Un programma di azione per le persone, il pianeta e la prosperità. Ecco cos’è la nuova Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile dell’ONU. Ma per capire pienamente perché se ne parla tanto e scoprire i suoi punti salienti è forse il caso di fare un passo indietro a comprendere che cosa si intende per sviluppo sostenibile, tema che sarà al centro di un nuovo ciclo di 10 articoli che raccoglieranno il parere di voci diverse – di accademici, imprenditori e manager – e approfondiranno il tema dell’Empower Sustainability.
Sviluppo sostenibile: tutti ne parlano pochi agiscono
Secondo la definizione proposta nel rapporto “Our Common Future”, pubblicato nel 1987 dalla Commissione mondiale per l’ambiente e lo sviluppo del Programma delle Nazioni Unite per l’ambiente, per sviluppo sostenibile si intende “uno sviluppo in grado di assicurare il soddisfacimento dei bisogni della generazione presente senza compromettere la possibilità delle generazioni future di realizzare i propri”.
Il tema della sostenibilità è un tema centrale ormai entrato nella nostra quotidianità, perché ‘Empower’? Perché come sempre la sfida è: lo so, ma lo faccio?
Tutti ne parlano ma pochi agiscono con esempio e coerenza in ogni area della vita e del lavoro. Urge un intervento di sistema, un obiettivo comune e il piacere di realizzarlo insieme. Occorre rigenerare una prospettiva tecnologica che includa le dimensioni umane per un’innovazione sostenibile.
Un viaggio indietro nel tempo: 15 anni di lenti progressi!
Ripercorriamo brevemente alcuni snodi dell’ultimo decennio che hanno creato le premesse per una azione di rete….come spesso accade le resistenze personali allo status quo e divergenze di interessi tra paesi hanno rallentato l’azione che ora diventa imprescindibile ed urgente!
2006: nasce in America il fenomeno delle B Corp che introduce un nuovo paradigma di business e protocollo di misura degli impatti: il B impact assessment e un sistema di certificazione delle imprese che passano dalla shareholder economy centrata su azionisti e management a una stakeholder economy, coniugando il profitto con il bene comune dei diversi portatori di interesse, della community estesa interna ed esterna. Lentamente si crea un movimento e crescono le certificazioni.
2011: l’ONU invita i paesi membri a misurare la felicità del loro popolo (FIL) come parametro per guidare le politiche pubbliche, nella consapevolezza che la felicità è la giusta misura del progresso sociale, dal momento che il PIL non è più in grado di cogliere tutti i fattori che incidono sulla qualità della vita dei cittadini.
2015: l’ONU promuove l’Agenda 2030 e i 17 SDG’s per lo sviluppo sostenibile, un programma di azione per le persone, il pianeta e la prosperità sottoscritto dai governi di 193 paesi membri. Emerge in modo evidente il ruolo delle organizzazioni e del loro valore che si identifica nella capacità di analizzare l’ambiente e di incidere sulla sostenibilità delle dimensioni economica, politica, sociale, culturale, tecnologia, ecologica.
2016: nascono gli standard e le linee guida del GRI (Global Reporting Initiatives) per creare i rendiconti della performance sostenibile o sociale, una struttura modulare interdipendente per creare report in ambito economico, sociale, ambientale e finalizzare il bilancio di sostenibilità.
2016: nascono le Società Benefit (for profit + for benefit) in Italia come nuova forma giuridica che richiede una revisione dello statuto e una valutazione oggettiva dell’impatto sociale dell’attività di impresa sull’ecosistema. Assobenefit certifica il raddoppio attraverso i due anni di pandemia.
2018: nasce la nuova archiettura ISO integrata che introduce l’importanza di un approccio sistemico che includa l’analisi di contesto, una sensibilità culturale diffusa, una leadership manageriale coerente, una valutazione collaborativa della valutazione neutra del rischio.
2019: 200 aziende corporate (CEO Business Roundtable) ridefiniscono lo scopo di una corporation e firmano ‘Statement on the purpose for benefit’ estendendo l’attenzione strategica agli interessi degli stakeholders come clienti, dipendenti, fornitori, comunità territoriali, per accelerare un cambio culturale e costruire una economia più inclusiva e sostenibile.
