia un salto in avanti nel suo processo di modernizzazione di cui c’è tanto bisogno.
Avete chiesto una risposta entro cento giorni: è necessario fare in fretta?
Secondo il Networked Readiness Index del Word Economic Forum nel 2010 l’Italia si posiziona al 48º posto nel mondo in quanto a capacità di trarre profitto dall’ICT. Nel 2009 eravamo al 45º posto. Davanti a noi non ci sono soltanto quei paesi che sono tradizionalmente in competizione con i nostri produttori, ma siamo preceduti da Portorico, Ungheria e Thailandia, appena davanti a Costarica e Oman.
Il vantaggio competitivo di una nazione e del suo sistema produttivo dipende sempre di più dalla sua capacità di sapere sfruttare a fondo i guadagni di produttività che consente l’ICT. In un mondo globalizzato queste differenze vengono ancora di più amplificate. Se non si provvede rapidamente, presto sarà troppo tardi per rimediare. La mancata diffusione dell’ICT è la causa principale del recente calo della produttività italiana. Negli ultimi 10 anni la produttività del lavoro italiana è calata rispetto alla media della UE a 27 di quasi il 20%. È tantissimo, più di quanto possiamo permetterci perché essendo una nazione mediamente molto anziana, dovremmo invece avere una produttività sempre in crescita per compensare una quota troppo ampia di popolazione inattiva.
Un terzo alla popolazione mondiale – ben più della parte più ricca – è già su Internet. Il mondo è già connesso e il suo processo di digitalizzazione sta accelerando. Ma dal momento che i benefici della digitalizzazione sono maggiori per i paesi che sono già più digitalizzati, se non reagiamo immediatamente, la situazione diventerà presto impossibile da recuperare.
Non è che finora in Italia non si sia fatto nulla. I progetti avviati sono tanti e bisogna dare atto che in alcuni ambiti si è anche forzata la mano pur di fare progressi. Ma il nostro Paese è molto indietro, per esempio in tema di penetrazione della Banda Larga, di digitalizzazione, di e-commerce. Serve subito una strategia che ci permetta di recuperare il tempo perso.
L’Europa ha già un’agenda digitale. All’Italia non basterebbe seguirne le linee guida?
L’agenda digitale europea è un ottimo punto di partenza, ma è una strategia per digitalizzare la UE, non l’Italia. Il nostro problema è darci delle priorità, coinvolgere tutti i ministri competenti e definire un percorso unitario per digitalizzare il Paese, perché tutto e subito non si può fare. Dobbiamo darci una strategia ampia come se la sono data altri Paesi, ad esempio Gran Bretagna, Francia e Germania. Ma per ribaltare la situazione non possiamo semplicemente fare quel che hanno già fatto gli altri: così facendo, essendo indietro, rimarremmo indietro. A mio avviso, per recuperare terreno si dovrebbero saltare le fasi intermedie e puntare direttamente a quella che oggi è la frontiera dell’innovazione: fibra ottica, cloud computing, remote working, collaboration, etc.
Perché il digitale è un’opportunità che il nostro Paese non può farsi scappare?
Abbiamo un PIL che non cresce e un’economia focalizzata soprattutto sui settori maturi. Se la strategia dell’Italia per uscire dalla crisi si centra unicamente sulla difesa dell’esistente in questi settori, che strutturalmente perdono occupazione, non c’è da stupirsi che la disoccupazione giovanile sia al 29% . L’economia di Internet è una grande opportunità occupazionale. Nel Regno Unito vale il 7,2% del PIL, più del settore sanitario. In Francia è il 3,7% del PIL e sarà il 5,5% entro il 2015, ma è responsabile del 13% della crescita e in 15 anni ha creato 700.000 posti di lavoro. Adesso vale quanto l’energia, i trasporti o l’agricoltura. Ogni euro investito da un’azienda francese in rete (siti, posta elettronica, software) si è tradotto in due euro di margine operativo e ogni euro speso in marketing online ha generato 2,5 euro di utile, stimolando la crescita soprattutto delle PMI. In Italia, invece, Internet incide appena per l’1,6% del PIL ma contribuisce alla sua crescita per il 18%. Se si facesse per Internet appena poco di più, si otterrebbe molto in più. Ma non sarà un’opportunità per sempre. Gli spazi che lasceremo non presidiati, saranno occupati da altri. Ad esempio, non siamo riusciti ad sfruttare a fondo l’ecommerce prima dell’arrivo di Amazon in Italia. Adesso sarà molto difficile sviluppare un campione nazionale.
