Internazionalizzazione, esportazione e scoperta di nuovi mercati
più dinamici. Sono queste, secondo i risultati del settimo
rapporto UniCredit sulle Piccole Imprese italiane, le grandi
opportunità che le piccole imprese possono e devono cogliere per
rilanciare l’economia del Paese. Il rapporto sonda la
vitalità e reattività di quei circa 5 milioni di
imprese con meno di 50 addetti presenti in Italia,
mediante seimila interviste a piccoli imprenditori italiani
clienti della banca e un questionario inviato ad oltre 200
Associazioni di categoria.
I dati raccolti confermano il perdurare di una situazione
di incertezza, legata probabilmente al protrarsi delle
difficili condizioni che da più di un anno caratterizzano il
contesto dell’economia globale. Gli imprenditori esprimono
però una generale maggiore fiducia per il futuro, e ciò è
valido in particolare per quelle imprese che operano in un
contesto internazionale.
Dall’analisi emerge il ruolo chiave della domanda
estera sia rispetto alla domanda interna del settore
privato – che risulta debole anche a causa della scarsa crescita
demografica e dei problemi causati da una non equa
redistribuzione del reddito – sia rispetto alla componente
pubblica, vincolata dalla necessità di risanamento del debito.
Nel lungo periodo, la crescita dell’Italia dipende dunque
dalla capacità delle aziende di conquistare maggiori quote di
mercato a livello globale, soprattutto nei Paesi emergenti ad
alto tasso di crescita.
L’Italia si trova attualmente al settimo posto fra i paesi
esportatori dal punto di vista dello scambio di beni e servizi;
tuttavia, l’indagine conferma come i vincoli dimensionali
comportino alcune criticità, tra cui la concentrazione
su un numero limitato di mercati di sbocco, specie per
gli operatori più recentemente internazionalizzati (il 48% delle
imprese opera su un solo mercato e il 22% su due).
Prevalgono inoltre strategie di globalizzazione a medio raggio:
più del 70% delle esportazioni è rivolto verso i
mercati maturi dell’Europa occidentale. Occorre
dunque aumentare la presenza sui mercati emergenti: non solo Cina
e India, ma anche i più vicini mercati dell’Europa
centro-orientale – che tra il 2001 e il 2009 hanno contribuito
per due terzi alla crescita complessiva dell’export
italiano – e del bacino del Mediterraneo.
La ricerca mostra come il primo approccio ai mercati esteri sia
avvenuto in maniera autonoma, ovvero servendosi del passaparola
fra imprese, della ricerca su Internet, o partecipando a fiere di
settore. La creazione di reti di imprese appare dunque
necessaria, per far massa critica e consolidare il
posizionamento competitivo sui mercati internazionali, contenendo
allo stesso tempo al minimo l’impatto dei costi associati
ai processi di internazionalizzazione. Attualmente, infatti, solo
il 20% delle imprese internazionalizzate intervistate dichiara di
appartenere ad un distretto ed il 17% ad una filiera globale.
Appena l’8% dichiara di appartenere a entrambe queste forme
di rete.
La sfida per la competitività delle piccole imprese italiane,
capace di determinarne il successo e la sopravvivenza, è quindi
quella di fare leva sulle caratteristiche distintive del
“made in Italy”, come la creatività, il design e
l’artigianalità industriale. Inseguendo un costante
miglioramento del rapporto qualità/prezzo e puntando sulla
qualità del prodotto italiano di fascia medio-alta,
l’obiettivo sarà quindi quello di conquistare la nuova e
numerosa classe di consumatori benestanti dei paesi emergenti.