Privato, pubblico, ibrido… scegliere uno di questi orizzonti oppure mischiare le carte cercando di adattare le nuvole alle proprie necessità? Standard o flessibili, il cloud si più piegare alle proprie necessità? I massimi esperti di mercato e una selezione di Cio di aziende di primo piano provano a rispondere e a raccontare la loro esperienza.
Prima di rispondere a queste domande occorre chiarie il campo di battaglia: da una parte infatti, un’offerta a tutto campo, non necessariamente qualificata e specializzata, dove chi è in grado di mettere sul piatto competenza e professionalità per progetti a lungo termine si trova affiancato da chi è invece intenzionato a cavalcare l’onda nell’intento di massimizzare i profitti a breve e poi essere pronto a defilarsi. Dall’altra, aziende interessate e potenzialmente avvantaggiate da una migrazione, i cui termini però non sono sempre ben definiti. Tra richieste pressanti del management, desiderio di apparire innovativi e paura di perdere l’opportunità, si fa concreto il pericolo di vedere timori e scelte avventate prendere il sopravvento.
Di fronte a tanta potenziale confusione, prova a mettere ordine il secondo appuntamento di Terrazza cloud, la serie di quattro incontri promossi da Digital4Trade in collaborazione con MWM CED, per un interessante confronto sull’argomento tra protagonisti del settore. A offrire gli spunti, i risultati di una ricerca dell’Osservatorio Cloud and ICT as a service del Politecnico di Milano, presentata da Stefano Mainetti, Ceo di Polihub, il quale non si fa pregare a fornire prima di tutto un quadro complessivo della situazione. «Di cloud computing se ne parla tantissimo e da molto tempo, quando ancora eravamo abituati a chiamarlo outsourcing. Già il progetto dei primi ASP era ambizioso. Finchè si trattava del Web hosting, non c’erano problemi. I vantaggi di potersi dimenticare gli aspetti infrastrutturali erano evidenti. Il discorso è cambiato quando si è pensato di estendere l’offerta alle applicazioni, dove ha iniziato a presentarsi il problema di dover entrare nei processi aziendali». Il costante lavoro di ricerca condotto dal Politecnico di Milano aiuta a individuare più da vicino la situazione attuale del mercato. In Italia, l’Ateneo ha iniziato a misurare il mondo cloud nel 2010. «Dal 2013 i tassi di crescita si sono fatti interssanti. Parliamo di 1,77 miliardi di euro in investimenti dedicati, a fronte di una spesa complessiva in tecnologie IT di 17,5 miliardi di euro». Di questi, circa un terzo, 600 milioni di euro, risultano destinati a servizi su infrastrutture pubbliche, tra IaaS, SaaS e PaaS. 1,85 miliardi di euro riguardano invece le infrastrutture abilitanti. Le aziende spendono in media il 10% del budget per rendere le proprie organizzazioni compatibili con il nuovo modello. Inoltre, il tasso di crescita si sta avvicinando alla media europea del 30%, in netto aumento rispetto al 10% degli anni scorsi. Una prima importante considerazione è quindi l’entrata del cloud computing nell’ordinaria amministrazione di chi è chiamato a prendere decisioni in azienda. Di conseguenza, si è organizzato anche il mondo dell’offerta, consapevole di dover affrontare una forte concorrenza. Come conferma infatti Mainetti, la domanda è in crescita, anche se la spesa IT italiana resta stabile. In pratica, cresce del 20% la quota destinata al cloud computing. Si tratta ormai di un’onda inarrestabile, per effetto della maggiore convinzione che si parli di soldi spesi bene. Pochi dubbi sulla modalità preferita, pur senza sottovalutare un’attenta analisi delle esigenze. «Quando il possesso resta un valore, si resta ancorati all’architettura interna. Dove invece flessibilità, contenimento dei costi, e sperimentazione sono le priorità, allora il cloud pubblico diventa la prima scelta. L’offerta si è preparata di conseguenza, per affermarsi quale catalizzatore sul percorso verso modelli ibridi». Altro aspetto importante, la dimostrazione di maturità raggiunta dal mercato. I benefici in materia di provisioning, minuti contro mesi per macchine nuove, appaiono ormai consolidati. I temi che invece erano vincoli fino a poco tempo fa, il riferimento esplicito è a sicurezza, lockin e cambiamenti dei processi operativi, risultano finalmente superati. Le prime esperienze hanno addirittura ribaltato alcuni di questi principi. Affidare la gestione dell’infrastruttura all’esterno, significa infatti migliorare gli standard di sicurezza, con ruoli e responsabilità ben definite da contratto.
