Non tutti conoscono Fater, joint venture paritetica tra Gruppo Angelini e Procter & Gamble, con sede a Pescara. Tutti, però, conoscono i suoi prodotti: assorbenti per la persona, detergenti per la pulizia della casa e dei tessuti a marchio Pampers, Lines e Ace. Un’eccellenza della manifattura italiana che oggi è una realtà globale presente in 38 Paesi, con un fatturato di 874 milioni di euro e 1.600 dipendenti.
Fater People First, dipendenti e consumatori al cuore delle strategie di brand
L’azienda da sempre è molto attenta a misurare la Customer Satisfaction. In passato lo faceva con le tradizionali ricerche di mercato commissionate a centri studi esterni. Di recente, però, a questa modalità di “tastare il polso” della domanda si è aggiunto anche un impianto innovativo di “ascolto” diretto del consumatore, che rientra nell’ambito della strategia battezzata Fater People First.
Un approccio a 360° che abbraccia tutti gli aspetti dell’inclusione attiva, del consumatore ma anche del personale e delle comunità di riferimento. La stessa propensione all’ascolto che l’azienda mette a disposizione del cliente si ritrova, infatti, anche nell’evoluzione del rapporto con dipendenti e collaboratori, come ci spiega Gilberto Grasso, Head of MPI, Market & People Insight, di Fater.
Who's Who
Gilberto Grasso
Head of MPI, Market & People Insight, di Fater
Cosa significa per Fater essere un’azienda consumer-driven?
Grasso: “Significa che il consumatore è al centro delle strategie e delle decisioni dell’azienda. Basta pensare che in Fater ogni nuova iniziativa, ad esempio il lancio di un nuovo prodotto, viene studiata e valutata in base alla capacità di soddisfare 3 condizioni, che noi chiamiamo le “3C”, ovvero Company, Customer e Consumer. Vale a dire che ciascun progetto, per essere approvato, deve creare valore per l’azienda e per i nostri clienti, ovvero i partner della distribuzione, e deve anche migliorare la vita dei consumatori finali. Più in generale, l’apertura al dialogo e alla conoscenza dei bisogni dei consumatori è parte della nostra strategia People First. Negli ultimi anni, infatti, abbiamo ampliato la nostra definizione di successo, che non consiste più soltanto nel fare prodotti e servizi qualitativamente superiori, ma anche nel creare un ambiente di lavoro in cui le persone si sentano felici e nel lasciare un’impronta positiva nelle comunità in cui operiamo. Questa visione guida la strategia People First”.
Quali sono i cardini della strategia People First?
Grasso: “Il primo cardine è l’ascolto, che significa avere l’umiltà di imparare da tutti. Nell’ultimo anno abbiamo moltiplicato le occasioni di ascolto con la creazione di network interni sui temi per noi più rilevanti come la genitorialità o l’empowerment femminile. Si tratta di team trasversali composti da persone di Fater che dedicano il proprio tempo ad ascoltare gli altri e a trovare soluzioni per migliorare l’ambiente di lavoro. Un altro aspetto fondamentale è la valorizzazione delle unicità. Vogliamo individuare i talenti e le aree di eccellenza di ognuno, per valorizzarle nei percorsi di carriera e per far sì che ogni persona in Fater si senta libera di esprimerle. Vogliamo creare un ambiente di lavoro inclusivo e aperto, e promuovere una cultura della fiducia vulnerabile, del confronto senza filtri, del commitment e della leadership diffusa. Infine, vogliamo essere una azienda attenta alle comunità in cui opera. Il nostro sogno è che la felicità delle persone che lavorano in Fater sia un’energia positiva capace di trasmettersi anche all’esterno, ai nostri stakeholder, fino ad arrivare ai consumatori finali dei nostri prodotti. Vogliamo lasciare alle future generazioni un mondo migliore. E lo facciamo anche attraverso i purpose dei nostri brand. La strategia People First ispira anche progetti più ampi di responsabilità sociale e abbiamo legato a ognuno dei marchi uno specifico obiettivo, molto concreto, per riuscire a generare un cambiamento positivo. Lines, per esempio, è accanto alle donne nella lotta contro gli stereotipi e le discriminazioni di genere, Pampers sostiene la genitorialità e Ace vuole favorire la nascita di un movimento di consumatori impegnati nella cura e valorizzazione degli spazi pubblici delle nostre città”.
In cosa consiste il vostro progetto di trasformazione delle attività di Insight Generation?
