Analisi

Privacy e social, la guerra dei big

Facebook rende tutti i profili rintracciabili. Google misura le performance pubblicitarie attraverso tutti i punti di contatto digitali, andando oltre i cookie. E Microsoft permetterà agli sponsor di tracciare gli utenti che usano App su Windows 8 su tablet e PC. Con un obiettivo preciso: conoscere tutto del profilo utente

Pubblicato il 03 Dic 2013

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L’invasione della privacy da parte dei big del web – social network in testa – è solo agli inizi. Sbagliamo a ritenerla già in uno stadio avanzato. In realtà l’esposizione delle nostre vite si appresta a raggiungere nuove vette.

È in gioco infatti un fattore di discontinuità, con tecnologie e policy che si propongono un obiettivo preciso: abbattere le barriere residue tra la nostra vita e la sua rappresentazione a scopo marketing e pubblicitario.

Le ultime notizie che arrivano dai social network, da Google e Facebook ma non solo, raccontano questa evoluzione, in varie salse.

Riassumiamole così: le piattaforme mirano a controllare il senso complessivo delle nostre attività su vari strumenti. Ci vogliono conoscere meglio, più a fondo, e trarre valore crescente da questa conoscenza.

Lo fanno con due strategie: cambiando le modalità di condivisione- rendendole sempre più dirette e immediate- e affinando strumenti o reti di accordi per ricostruire un profilo unico che ci rappresenti.

A loro non basta più tenere traccia di quello che facciamo su singoli dispositivi- computer o cellulare- sulle loro piattaforme. Vogliono arrivare a un profilo utente che dica tutto; che sia il risultato composto di tutte le nostre attività, su diversi dispositivi, online e offline assieme. Insomma un profilo che coincida quanto più possibile con la persona vera che c’è dietro.

Arrivare a questo punto darebbe un potere inaudito al marketing e a chi vende messaggi pubblicitari. Ma anche a tutti quei soggetti interessati a esercitare controllo sociale sugli individui.


Le nuove policy di condivisione
Finora il grande pubblico ha appreso con facilità solo le notizie riguardanti il primo di questi due fenomeni, cioè il cambio di modalità di condivisione. Tra le ultime notizie: Facebook ora rende tutti i profili immediatamente rintracciabili sul social network (impossibile nascondersi) e ha tolto i limiti alla pubblicazione di post da parte dei minorenni.

Sui teenager del resto c’è una corsa all’oro, in questi giorni, tra diversi social network. Snapchat, Ask.fm, We heart it e altri stanno superando Facebook per popolarità tra i teenager, perché riescono meglio a rappresentarli.

Il segno distintivo di questi social è comunque la possibilità di condividere con meno barriere più cose di sé, in modo immediato.

Addirittura Snapchat permette di mandare foto e video che si autodistruggono dopo essere viste, incoraggiando così l’esposizione di sé e fenomeni come il sexting.


Un profilo unico per tracciarci ovunque
Ma in fondo queste sono schermaglie rispetto alla rivoluzione che si apre con il secondo fenomeno, basato su tecnologie mobile e analytics su Big Data.

Di fondo c’è un’emergenza: il boom dei vari dispositivi mobili, smartphone, tablet, con le loro App e browser, sta frammentando la quantità di dati che spargiamo in rete. La nostra attività non è più nemmeno lontanamente riassumibile con la navigazione PC.

Allora si pone un doppio problema, per chi vive con la pubblicità: come tracciare le nostre abitudini anche sui dispositivi diversi dal PC (sui quali non funzionano i famosi cookie)? E come ricondurre allo stesso profilo utente ciò che è tracciato su una molteplicità di strumenti? Capire insomma che è la stessa persona ad aver visto l’app del meteo sull’iPad la mattina, a aver cercato i prezzi delle scarpe sul computer di casa e che poi in metro, sullo smartphone, ha cercato gli orari di un treno.

I big ci stanno provando e possiamo considerarla sia la prossima frontiera della pubblicità online sia la nuova emergente minaccia alla nostra privacy.

Google ha presentato recentemente lo strumento Universal Analytics: permette di misurare le performance pubblicitarie attraverso tutti i punti di contatti digitali (siti web, app e persino chioschi, colonnine in strada).

Include lo strumento “User ID”, che assegna un identificativo unico all’utente attraverso Gmail, il browser Chrome su computer e i cellulari Android.

Già da tempo Google associa al nostro account le attività fatte con i suoi servizi su diversi dispositivi e quindi ci può mandare su computer la pubblicità di un paio di scarpe che abbiamo cercato su cellulare il giorno prima.

La novità è quindi un tracciamento che si fa sistema intorno ai singoli individui. È così che si spiega la guerra dei Garanti Privacy europei contro le nuove politiche di privacy Google, che di recente si è riservata il diritto di incrociare dati personali raccolti da diversi servizi del proprio arsenale (motore di ricerca, social network, Youtube eccetera).

Microsoft ha annunciato a fine ottobre che permetterà agli sponsor di tracciare gli utenti che usano app su Windows 8 su tablet e PC, sempre tramite un identificativo unico. Non l’aveva mai fatto.

Facebook è un passo avanti agli altri sulla ricostruzione dell’identità unica degli utenti. È già comune infatti usare la sua app su dispositivi mobili (lo fanno 10 milioni di italiani ogni giorno, secondo dati riportati dall’azienda a novembre).