2020- 2021: la pandemia travolge tutto il mondo, rallentiamo, riflettiamo, la crisi emerge in tutta la sua violenza e svela disuguaglianze e malessere dilagante. Non c’è più tempo , la sostenibilità è sotto i riflettori, il senso di urgenza spinge l’ONU ad adottare un’agenda globale e tutti i paesi a contribuire con uno sforzo congiunto di tutte le componenti sociali
Le ricadute sul business: i dati parlano chiaro
Le aziende, perché devono farlo o perché vogliono farlo, si stanno muovendo verso nuovi paradigmi culturali, manageriali, organizzativi più positivi, inclusivi, sostenibili. Questo anche a fronte di una serie di evidenze:
- Il 55% dei consumatori è socialmente responsabile ed è disposto a pagare un extra per prodotti e servizi di aziende impegnate sulla sostenibilità (dati GFK, + 10 punti dal 2011)
- Nel 2021 l’attenzione dei consumatori ha integrato l’attenzione alla logistica e alla sostenibilità delle spedizioni ‘green’ : il 42% è disposto a pagare un costo extra – Fonte Sencloud e Nielsen
- Nel 2020 i millennials rappresentano il 50% della forza lavoro: l’88 % di questa generazione preferisce lavorare in organizzazioni guidate da uno scopo e che riflettano i loro valori ( Workforce of the Future PwC)
- Tra tutte le generazioni i Millennials sono quelli che hanno dichiarato in percentuale maggiore (49%) di preferire lavorare in aziende sostenibili (Nielsen Global survey on Corporate Social Responsibility)
- In Italia nel 2015 i consumatori disposti a pagare di più per prodotti sostenibili erano il 52% (+ 8 punti in due anni). Il dato mondiale nello stesso periodo era già al 66% (Fonte Nielsen, + 16 punti in due anni)
- Il 50% dei CEO mandati via dalle società quotate sono stati allontanati per problemi di reputazione socio-ambientale e a scandali collegati ad essa (Leonardo Becchetti in: “La finanza si fa green e le aziende licenziano i CEO poco sensibili”, 2019)
E adesso approfondiamo i numeri magici dell’agenda 2030: 3,5,17, 169….
Quali sono i 3 pilastri e le 5 P dello sviluppo sostenibile?
I tre pilastri collegati tra loro disegnano un sistema che comprende:
- sostenibilità sociale e rispetto dell’uomo;
- sostenibilità ambientale e tutela delle risorse naturali;
- sostenibilità economica e crescita che migliori la qualità della vita.
Questi tre pilastri si espandono su 5 aree di intervento
- Persone: contrastare povertà ed esclusione sociale e promuovere salute e benessere per garantire le condizioni per lo sviluppo del capitale umano;
- Pianeta: garantire una gestione sostenibile delle risorse naturali, contrastando la perdita di biodiversità e tutelando i beni ambientali e colturali;
- Prosperità: affermare modelli sostenibili di produzione e consumo, garantendo occupazione e formazione di qualità;
- Pace: promuovere una società non violenta ed inclusiva, senza forme di discriminazione. Contrastare l’illegalità;
- Partnership: intervenire nelle varie aree in maniera integrata.
Quali sono i 17 obiettivi dell’Agenda 2030 e a che punto siamo?