Più arduo invece, superare gli ostacoli sul fronte software. «L’interoperabilità resta un problema storico e complesso. In questo caso, si presenta più consistente anche il rischio di lockin in una nuova veste. Una possibile risposta è il multicloud: esattamente come si replica un server a distanza, ci si può affidare a più fornitori». Sul fronte di mercato, chi ha saputo trovare il momento giusto per lanciare un’offerta in linea con le richieste, ha prontamente raccolto risultai importanti. Secondo lo studio del Politecnico di Milano infatti, in ambito Iaas Amazon domina con il 70%. Importante, anche la crescita del 140% di Microsoft con Azure. Gli altri, si stanno ancora organizzando, spesso con l’incombenza di dover preservare un vasto parco installato. Oracle per esempio, sostiene una politica di invarianza nel passaggio delle licenze al cloud. IBM presenta offerte dedicate alla migrazione dei propri prodotti. HPE infine, dopo una prima scelta di operare direttamente come provider, ha virato in direzione dei servizi. «La trasformazione è irreversibile – è il commento dell’esperto -. Nelle startup il cloud è ormai l’unica scelta. In un mercato concentrato sui grandi nomi, restano spazi per chi sa posizionarsi con valore, chi sa avvicinare il cliente». Un messaggio importante per i system integrator, in grado di affiancare il cliente nel progettare da zero architetture cloud o affiancarsi in tutti passi della trasformazione, mettendo a disposizione le risorse per una eventuale fase di sperimentazione.
Lo scenario nel complesso incoraggiante, non manca tuttavia di presentare anche lati più oscuri per una serie di interessanti considerazioni. Il primo aspetto, molto più umano che tecnico. «Quando si parla di digital transformation con i manager, spesso si finisce per banalizzare – osserva Mainetti -. Quando si inizia a parlare di ERP, le perplessità hanno ancora la meglio, anche perchè spesso si parla con persone poco esperte e a volte è il mercato stesso a banalizzare. Serve una maggiore consapevolezza». Per le aziende in possesso di architetture cresciute nel tempo, insistere a preoccuparsi di gestire quanto di proprietà è uno dei pericoli maggiori, anche per gli equilibri interni. «Pensare a possesso e controllo totale di fronte all’avanzare delle startup costruite su modelli cloud è a tutti gli effetti una minaccia. La potenzialità di chi utilizza l’innovazione per restare competitivo è un principio ormai ben chiaro ai dirigenti. Di fronte alla evidente dimostrazione di come non usare il cloud diventi uno svantaggio competitivo, il CIO che insiste a difendere il proprio territorio si trova in cattiva luce. Offre l’immagine di un’azienda priva di strumenti adeguati». D’altra parte, non basta trasferire un servizio o una risorsa per potersi considerare al passo con i tempi. Bisogna essere in grado di cogliere le potenzialità di un’architettura diversa. «Guardiamo all’esempio più significativo di Office 365. Si va ben oltre le applicazioni tradizionali. Si entra in un ciclo di vita dei documenti, va integrato con gli altri software aziendali e di conseguenza è necessario intervenire sul gestionale. Ci si muove alloraverso il document management; un cambiamento impegnativo ma necessario. Solo ragionando in quest’ottica si porta l’azienda nel ventunesimo secolo». | ||||||
#TerrazzaCloud 2, il cloud non è uguale per tutti Stefano Mainetti, responsabile scientifico dell’Osservatorio cloud & Ict as a service del Politecnico di Milano, racconta in esclusiva a #TerrazzaCloud la crescita e i vantaggi delle nuvole per il business delle imprese | ||||||
Un quadro dettagliato della realtà italiana, per una serie di spunti di discussione di fronte ai quali nessuno dei partecipanti al secondo appuntamento di Terrazza cloud si tira indietro. Quando si parla di particolarità nazionali, entrano subito in gioco le aziende sul campo. Se da una parte la risposta risulta ancora debole, non di rado con la complicità del canale meno lungimirante preoccupato di vedere i guadagni immediati della vendita spalmati sul periodo più lungo del canone, dall’altra le potenzialità non mancano. Un discorso dove l’esperienza dei diretti interessati offre alcune importanti indicazioni, messe a confronto con i giudizi dell’analista. Il primo spunto arriva da Furio Galli, CIO di Cambielli Edilfriuli, mettendo l’accento su quegli aspetti pratici spesso sottovalutati