Se fosse un best seller, di quelli che è abituato a scrivere, si potrebbe intitolare “Elogio del fallimento”. Sì perché Tom Peters (qui il resoconto suo intervento al World Business forum del 2013), settantatreenne americano guru del management, oggi a capo di una delle più note società di consulenza, ex analista di McKinsey & Company, ex collaboratore della Casa Bianca (sotto l’amministrazione Nixon) ed ex dipendente del Pentagono, da anni gira il mondo per formare i manager e far capire loro che è il fallimento il vero motore dell’innovazione, non il successo. Una contraddizione? Non proprio.
Come spiega in questo video, «Noi insegniamo ai nostri figli che il fallimento è una cosa negativa, che nella vita bisogna essere dei vincenti – spiega -. Ma se si guarda ai casi di successo più eclatanti, alle aziende più sane, il modo migliore per ottenere il successo è celebrare il fallimento. Questo non significa, però, esaltare la trascuratezza o la pigrizia… tutt’altro. Significa premiare chi ha lavorato duramente, magari per diversi mesi, e poi il risultato che ha ottenuto non è stato in linea con gli obiettivi, invece di chi ha collezionato grandi successi ma non ha rischiato, non si è cimentato in niente di nuovo». La tendenza a pianificare percorsi di carriera legati unicamente agli obiettivi raggiunti è, quindi, secondo il consulente controproducente. «Questo poteva funzionare venti o trent’anni fa, ma oggi non è più un modello vincente», commenta. E fa alcuni esempi.
Sbaglia, vai avanti e fallo in fretta
La più grande realtà di design negli Stati Uniti è Ideo il cui fondatore sostiene pubblicamente che «più velocemente fallisci, prima avrai successo». Il mantra
di Facebook è, invece, “muoviti veloce, rompi gli schemi”. «Alcuni anni fa, durante un seminario che ho tenuto a Sydney – prosegue Peters -, un manager che aveva ottenuto risultati eccellenti mi diede la sua ricetta per il successo. Era racchiusa in una formula semplice, ovvero ricompensa i fallimenti eccezionali e punisci i successi mediocri». Ed è proprio questo che Il guru del management cerca di insegnare: rimettere in discussione il passato, il consolidato, per trovare nuove strade, percorsi di crescita alternativi e inesplorati.
Lasciarsi andare a scelte creative per spiazzare la concorrenza o per creare un nuovo mercato, per arrivare a ridurre i costi oppure per ottimizzare i processi, contemplando anche il fallimento come alternativa possibile e non come una sventura da evitare. Peters si è spinto oltre e ha elaborato una vera e propria teoria sul tema: il “failure management”. Al contrario di quanto avviene tradizionalmente in azienda, dove spesso è in vigore il motto “chi non fa non sbaglia”, il consulente sprona i manager ad assumersi dei rischi e a incitare i propri sottoposti a fare altrettanto, con la promessa di non punire il fallimento, di non censurarlo. Durante i suoi corsi dà un consiglio semplice, riassumibile nella formula delle tre “F”: fail, forward, fast (ovvero sbaglia, vai avanti e fallo in fretta). L’innovazione e la creatività sono due strade rischiose, ma sono le uniche percorribili per chi vuole ottenere o consolidare il successo. «Gli errori non sono pericolosi – conclude – è pericolosa l’organizzazione che non impara da questi errori. Se ci spaventa l’insuccesso non riusciremo mai a diventare grandi».