Come anticipato l’Agenda 2030 espande le 5 P in 17 SDG’S (Sustainable Development Goal) che a loro volta hanno individuato 169 sotto obiettivi e metriche relative. Si tratta quindi di modello complesso e coerente, ripassiamoli insieme:
1. sconfiggere la povertà: porre fine ad ogni forma di povertà nel mondo;
2. sconfiggere la fame: porre fine alla fame, raggiungere la sicurezza alimentare, migliorare la nutrizione, promuovere un’agricoltura sostenibile;
3. salute e benessere: assicurare la salute e il benessere per tutti e per tutte le età;
4. istruzione di qualità: fornire un’educazione di qualità, equa ed inclusiva, e opportunità di apprendimento permanente per tutti;
5. parità di genere: raggiungere l’uguaglianza di genere e l’empowerment (maggiore forza, autostima e consapevolezza) di tutte le donne e le ragazze;
6. acqua pulita e igiene: garantire a tutti la disponibilità e la gestione sostenibile dell’acqua e delle strutture igienico sanitarie;
7. energia pulita e accessibile: assicurare a tutti l’accesso a sistemi di energia economici, affidabili, sostenibili e moderni;
8. lavoro dignitoso e crescita economica: incentivare una crescita economica duratura, inclusiva e sostenibile, un’occupazione piena e produttiva ed un lavoro dignitoso per tutti;
9. imprese, innovazione e infrastrutture: costruire un’infrastruttura resiliente e promuovere l’innovazione ed una industrializzazione equa, responsabile e sostenibile;
10. ridurre le disuguaglianze: ridurre l’ineguaglianza all’interno di e fra le nazioni;
11. città e comunità sostenibili: rendere le città e gli insediamenti umani inclusivi, sicuri, duraturi e sostenibili;
12. consumo e produzione responsabili: garantire modelli sostenibili di produzione e di consumo;
13. lotta contro il cambiamento climatico: promuovere azioni, a tutti i livelli, per combattere il cambiamento climatico;
14. vita sott’acqua; conservare e utilizzare in modo durevole gli oceani, i mari e le risorse marine per uno sviluppo sostenibile;
15. vita sulla terra: proteggere, ripristinare e favorire un uso sostenibile dell’ecosistema terrestre, gestire sostenibilmente le foreste, contrastare la desertificazione, arrestare e far retrocedere il degrado del terreno, e fermare la perdita di diversità biologica;
16. pace, giustizia e istituzioni forti: promuovere società pacifiche e più inclusive per uno sviluppo sostenibile; offrire l’accesso alla giustizia per tutti e creare organismi efficienti, responsabili e inclusivi a tutti i livelli;
17. partnership per gli obiettivi; rafforzare i mezzi di attuazione e rinnovare il partenariato mondiale per lo sviluppo sostenibile.
E l’Italia? È in ritardo, molti degli obiettivi dell’Agenda 2030 appaiono ancora più lontani da raggiungere di quanto non lo fossero lo scorso anno, come ha rilevato il VI Rapporto annuale dell’ASviS, l’Alleanza italiana per lo sviluppo sostenibile, pubblicato a settembre. Il quadro che emerge accende alcune luci di speranza, ma non ignora le tante ombre che purtroppo appaiono preponderanti: il tempo a disposizione per invertire la rotta appare purtroppo sempre più ristretto. Approfondiremo il rapporto nella prima intervista il prossimo mese.
Obiettivo 12 dell’Agenda 2030: di che cosa si tratta e che cosa si intende per consumo e produzione responsabile
L’obiettivo 12 dell’Agenda 2030 invita a porre attenzione a ‘’garantire modelli di consumo e produzione responsabili e sostenibili’’ …tutti inclusi nella catena del valore.
Per consumo e produzione sostenibili si intende la promozione dell’efficienza delle risorse e dell’energia, di infrastrutture sostenibili, di lavori dignitosi e rispettosi dell’ambiente. La sua attuazione prospetta una economia circolare e piani di sviluppo integrati per ridurre gli sprechi. Il consumo e la produzione sostenibile puntano a “fare di più e meglio con meno”, aumentando i benefici per tutti in termini di benessere tratti dalle attività economiche, partendo innazitutto dal minor impiego di risorse e inquinamento nell’intero ciclo produttivo. Questa prospettiva circolare coinvolge tutti gli stakeholder tra cui centri di ricerca e università, imprese di produzione e distribuzione, consumatori, decisori politici, terzo settore… Questo richiede una partecipazione attiva lungo tutte le filiere, una sensibilizzazione crescente su nuovi stili di vita, la rigenerazione di modelli organizzativi e manageriali più attenti al bene comune.