Ma questo al colosso social non basta. Sta diffondendo tra siti di terze parti una propria porzione di codice che riconosce l’utente (a patto che questo sia loggato su Facebook mentre naviga). Allora per esempio un sito di scarpe sa qual è il nostro profilo Facebook e ci può mandare la pubblicità personalizzata sul social network.

Funziona in modo simile l’idea della startup Flurry. Integra il proprio codice di tracciamento in 350mila app (grazie ad accordi con gli sviluppatori) e poi offre agli sponsor i risultanti profili (anonimi) degli utenti.


Big data online e offline
Si può fare meglio grazie a un sapiente uso dei big data. La startup Drawbridge ha sviluppato un sistema di analytics per capire, con un modello statistico, che diversi dispositivi appartengono alla stessa persona: correlando i diversi siti o app utilizzati, l’ora e il luogo (per avere queste informazioni Drawbridge ha fatto accordi con le principali piattaforme pubblicitarie online).

Pure Facebook lavora su Big Data, per conoscere meglio i propri utenti. Ha comprato di recente l’israeliana Onavo, che ha una tecnologia in grado di analizzare le attività fatte su dispositivi mobili.

Il prossimo passo è integrare i dati online con l’attività offline in un profilo coerente che identifichi una persona. Già adesso negli Stati Uniti, Facebook grazie ad accordi con altre società, riesce a mettere assieme i dati dei propri profili con varie attività fatte dagli utenti nel mondo reale (acquisti nei negozi, hotel, voli aerei). Lo fa grazie a quanto viene tracciato dalle carte fedeltà e dai circuiti di carte di credito.

Non si tratta, in prospettiva, di un mero accumulo di dati intorno alla persona. Le tecnologie Big Data permettono di fare inferenze e correlazioni statistiche in modo che il risultato finale sia superiore alla somma delle parti, per arrivare a capire quello che davvero una persona vuole e- in fin dei conti- pensa. «Ci sono diversi studi secondo cui è possibile conoscere i nostri gusti politici, religiosi e sessuali grazie all’analisi dei nostri post (o semplici “mi piace”) su Facebook o Twitter. Anche se non abbiamo mai dichiarato espressamente queste preferenze», dice Giovanni Boccia Artieri, docente di sociologia all’Università di Urbino.

È la stessa economia del Web a costringere le aziende a conoscerci sempre meglio. La nostra attenzione è sempre più scarsa e sempre più difficile da catturare. Un tempo bastava un banner, adesso è necessario che la pubblicità faccia sempre più tutt’uno con i contenuti interessanti per noi. Serve insomma che si mescoli di soppiatto con il flusso delle nostre attività, letture, conversazioni.


I rischi
Andiamo insomma verso uno scarto qualitativo- non solo quantitativo- della capacità delle aziende di penetrare nelle nostre vite. I social network sono soltanto l’arma più sofisticata di questo obiettivo.

È uno scarto qualitativo perché finché resta qualche lato oscuro, nelle nostre attività online e offline, le aziende possono sempre sbagliare qualcosa nel mandarci pubblicità personalizzata. Ci possono ancora proporre- come ancora accade- un modello di scarpe che abbiamo già comprato dopo averlo ricercato sul web.

Se tutte le nostre attività commerciali o para-commerciali diventano tracciate all’interno di uno stesso profilo, c’è quindi un cambio di passo. Il marketing non ha più limiti. Ma «diversi studi sociologici hanno evidenziato che è molto facile orientare qualcuno verso una preferenza se sai molte cose di lui o di lei. Perché sai premere sui tasti giusti, al momento giusto (quando quello è più influenzabile, per esempio)», dice Artieri.

C’è da chiedersi se saremo in balia della volontà commerciale delle aziende, in un futuro in cui i consumatori diventeranno edifici di vetro. Un altro interrogativo è di carattere politico. Se l’utente trasparente sarà influenzabile dai messaggi commerciali, potrà esserlo anche da quelli elettorali. Anche nelle società democratiche, inoltre, diventerà più difficile esercitare la devianza dal pensiero maggioritario e il dissenso. Pratiche che sono alla base del pluralismo e che hanno potuto maturare finora solo grazie alla privacy.

«Internet è il più grande strumento di sorveglianza di massa mai inventato. In questo, gli interessi di aziende web e Governi coincidono: rendere trasparenti quanti più dati possibili sulla nostra vita», dice- riferendosi alle intercettazioni del datagate- Bruce Schneier, uno dei massimi esperti mondiali di privacy e cybersecurity. «La promessa di internet era che avrebbe favorito la democrazia dando più potere- di espressione e auto-organizzazione- ai molti. Ma sta tramontando per via di un modello di economia web basato sui nostri dati personali», dice Casey Oppenheim, uno dei fondatori di Disconnect.me, servizio che mostra sul browser quali siti stanno “tracciando” la nostra navigazione (che cioè stanno tenendo traccia dei nostri passaggi). Ci permette anche di bloccarli. Da ottobre ha aggiunto la possibilità di fare ricerche anonime sui principali motori.

Una speranza è appunto che gli utenti capiscano l’importanza della privacy e adottino i sempre più numerosi strumenti di anti-tracking e di crittografia, per proteggerla. Il dubbio è su come potrà crescere questa consapevolezza se non è negli interessi di importanti decisori come i big del web e gli stessi Governi.

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