All’origine dei nostri guai attuali vi è innanzitutto il debito – più di 2 mila miliardi di euro – che abbiamo cumulato nei quasi 70 anni trascorsi dalla fine della guerra. Ma anche la nostra economia dà il suo contributo: non espandendosi infatti, o addirittura contraendosi, lascia che il rapporto fra debito e PIL continui a crescere e che si alimenti una spirale in cui l’aumento della tassazione – volto a contenere l’incremento del debito – impatta negativamente sulla domanda interna, sull’occupazione, sul PIL e sul gettito fiscale, inducendo un nuovo incremento della tassazione stessa.
È in atto in altre parole una sorta di politica industriale alla rovescia, in cui la carenza di risorse impedisce sia le misure volte a incoraggiare la domanda sia quelle volte a favorire l’innovazione e la nascita di nuove imprese o la realizzazione di infrastrutture (quali le reti telecom di nuova generazione). Ma la nostra economia non soffre solo di questo: soffre di un sistema di regole pesante e talora contradditorio, che frena o addirittura blocca le nuove iniziative; soffre di una pubblica amministrazione spesso carente nell’organizzazione e nello sfruttamento dell’ICT, che carica di costi impropri rilevanti le imprese che devono interagire con essa; soffre di una giustizia civile lenta e onerosa, che disincentiva gli investimenti in Italia delle imprese estere ma anche delle italiane.
Rendere più competitiva la nostra economia si può, con recuperi di efficienza e di efficacia potenzialmente molto rilevanti – come dimostrano le analisi dell’Osservatorio sull’Agenda Digitale della nostra School of Management – che potrebbero rappresentare una vera e propria scossa per il Paese. Le competenze ci sono, sia in tema di ICT sia di organizzazione. Non esiste, per molti dei possibili interventi, una reale barriera finanziaria: in particolare non per quelli che vanno sotto il nome di semplificazione, che non solo non costerebbero ma porterebbero a risparmi quasi immediati sia nella pubblica amministrazione sia nel settore privato. La vera barriera è la mancanza della volontà politica di superare le resistenze – talora fortissime – che si frappongono a ogni ipotesi di cambiamento: una barriera sperimentata dal governo uscente, che in questo ambito ha portato a casa risultati molto inferiori alle intenzioni iniziali.
Sembrerebbe un tema centrale su cui confrontarsi in campagna elettorale, ma non se ne parla quasi. Tutta l’attenzione è concentrata sul come debbano essere ripartiti i sacrifici per contenere il debito – ad esempio sulla introduzione o meno di una patrimoniale – invece che sul come ridurre, almeno in prospettiva, l’entità dei sacrifici.
Forse è fuorviante la denominazione Agenda Digitale (tratta dal linguaggio della UE), sotto cui molti interventi di semplificazione e ristrutturazione della pubblica amministrazione vengono classificati: una denominazione incomprensibile ai più secondo una recente indagine demoscopica, che può far pensare a una tematica di natura specialistica. Ma andrebbe ricordato a tutti che il tema dello snellimento dell’amministrazione federale e della semplificazione delle regole fu centrale – vent’anni fa – nella lotta per la presidenza fra Clinton e Bush padre: con ambedue i candidati, ancorchè in misura e con modalità differenti, obbligati all’azione da una opinione pubblica esasperata dall’eccesso di presenza e dai costi della burocrazia.