all’esterno, anche solo perchè molto specifici della singola realtà. «Spesso, si fatica a scalfire la convinzione di dover mantenere il pieno controllo delle risorse Inoltre, a volte i concetti stessi di ERP o architetture innovative vengono considerati ancora come scenari futuristici». Anche di fronte alla massima apertura, i problemi non mancano. E una infrastruttura di lungo corso è uno dei più importanti, sottolinea Galli. «Bisogna essere pronti ad affrontare drastici adeguamenti nell’organizzazione interna. Pensare di trasferire un gestionale da mainframe al cloud non è un’impresa facile. Senza dimenticare una tendenza molto italiana: la volontà di avere tutto personalizzato». Una spinta importante, può arrivare dalla crescita fisiologica di un’attività. Allo stesso modo con cui si adotta il leasing per nuovi locali o magazzini, estendere anche le funzionalità software attraverso servizi a canone risulta più naturale. Nel caso Cambielli Edilfriuli, la via seguita è una standard. «Un primo passo, con il sistema di posta sempre meno residente, grazie anche alla spinta naturale dettata da Apple o Gmail è stato compiuto. A partire da qui, il cambio di mentalità si sta facendo strada. Più dell’opportunità, i dubbi sono ora concentrati su costi effettivi e prestazioni». La convinzione più diffusa, vede comunque una graduale migrazione a una nuova impostazione. In gioco, la competitività stessa di un’azienda, nel confronto con strutture giovani per natura più flessibili e adattabili alla domanda. Di vera svolta si potrà parlare solo nel momento in cui anche lo scoglio più impegnativo sarà superato. Su questo, l’accordo è totale. Anche secondo Mainetti, «l’ERP resta il tema più discusso e tutto da affrontare. Dove la trasformazione culturale della social collaboration è già avviata, si può contare su un vantaggio competitivo. In questo scenario, il gestionale rappresenta l’ultimo miglio. Deve essere la naturale conclusione di un percorso, non un mondo separato rispetto agli altri applicativi». | ||||||
#TerrazzaCloud 2, il Caso Cambielli Edilfriuli: il cloud per semplificare la posta elettronica Furio Galli, Cio di Cambielli Edilfriuli, società specializzata nel settore idrotermosanitario, racconta come il gruppo stia affrontando il passaggio del servizio email nella nuvola. E in futuro si pensa all’ERP. | ||||||
Come capita spesso, di fronte a percorsi lunghi e impegnativi, i primi passi sono i più difficili. Alberto Riva, CIO di LMS Studio Legale, offre un ottimo esempio della distanza spesso esistente tra la logica della teoria e l’apparente irrazionalità della pratica. «Per conto di una società che si occupava di fondi di investimento, ho speso molto tempo nel provare a convincere di passare a una gestione ordini digitalizzata. All’inizio, trenta persone erano impegnate a inserire dati da supporti cartacei. È servita una decina di anni per indurli almeno a provare a inviarmi un file invece del foglio. Solo quando ci siamo accordati per provare a gestire in digitale anche la restituzione degli elaborati, i vantaggi sono stati toccati con mano. Il personale necessario è sceso a tre persone, in grado di curare rapporti con 120 banche». Una via sempre ottimale in situazioni del genere è dare l’esempio. Ancora più importante, quando, come nel caso di LMS Studio Legale buona parte del personale è sempre in movimento, e per giunta tratta dati sensibili. In questo caso, flessibilità, disponibilità e sicurezza ai massimi livelli sono imprescindibili. Migrare tutta la parte di document management interna al cloud alla fine si è rivelato un passaggio più semplice del previsto. Inoltre, è stato presto evidente a tutti gli utenti come sia cambiata in meglio la modalità di lavoro. In origine lo studio aveva una sede distaccata a Roma, con collegamento dedicato e server duplicato con Milano. Quando questa è diventata indipendente e si è staccata, ne è stata aperta un’altra inizialmente più piccola, passando da trenta a tre professionisti. Certamente, non abbastanza da giustificare l’investimento in una nuova struttura dedicata. Il passaggio al cloud ha permesso in questo caso di avviare subito l’attività e soprattutto di lavorare in studio come a casa, senza dipendere da un sistema dedicato. Un cambiamento all’apparenza delicato, in realtà rivelatosi un’occasione. A condizione che ciascuno si assuma le proprie responsabilità. Al