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Settimo rapporto Unicredit sulle piccole imprese italiane. Valorizzare il locale, esportare sui mercati più dinamici e fare sistema per reagire alla crisi

Internazionalizzazione, esportazione e scoperta di nuovi mercati più dinamici. Sono queste, secondo i risultati del settimo rapporto UniCredit sulle Piccole…

Pubblicato il 18 Feb 2011

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Internazionalizzazione, esportazione e scoperta di nuovi mercati
più dinamici. Sono queste, secondo i risultati del settimo
rapporto UniCredit sulle Piccole Imprese italiane, le grandi
opportunità che le piccole imprese possono e devono cogliere per
rilanciare l’economia del Paese. Il rapporto sonda la
vitalità e reattività di quei circa 5 milioni di
imprese con meno di 50 addetti presenti in Italia
,
mediante seimila interviste a piccoli imprenditori italiani
clienti della banca e un questionario inviato ad oltre 200
Associazioni di categoria.
I dati raccolti confermano il perdurare di una situazione
di incertezza
, legata probabilmente al protrarsi delle
difficili condizioni che da più di un anno caratterizzano il
contesto dell’economia globale. Gli imprenditori esprimono
però una generale maggiore fiducia per il futuro, e ciò è
valido in particolare per quelle imprese che operano in un
contesto internazionale.


Dall’analisi emerge il ruolo chiave della domanda
estera
sia rispetto alla domanda interna del settore
privato – che risulta debole anche a causa della scarsa crescita
demografica e dei problemi causati da una non equa
redistribuzione del reddito – sia rispetto alla componente
pubblica, vincolata dalla necessità di risanamento del debito.
Nel lungo periodo, la crescita dell’Italia dipende dunque
dalla capacità delle aziende di conquistare maggiori quote di
mercato a livello globale, soprattutto nei Paesi emergenti ad
alto tasso di crescita.
L’Italia si trova attualmente al settimo posto fra i paesi
esportatori dal punto di vista dello scambio di beni e servizi;
tuttavia, l’indagine conferma come i vincoli dimensionali
comportino alcune criticità, tra cui la concentrazione
su un numero limitato di mercati di sbocco
, specie per
gli operatori più recentemente internazionalizzati (il 48% delle
imprese opera su un solo mercato e il 22% su due).


Prevalgono inoltre strategie di globalizzazione a medio raggio:
più del 70% delle esportazioni è rivolto verso i
mercati maturi dell’Europa occidentale
. Occorre
dunque aumentare la presenza sui mercati emergenti: non solo Cina
e India, ma anche i più vicini mercati dell’Europa
centro-orientale – che tra il 2001 e il 2009 hanno contribuito
per due terzi alla crescita complessiva dell’export
italiano – e del bacino del Mediterraneo.
La ricerca mostra come il primo approccio ai mercati esteri sia
avvenuto in maniera autonoma, ovvero servendosi del passaparola
fra imprese, della ricerca su Internet, o partecipando a fiere di
settore. La creazione di reti di imprese appare dunque
necessaria
, per far massa critica e consolidare il
posizionamento competitivo sui mercati internazionali, contenendo
allo stesso tempo al minimo l’impatto dei costi associati
ai processi di internazionalizzazione. Attualmente, infatti, solo
il 20% delle imprese internazionalizzate intervistate dichiara di
appartenere ad un distretto ed il 17% ad una filiera globale.
Appena l’8% dichiara di appartenere a entrambe queste forme
di rete.


La sfida per la competitività delle piccole imprese italiane,
capace di determinarne il successo e la sopravvivenza, è quindi
quella di fare leva sulle caratteristiche distintive del
“made in Italy”, come la creatività, il design e
l’artigianalità industriale. Inseguendo un costante
miglioramento del rapporto qualità/prezzo e puntando sulla
qualità del prodotto italiano di fascia medio-alta,
l’obiettivo sarà quindi quello di conquistare la nuova e
numerosa classe di consumatori benestanti dei paesi emergenti.

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