Stiamo consumando le risorse del pianeta, la crisi degli ecosistemi richiede una modifica radicale nei modelli di produzione e consumo più rispettoso dell’ambiente, riducendo la produzione di scorie chimiche e rifiuti, e il consumo di energia e acqua. Se la popolazione mondiale continuasse con questi ritmi nel 2050 servirebbero tre pianeti per soddisfare la domanda di risorse naturali. Ecco perché si parla di consumo e produzione responsabile. E in questo quadro non si può non pensare di trovare il modo di conciliare innovazione e ambiente: la tecnologia da un lato ha sicuramente contribuito a “inquinare” il mondo, ma ora può aiutare a salvarlo. L’industria IT rappresenta il 3% delle emissioni mondiali di CO2, e, se fosse una nazione, sarebbe il terzo maggior consumatore di elettricità al mondo. In più, i dispositivi tecnologici richiedono materiali rari e metalli che depauperano le risorse e creano problemi di smaltimento e sicurezza del lavoro. Per non parlare dei rifiuti elettronici, i cosiddetti RAEE, riciclati solo in minima percentuale. E questi sono solo alcuni esempi. Ma, come detto, l’innovazione digitale, ha un ruolo centrale anche nel costruire un futuro sostenibile, ad esempio nella ricerca di nuove soluzioni per ridurre gli sprechi e adottare modelli di economia circolare che puntano alla sostenibilità sociale e ambientale.
Acqua, energia, cibo: 3 dimensioni da tenere sotto controllo. Le possibili azioni da mettere in campo
Oggi si parla di stress idrico, energetico e alimentare mondiale. Nel caso dell’acqua meno del 3% è potabile, e di questa percentuale il 2,5% è congelata in Antartide, nell’Artide e nei ghiacciai. Per soddisfare il fabbisogno mondiale dobbiamo affidarci allo 0,5%, ma stiamo inquinando l’acqua disponibile troppo velocemente rispetto alle capacità di rigenerazione e purificazione. L’acqua è un bene libero ma le infrastrutture necessarie per trasportarla sono costose e più di un miliardo di persone non accede ancora all’acqua potabile…
Per quanto riguarda l’energia, nonostante i progressi tecnologici sull’efficienza energetica e sulle fonti rinnovabili, aumentano le emissioni di CO2, l’uso e lo spreco di energia in modo esponenziale con un apporto significativo di trasporti, attività commerciali e abitazioni. Aumentano i veicoli posseduti e i chilometri percorsi dagli autoveicoli, triplica il traffico aereo mondiale.
Infine, rispetto al tema cibo, ogni anno ne sprechiamo circa un terzo di quello prodotto che deperisce e finisce nella spazzatura, quasi 1 miliardo di persone soffre di denutrizione, un altro miliardo soffre le fame e 2 miliardi sono sovrappeso o obese. Fenomeni di degradazione dei suoli, l’inaridimento dei terreni, l’utilizzo non sostenibile dell’acqua, l’eccessivo sfruttamento della pesca e il degrado dell’ambiente marino riducono la capacità delle risorse naturali di provvedere alla produzione alimentare.
Su questa base i traguardi per il 2030 riguardano l’attuazione di diversi programmi che prevedono tra le altre cose anche diverse accortezze da parte delle imprese:
- Raggiungere la gestione sostenibile e l’utilizzo efficiente delle risorse naturali
- Ridurre le perdite di cibo durante le catene di produzione e di fornitura, comprese le perdite del post-raccolto
- Raggiungere la gestione eco-compatibile di sostanze chimiche e di tutti i rifiuti durante il loro intero ciclo di vita e ridurre sensibilmente il loro rilascio in aria, acqua e suolo
- Ridurre in modo sostanziale la produzione di rifiuti attraverso la prevenzione, la riduzione, il riciclo e il riutilizzo
- Incoraggiare le imprese, in particolare le grandi multinazionali ad adottare pratiche sostenibili e ad integrare le informazioni sulla sostenibilità nei loro resoconti annuali
- Promuovere pratiche sostenibili in materia di appalti pubblici, in conformità alle politiche e priorità nazionali
E poi, a livello centrale:
- Supportare i Paesi in via di sviluppo nel potenziamento delle loro capacità scientifiche e tecnologiche, per raggiungere modelli di consumo e produzione più sostenibili
- Sviluppare e implementare strumenti per monitorare gli impatti dello sviluppo sostenibile per il turismo sostenibile, che crea posti di lavoro e promuove la cultura e i prodotti locali
- Razionalizzare i sussidi dannosi, ove esistenti che incoraggiano lo spreco eliminando le distorsioni del mercato anche ristrutturando i sistemi di tassazione.
……..
Con questo quadro d’insieme vi saluto con amorevole gentilezza e vi do appuntamento a fine novembre con l’intervista a Marcella Mallen, Presidente di ASviS e Presidente Fondazione Prioritalia.