Fra i firmatari dell’appello ci sono gli operatori, che sono protagonisti anche di altri progetti che puntano a diffondere in Italia la larga banda, un altro tema di fondamentale rilevanza. Come si conciliano queste iniziative?
Le due cose non sono in antitesi. La diffusione della banda larga aiuta la digitalizzazione del Paese e la digitalizzazione del Paese crea domanda per la banda larga. Lo stesso Governo e molte regioni e amministrazioni locali si stanno prodigando per ridurre il digital divide e diffondere la banda larga. Ma se si guarda solo alla banda larga non si va lontano. Non si possono sviluppare le infrastrutture pensando solo alle infrastrutture. Ma lo sviluppo e la diffusione della banda larga è il punto di partenza.
Si dice che in Italia il Digital Divide è soprattutto culturale. Come affrontare questo problema?
La banda larga si diffonde e porta effetti benefici se ci sono servizi – pubblici e privati – che permettono di sfruttarla. Perché questi servizi si sviluppino, servirebbe un mercato potenziale più ampio, quindi bisognerebbe fare alfabetizzazione informatica, rimuovere il digital divide culturale, non tanto per i giovani nelle scuole, ma per imprenditori, manager, quadri, impiegati e pensionati. Ma per farlo nella situazione attuale, dovendo fare tanto in poco tempo e con poche risorse, occorrono sinergie inusitate tra stato, imprese, università, no profit, centri di ricerca, etc. In altre parole, occorrerebbe un approccio poggiato su quattro gambe. Le infrastrutture sono la prima, servizi, alfabetizzazione informatica e un patto sociale per la digitalizzazione sono le altre tre. Se si innesca questo circuito virtuoso, il digital divide legato alla connettività, quello culturale ma anche quello competitivo del sistema paese saranno un ricordo in breve tempo.
Che cosa vi aspettate dopo questo appello?
Sono già tanti i partiti e i politici che hanno accolto positivamente l’appello: Casini, Barbareschi, Gentiloni, Rao, Lanzillotta, Valducci, solo per fare alcuni nomi. Il ministro Brunetta ha accolto l’appello con grande interesse, aprendo da subito ad un confronto. Si sono aggiunti il Vice presidente del Parlamento Europeo Gianni Pittella e, soprattutto, il Vice presidente della Commissione Ue Neelie Kroes, che ha la delega sull’agenda digitale europea. Ma se alle prossime elezioni la digitalizzazione del Paese fosse a pieno diritto uno dei temi di confronto tra i programmi dei partiti, allora davvero potremmo pensare di avere raggiunto il nostro obiettivo. Certo, ognuno farà le sue proposte secondo le proprie opinioni, ma nel frattempo la digitalizzazione avrebbe finalmente piena cittadinanza nel dibattito politico.
L’APPELLO
L’Italia riparta da Internet e dalla tecnologia
Per i giovani che si costruiscono una prospettiva, per le piccole imprese che devono competere nel mondo, per i cittadini che cercano una migliore qualità della vita, l’opportunità offerta dalla tecnologia è irrinunciabile.
Il XIX secolo è stato caratterizzato dalle macchine a vapore, il XX secolo dall’elettricità. Il XXI secolo è il secolo digitale.
La politica ha posto la strategia digitale al centro del dibattito in tutte le principali economie del mondo. Ma non in Italia.
Eppure in Italia metà della popolazione usa Internet. La tecnologia è parte integrante della vita quotidiana di milioni di cittadini. Studenti, lavoratori, professionisti e imprenditori si confrontano costantemente con i rischi e le opportunità determinate dall’innovazione tecnologica.
Siamo convinti che affrontare con incisività questo ritardo, eliminare i digital divide, sviluppare la cultura digitale con l’obiettivo di conquistare la leadership nello sviluppo ed applicazione delle potenzialità di Internet e delle tecnologie, costituisca la principale opportunità di sviluppo, con benefici economici e sociali per l’intero Paese.
Ci rivolgiamo a tutte le forze politiche, nessuna esclusa, sollecitando il loro impegno a porre concretamente questo tema al centro del dibattito politico nazionale.
Chiediamo, entro 100 giorni, la redazione di proposte organiche per un’Agenda Digitale per l’Italia coinvolgendo le rappresentanze economiche e sociali, i consumatori, le università e coloro che, in questo Paese, operano in prima linea su questo tema.
Richiamiamo l’attenzione di tutte le forze politiche, gli imprenditori, i lavoratori, i ricercatori, i cittadini, perchè non vedano in queste parole la missione di una sola parte, ma di tutto il Paese.