riguardo, Alberto Riva, non ha esitato. «La voglia di cambiare è il primo requisito. Ma serve anche una proprietà che lasci almeno la libertà di azione nei test. Meglio ancora, se incentiva, ed è esattamente ciò su cui io posso contare. Alla fine dell’anno però, devo essere pronto a renderne conto». Con il passare del tempo, i casi di successo crescono. Anche in settori all’apparenza più restii, proprio come quello legale. A sostegno della tesi, Mainetti indica anche come non manchino situazioni esemplari perfino in un campo per anni simbolo di scarsa propensione a innovare, almeno fino a quando rimasto nell’orbita PA. «Guardiamo cosa è stata capace di raggiungere Enel in un tempo relativamente breve. In sei mesi hanno deciso di trasferire Salesforce in cloud, hanno spento il proprio data center e ricavato enormi vantaggi economici. Inoltre, il processo digitale è andato a tutto vantaggio del servizio al cliente con un accesso intuitivo alla propria documentazione”. Un risultato frutto anche di una scelta coraggiosa da parte del CIO. Nel caso in esame infatti, il suo compito è stato sciogliere la direzione IT per farla confluire nel business. Una sorta di social network interno ha permesso di digitalizzare con successo l’intera azienda». | ||||||
#TerrazzaCloud 2, Il Caso LMS: il cloud per aumentare le potenzialità di un’azienda internazionale Alberto Riva, Cio di LMS, studio legale associato, racconta i passaggi e i punti salienti del passaggio dell’infrastruttura interna al cloud. Che garantisce una maggiore fruibilità dei dati a livello mondiale | ||||||
A questo punto, entrano inevitabilmente in gioco anche i fornitori. Per loro, una delle sfide più importanti è adattare il proprio ruolo, cercando di entrare in maggiore sintonia con i clienti, fino ad assumere quasi il ruolo di stretto collaboratore. Cogliendo lo spunto importante dell’importanza di non esitare a progettare il cloud, ma al tempo stesso pensare da subito a una impostazione eterogenea, Enrico Ariotti, executive director di Macro Web Media CED & Macro Web Media parte da un’analisi dei requisiti. «Non credo ci sia un unico cloud in grado di coprire ogni esigenza. Le richieste del cliente in genere comportano un ambienta multicloud. La capacità di conoscere tutti gli operatori e le relative offerte, e soprattutto come integrarle, è fondamentale». D’altra parte, tra i compiti del fornitore, c’è anche un supporto nella gestione dalla transizione capace di gurdare oltre gli aspetti tecnici. Difficile infatti, se non impossibile, pensare di stravolgere organizzazioni attive da tempo. Gianluca Bencivenga, director di Bringtech parte proprio da sottolineare l’importanza di questa fase. «Spesso la prima richiesta è sfruttare meglio gli strumenti del passato, senza buttarli. Se non si ascolta la richiesta di integrare il cloud con il legacy, all’inizio non si può andare molto oltre il trasferimento del sito Web». Per chi si dedica proprio al supporto nella fase di transizione e nella scelta dei servizi, un impegno costante i cui risultati però non tardano ad arrivare. Soprattutto, limitando per quanto possibile di stravolgere abitudini consolidate. La strategia proposta da Bringtech punta infatti a eseguire passaggi dinamici, senza cioè interruzione nei servizi e ripristinabili in qualsiasi momento. Per i clienti internazionali, sono inoltre stati individuati una serie di partner stranieri insieme ai quali gestire senza problemi anche le migrazioni su larga scala, dove spesso bisogna considerare i fusi orari. Di fronte alle novità, inevitabilmente i dubbi non mancano. Importante in questi casi, mantenere la lucidità di fronte a ogni decisione. Per quanto attraente, ridurre al minimo il numero dei fornitori non è necessariamente la scelta ideale. Ariotti propone al riguardo un valido esempio di quanto accaduto in passato. «In settori come per esempio il cablaggio, per un certo tempo gli installatori elettricisti hanno iniziato a procurare direttamente switch, di scarsa qualità. In pratica, l’installatore è diventato un concorrente. Fino a quando il networking era stupido ce l’ha fatta, ma poi quando è iniziata a servire un’infrastruttura abilitante, i processi si sono complicati, la qualità si è fatta più importante e l’installatore ha desistito. Una situazione simile a quanto si può incontrare nel cloud se si limita a considerarlo solo un cambio di infrastruttura».