Grasso: “Il nostro modo di intendere la generazione di insight, che deriva dalla strategia People First e ne rappresenta la naturale applicazione al mondo delle ricerche di mercato, consiste nell’essere un’azienda capace di mettersi in ascolto diretto del consumatore. Il modello che abbiamo seguito fino a qualche anno fa, e che la maggior parte delle aziende delle nostre dimensioni segue per fare Insight Generation, è quello di commissionare studi specifici a istituti di ricerca, ovvero incaricare consulenti esterni di ascoltare i consumatori e riportare in azienda gli insight. In Fater, abbiamo fatto evolvere questo modello affiancando alla consulenza degli istituti di ricerca esterni lo sviluppo di nuove capabilities interne per l’ascolto diretto dei consumatori sul Web, da remoto, a casa dei consumatori e all’interno dei punti di vendita”. Questa evoluzione ci ha consentito di sviluppare strumenti di ricerca che si basano sul dialogo continuo con il consumatore come il Consumer Expert Panel, in cui chiediamo ad un gruppo di consumatori esperti di aiutarci a sviluppare i nostri prodotti in un percorso di dialogo che dura anche diversi mesi. O come il Co-creation Lab, un processo di sviluppo della comunicazione che coinvolge i manager di Fater e le agenzie di comunicazione, insieme ai nostri consumatori finali. Questo modo di lavorare facilita la diffusione di una cultura aziendale che mette realmente il consumatore al centro dei processi decisionali, e questo credo sia in definitiva il beneficio più importante del nostro progetto di trasformazione. Infine, è importante precisare che non consideriamo l’ascolto diretto del consumatore alternativo al supporto degli istituti di ricerca esterni, ma complementare. Il nostro modello di fare Insight Generation per il futuro si baserà sempre più sul coinvolgimento, nello stesso progetto di ricerca, di punti di vista diversi ma complementari. Quello di ricercatori esterni, che ci garantiscono obiettività e ampiezza di vedute, e quello di ricercatori interni, necessario per andare in profondità nella comprensione del consumatore, valorizzando il know-how e le conoscenze pregresse”.
Quali sono le necessità e i vincoli di questa strategia?
Grasso: “Questa strategia è nata dalla necessità di avere un contatto continuo con il consumatore in un contesto ormai da tempo caratterizzato da grande incertezza. Ci troviamo di fronte a consumatori sempre più imprevedibili, difficilmente etichettabili, sempre meno disposti a fidelizzarsi, che ridefiniscono costantemente le proprie strategie di spesa e di consumo. Ricordo, ad esempio, che in passato le segmentazioni dei consumatori fornivano chiavi di lettura del mercato che rimanevano valide almeno per i successivi 2-3 anni, mentre oggi ogni nuova segmentazione di mercato richiede un aggiornamento già dopo pochi mesi, per la volatilità del contesto di riferimento. D’altro canto, questa strategia permette anche di superare il vincolo della disponibilità dei budget di ricerca, che in questo momento storico sono in contrazione data la crisi economica. Siamo convinti, tuttavia, che il beneficio principale di questa trasformazione non sarà l’aumento dell’efficienza dei nostri investimenti in ricerca, ma il cambio culturale che vogliamo suscitare in azienda, mettendo il consumatore e il suo ascolto al centro”.
Quali sono i riflessi organizzativi?
Grasso: “La creazione di queste capability ha significato anzitutto l’arricchimento del nostro reparto di Insight Generation, grazie all’entrata di nuove professionalità che prima non erano presenti, che appartengono soprattutto al campo della ricerca qualitativa e del digital insight. Inoltre, ha consentito e consentirà sempre più l’ampliamento delle competenze delle persone che già erano presenti nel team di Insight Generation, con lo sviluppo delle skill di ascolto e dialogo con il consumatore, sia fisicamente sia attraverso gli strumenti digitali. Le nuove figure professionali, infatti, attiveranno nei prossimi mesi dei processi di formazione per diffondere a tutta l’azienda la cultura dell’ascolto del consumatore”.
Quali sono gli sviluppi futuri?
Grasso: “Guardando al futuro, credo che gli sviluppi del processo di Insight Generation saranno sempre più declinati in chiave digitale, mentre la sfida più importante sarà l’integrazione con gli strumenti di Data Science. La tecnologia metterà a disposizione soluzioni tecnologiche sempre più smart, agili e a basso costo, che faciliteranno la capacità di connettersi con i consumatori in qualsiasi momento, in maniera semplice e poco costosa. Noi in Fater nell’ultimo anno abbiamo già iniziato a percorrere questa strada, trasformando la nostra App Coccole Pampers da strumento nato esclusivamente per creare fidelizzazione a elemento per generare insight sul cliente, tanto da essere ormai un veicolo di idee sempre nuove che si alimentano grazie al dialogo costante con i nostri consumatori. C’è da considerare che la ricerca condotta con strumenti digitali, se da un lato garantisce agilità dal punto di vista dei tempi e dei costi, dall’altro ha dei limiti. Non garantisce la rappresentatività e la qualità dei contatti dei metodi tradizionali di ricerca. Per questo io vedo questi strumenti non sostitutivi ma complementari a quelli più tradizionali. Infine, lo sviluppo degli Advanced Analytics e della Data Science sta aprendo nuove opportunità, di enorme portata, per l’Insight Generation. In Fater, già da qualche anno abbiamo un team interno che sta sviluppando queste nuove metodologie con grandi risultati. La sfida più interessante, in futuro, sarà di far leva anche su queste nuove capability per irrobustire e potenziare ulteriormente la capacità di generare insight. Per questo penso che, nei prossimi anni, il modello più efficace di Insight Generation non sarà quello che privilegia un solo strumento o un solo approccio metodologico, ma quello che sarà in grado di mettere a disposizione degli insight manager diversi strumenti tra loro complementari, alcuni tradizionali, altri innovativi, da utilizzare insieme per comprendere sempre meglio il mercato e i consumatori”.