L’economia italiana è debole e le PMI italiane nel 2019 accusano il colpo, con fatturati e margini in frenata. Tuttavia sono finanziariamente sempre più solide e continuano a investire, soprattutto nel manifatturiero, grazie al piano Industria 4.0. I dati della sesta edizione del Rapporto Cerved fotografano un quadro che nel 2018 e nella prima parte del 2019 vede in stallo fatturato e profitti, senza però incidere negativamente sui profili di rischio delle aziende, che sono anzi ulteriormente migliorati rispetto all’anno precedente: sono 100.000 le PMI classificate come ‘sicure’ o ‘solvibili’. In sintesi, afferma il rapporto, nel 2018 la ripresa delle PMI, che durava dal 2013, ha perso slancio e ha continuato a perderlo anche nella prima parte del 2019.
E in futuro non andrà meglio. Gli indici di redditività subiranno un’ulteriore flessione: nel 2021, al termine del periodo di previsione, il ROE si attesterà al 10,4% (dall’11% del 2018).
Come non bastasse, nei primi sei mesi del 2019 sono tornati ad aumentare i ritardi e i tempi di pagamento delle PMI, dopo una lunga fase di miglioramento. Tuttavia, la percentuale di aziende che saldano con ritardi superiori a due mesi rimane bassa e lontana dai massimi osservati durante la recessione.
Nel dettaglio, i dati del 2018 mostrano fatturato in aumento in termini nominali (+4,1%, l‘anno prima era 4,4) ma nella sostanza fermo ai livelli del 2017, valore aggiunto in crescita (+4,1%) ma a ritmi più ridotti del costo del lavoro (+5,6%), con effetti negativi sulla produttività e sui margini.
Il Rapporto si sofferma in particolare su una novità, il Codice della crisi, che punta a far emergere anticipatamente le crisi aziendali, un documento a cui Cerved ha contribuito in qualità di partner scientifico del Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti e degli Esperti Contabili.
Le procedure di allerta previste dal nuovo Codice hanno lo scopo di aiutare il risanamento delle società per cui la difficoltà è temporanea e rendere più rapida e meno costosa l’uscita dal mercato per quelle in cui è invece irreversibile. Le PMI dovranno dotarsi di sistemi di autovalutazione per monitorare il proprio rischio di default, con costi stimati fra 20 e 40 mila euro all’anno. Investimenti non trascurabili perché occorrono sistemi di risk management, formazione e organi di controllo. I benefici per il sistema potrebbero comunque superare i costi e raggiungere i 10 miliardi di euro (contro 6 miliardi di spesa) se le PMI coglieranno quest’opportunità per migliorare la loro gestione economico-finanziaria.
Dal digitale una spinta alla crescita per le PMI
Le note positive hanno come comune denominatore l’innovazione digitale. Le PMI hanno aumentato gli investimenti, in crescita nel 2018 e pari al 7,1% delle immobilizzazioni materiali. Una dinamica che risulta particolarmente sostenuta nel settore manifatturiero, grazie agli incentivi del piano Industria 4.0. Nonostante questi miglioramenti, i livelli di investimento delle PMI rimangono largamente inferiori a quelli pre-crisi: le PMI più solide non hanno difficoltà a reperire capitali, ma spesso preferiscono ricorrere a risorse generate internamente o a capitale proprio.
Dall’adeguato utilizzo delle nuove tecnologie potrebbero arrivare risorse aggiuntive da dedicare agli investimenti, in particolare per portare credito nella filiera e liberare liquidità: In Italia esiste un potenziale di smobilizzo delle fatture che Cerved valuta in 40 miliardi di euro. La società, ad esempio, ha appena lanciato Money&Go, una piattaforma Fintech totalmente digitale su cui le piccole imprese potranno vendere le fatture attraverso una valutazione automatica del rischio del cedente e del ceduto. Uno strumento utile anche per banche e società di factoring.