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Polimi, Miragliotta: «L’AI non è una minaccia per il mondo del lavoro, è una necessità»

Entro i prossimi 15 anni in Italia si prevede un deficit di 4,7 milioni di posti di lavoro. L’automazione e l’intelligenza artificiale in questo scenario giocano un ruolo di primo piano: copriranno 3,6 milioni di posti, generando domanda per professioni completamente nuove. Giovanni Miragliotta, Direttore dell’Osservatorio Artificial Intelligence: «Va trovato un nuovo equilibrio complessivo»

Pubblicato il 19 Feb 2019

AI lavoro

Il tema dell’impatto che avrà l’Artificial Intelligence sul mondo del lavoro è ancora denso di interrogativi. Se, da un lato, il 33% delle imprese italiane ha dovuto assumere nuove figure professionali qualificate e il 39% ha implementato l’AI senza modifiche dell’organico, il 27% ha dovuto ricollocare personale dopo l’introduzione di una soluzione AI.

A metterlo in evidenza la ricerca 2019 dell’Osservatorio Artificial Intelligence del Politecnico di Milano, che ha coinvolto 151 realtà italiane. Complessivamente, è emerso che la domanda di lavoro delle imprese sta crescendo e, data la complessità della tematica, a beneficiarne sono soprattutto le figure professionali tecnicamente più qualificate, capaci con la loro esperienza di governare questa innovazione.

In particolare, l’Osservatorio ha indagato quale potrebbe essere il bilancio occupazionale in Italia, combinando dati da fonti e ricerche pubbliche con quelli direttamente rilevati di adozione delle imprese, interrogandosi sul modo in cui l’AI modifica l’equilibrio tra domanda e offerta di lavoro, su quali scenari si prefigurano per il nostro Paese, e su quale sarà l’impatto sull’equilibrio del sistema previdenziale della progressiva adozione di soluzioni di job automation abilitate da AI.

Secondo i dati Istat, in Italia oggi ci sono 23,3 milioni di lavoratori e 12,3 milioni di pensionati, le posizioni lavorative che non trovano un’adeguata offerta sono circa 300mila.

Entro i prossimi 15 anni le previsioni dicono che si passerà a circa 21,9 milioni di lavoratori e 14,5 milioni di pensionati, con un saldo netto di -1,4 milioni di lavoratori. Allo stesso tempo, l’aumento dei consumi e delle aspettative di qualità della vita e il maggior carico assistenziale per una popolazione progressivamente invecchiata comporteranno un incremento della domanda di lavoro di circa 3,3 milioni di posti di lavoro, facendo salire così a 4,7 milioni di posti il deficit complessivo atteso.

«In questo scenario, il potenziale recupero di produttività promesso dall’AI, e più in generale dalla nuova automazione, non è da vedere come una minaccia, ma anzi una necessità, prima ancora che un’opportunità, se si vogliono mantenere gli attuali livelli di benessere economico e sociale – ha sottolineato Giovanni Miragliotta, Direttore dell’Osservatorio Artificial Intelligence -. Va però trovato un nuovo equilibrio complessivo».

Estrapolando i dati di automazione potenziale delle attività svolte nelle varie categorie di professioni e incrociandoli con la distribuzione della popolazione lavorativa (dato Istat) e con la diffusione di applicazioni di AI nelle imprese italiane rilavata dalla ricerca 2018 dell’Osservatorio, è stato stimato che l’equivalente di 3,6 milioni di persone potrà essere automatizzato entro i prossimi 15 anni: un dato che ribilancia il gap atteso tra domanda e offerta, e lascia comunque un disavanzo di 1,1 milioni di posti di lavoro da colmare con una riduzione del tasso di disoccupazione, riconversione e formazione della forza lavoro. È ragionevole ipotizzare, inoltre, che le nuove tecnologie generaranno domanda per professioni completamente nuove, tracciando uno scenario rassicurante dal punto di vista dell’equilibrio tra domanda e offerta di lavoro.

L’impatto sull’equilibrio del sistema previdenziale

L’invecchiamento della popolazione e la riduzione dell’offerta di lavoro metteranno a dura prova la sostenibilità del sistema assistenziale e previdenziale così com’ è disegnato oggi. L’AI e l’automazione non sono la causa di questo fenomeno, ma anzi contribuiranno a mitigare lo squilibrio atteso, riducendo da un lato gli oneri assistenziali e previdenziali, e aumentando, dall’altro, la produttività del lavoro. Per mantenere invariato l’attuale equilibrio socio-economico del Paese è necessario raggiungere nei prossimi 15 anni un tasso di produttività pari all’1,5% annuo: si tratta di un valore molto lontano dalle attuali capacità del nostro sistema economico, a cui l’automazione abilitata dall’AI potrà contribuire positivamente, creando nuovi lavori a maggiore valore e riducendo il numero di ore necessarie per ottenere uno stesso risultato.

In merito al sistema contributivo, andrà ripensato in un contesto in cui il lavoro non sarà più la fonte prevalente di creazione della ricchezza: sempre meno persone lavoreranno, con grandi sproporzioni di reddito e in uno scenario di forte mobilità globale.

«Nei prossimi anni sarà necessario pensare ad una revisione del sistema contributivo, considerando che il lavoro non sarà più la principale fonte di creazione della ricchezza. E sarà necessario rivedere i sistemi di misura della ricchezza, arrivando forse a includere nuove grandezze come l’esistenza di meccanismi di formazione permanente, di protezione e sicurezza sociale, nonché́ la circolarità̀ dell’economia», ha ribadito Miragliotta.

Sarà quindi necessario superare la visione attuale del lavoro: le metriche finanziarie e le cifre di merito oggi premiano le imprese che sacrificano i lavoratori non più produttivi, senza considerare le ricadute negative e gli effetti sociali e sistemici. Ecco perchè sarà necessario rivedere i sistemi di misura della ricchezza, arrivando forse a superare il PIL e includendo (sia a livello imprese sia a livello sistema) grandezze nuove come l’esistenza di meccanismi di formazione permanente, di protezione e sicurezza sociale, nonché la circolarità dell’economia.

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