Due i messaggi importanti scaturiti a questo punto della discussione, sui quali emerge un largo accordo, a partire dal punto di vista del fornitore. «Il primo punto fondamentale è come affrontare la migrazione del cloud, non se affrontarla – assicura Bencivenga -. L’altro è guardare al PaaS come nuova area competitiva. Sull’IaaS infatti, i dubbi sono superati, mentre è sulla piattaforma che bisogna individuare i margini di personalizzazione. È il primo passo per trasferire nel cloud i processi aziendali». Da una parte freno per affrontare un passaggio verso ambienti uniformi e in favore della collaborazione, la personalizzazione resta infatti un’esigenza per le aziende e un’opportunità per chi sa adattarla ai nuovi ambienti. Cambia però il modo di scrivere software e cambiano gli strumenti. Non si parla più di applicativi da aggiornare a scadenze regolari. Si sta passando a un mondo iterativo, dove si costruiscono processi in funzione dell’azienda che si vuole diventare. Il cloud abilita proprio questo, aiuta a orientarsi verso il modello delle startup, dove si sperimenta, e se qualcosa non funziona si cambia. Un punto di vista pienamente condiviso dal CIO di di Cambielli Edilfriuli «Bisogna prima di tutto fare cultura, aiutare i vantaggi a emergere ed evidenziare le differenze economiche tra mantenere la proprietà o affidarsi a servizi più agili, modificabili e modulabili. Però, difficilmente in un’azienda si muove qualcosa fino a quando la concorrenza non si fa agguerrita». Oltre al cambio di passo, spesso le aziende vanno alla ricerca anche un cambio di mentalità da parte del fornitore, nel proprio interesse invitato a garantire adeguato apporto, senza soffermarsi agli aspetti commerciali. È infatti esplicita la richiesta di «affiancarci quando affrontiamo passaggi fondamentali. Prima di tutto la capacità di calcolare il ROI. Quindi, essere in grado di analizzare tutti gli aspetti. Il canone annuale deve dimostrare cifre alla mano di consentire risparmi o incrementare i profitti». Guardando oltre, in uno scenario di collaborazione a tutto campo, la scelta di sposare senza remore il cloud non può essere limitata al perimetro aziendale. La nuova veste della collaborazione guarda infatti lontano. Nel caso di LMS Studio Legale si sente l’esigenza di trovare alleati nel divulgare conoscenza. «Per quanto ci riguarda, l’innovazione sarebbe altrettanta attenzione da parte dei professionisti. Nel mondo legale, carta e libri hanno ancora la meglio. Tutta la fase di revisione e versione rimane rigorosamente manuale. Forse, l’unico settore dove anche i più giovani faticano ad accettare i benefici di soluzioni come Office 365. Le opportunità sono comunque tantissime. A preoccupare semmai, è una marcata carenza di know how; dalle Università italiane escono persone formate sulle tecnologie che non si vendono». Nell’insieme però, la sfida del cloud computing si presenta senza dubbio promettente. Aspetto da non sottovalutare, per chi ha vissuto in prima persona buona parte della storia IT, altrettanto affascinante. Diventa quindi facile arrivare alla conclusione proposta da Enrico Ariotti. «È un mercato tanto ampio quanto bello. Qualsiasi operatore capace di proporre qualcosa di diverso può trovare uno spazio, anche di fronte ai colossi del settore. Alla fine, ci si trova a operare in un’ottica multicloud. Il messaggio migliore secondo me è che non può esserci un unico operatore di riferimento e credo vedremo aumentare l’offerta con forte specializzazione. Non parlo di personalizzazione, ma di ampia possibilità di scelta. Di fatto, non può esserci un cloud uguale per tutti». | ||||||
#TerrazzaCloud2, Bringtech spiega come si costruisce il cloud a misura d’impresa Gianluca Bencivenga, Director Bringtech, evidenzia a #TerrazzaCloud quali possono essere i vantaggi della nuvola per le imprese. E sulla base di quali criteri si debba scegliere tra cloud privato e pubblico. | ||||||
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