Il sistema Italia sta provando ad abolire la carta, pian piano, con una raffica di recenti norme, e quindi per gli studi professionali è il momento giusto per attrezzarsi e passare alla conservazione sostitutiva. Insomma, l’ecosistema spinge perché gli studi abbraccino la dematerializzazione, seguendo lo stesso percorso avviato da imprese e pubbliche amministrazioni.
Per conservazione sostitutiva s’intende infatti quella procedura che consente di conservare in solo formato digitale documenti che all’origine erano cartacei (con la scansione) oppure documenti prodotti sin dall’origine in formato digitale.
Un contesto favorevole per digitalizzare i documenti
Che sia il momento giusto per pensare alla dematerializzazione è anche uno dei punti di una recente ricerca dell’Osservatorio ICT & Commercialisti della School of Management del Politecnico di Milano.
- Il contesto è favorevole a questo passo – come affermato durante la presentazione della ricerca, a febbraio, a Smau Business Bari – per vari motivi. Le norme stanno spingendo verso la PA digitale e i documenti elettronici.
- Il decreto legge Salva Infrazioni (pubblicato a dicembre) equipara le fatture elettroniche a quelle cartacee.
- L’Italia sta avviando inoltre un iter che obbligherà le PA ad accettare fatture elettroniche (con una roadmap che si estenderà nel 2014-2015). L’Agenda digitale (via il decreto Crescita 2.0) spinge in varie forme verso la dematerializzazione, potenziando per esempio la Posta elettronica certificata.
- L’Osservatorio, nella presentazione di Bari, mette in fila anche altri elementi la Gestione elettronica documentale (Ged) crescerà del 10 per cento annuo tra il 2009 e il 2014; è aumentata del 18 per cento, tra il 2007 e il 2011, la diffusione delle extranet per gli scambi documentali. E ancora: crescono anche gli strumenti abilitanti all’uso di documenti elettronici, come la banda larga fissa e mobile e l’uso di tablet.
Archivi cartacei via, si passa all’archiviazione informatica
Di converso, gli archivi cartacei sono sempre meno sostenibili. Secondo la ricerca dell’Osservatorio, su 608 professionisti, il 54 per cento degli archivi è prossimo alla saturazione. L’8 per cento è già saturo. «Gli archivi scoppiano di carta e costano (se esterni), oppure se sono di proprietà, intere stanze sono occupate da scaffali. Uno spreco che, tra l’altro, è destinato a dilatarsi nel tempo. La sola conservazione sostitutiva comporta risparmi da 1 a 3 euro di risparmio per le sole fatture attive che lo studio dovrebbe conservare per conto del Cliente e da 1 a 2 euro per le fatture passive», spiega Claudio Rorato, responsabile di questo Osservatorio.
Eppure, secondo la stessa ricerca, solo il 12 per cento degli studi adotta già la Conservazione sostitutiva; il 7 per cento dice “la adotterò a breve” e il 32 per cento “più avanti”. Il resto non è interessato affatto e i dati sono gli stessi per le diverse fasce di fatturato. Va solo un po’ meglio per il Ged, adottato dal 14 per cento degli studi, con il 31 per cento che si dice per niente interessato.
Due articoli degli Osservatori del Politecnico di Milano mostrano questi aspetti in maniera impeccabile: ovvero la diffusione dei processi di conservazione sostitutiva attraverso processi di digitalizzazione e processi di conservazione digitale.
Gli ostacoli all’adozione? Falsi miti
Motivi del rifiuto? Non vedono benefici economici e ritengono poco chiara la normativa. Ma sono falsi miti e barriere mentali, secondo l’osservatorio, a frenare la Conservazione sostitutiva. I vantaggi economici sono ormai assodati, come già detto.
Gli strumenti tecnologici che servono a conservare i documenti sono semplici, inoltre. Essenzialmente due, oltre naturalmente al software e ai supporti di memorizzazione (server, CD, DVD): la firma digitale (del professionista) e la marca temporale da apporre ai documenti elettronici che si intendono conservare in solo formato digitale. La normativa? “Complessa ma chiara, sin dal 2004”, spiega Umberto Zanini, commercialista e revisore contabile.
È vero, “all’inizio presentava diverse lacune interpretative, considerato che in questi 11 anni sono state pubblicate dell’Agenzia delle Entrate 2 importanti Circolari e più di 20 Risoluzioni, ma ad oggi possiamo dire che la normativa è “chiara”, e quindi non vi sono particolari criticità interpretative”.
Forse l’ostacolo che più di altri sembra frenare o quantomeno ritardare l’adozione di questi processi, potrebbe essere la complessità della normativa, “ma questo è purtroppo necessario, dato che è necessario coordinare una normativa fiscale (già di per sé non semplice) con una normativa tecnica (firma digitale, marca temporale)”.
Consideriamo però che la conservazione sostitutiva non si applica ai soli documenti fiscali ed amministrativi, ma a tutti i documenti in generale, come per esempio progetti, disegni, e-mail; e in taluni settori vige una specifica normativa al riguardo, da rispettare, come nel caso del libro unico del lavoro, oppure dei documenti assicurativi.
Conservazione sostitutiva in outsourcing
Va aggiunto però che i processi di conservazione sostitutiva possono essere svolti anche in full-outsourcing. Si può quindi affidare il processo a società specializzate e infatti spesso la conservazione sostitutiva dei documenti dei professionisti viene offerta dalle organizzazioni che offrono servizi di elaborazioni dati contabili o consulenza fiscale, come i commercialisti o le associazioni di categoria. I costi sono alla portata di tutti gli studi.
“Non è quindi necessario che il professionista diventi un esperto di conservazione sostitutiva, quello che è rilevante è che abbia ben chiaro che la normativa ad oggi in Italia consente di conservare per tutti gli anni di conservazione richiesti dalle disposizioni fiscali e civili, documenti in solo formato digitale”, dice Zanini.
Insomma, non ci sono alibi per evitare la Conservazione sostitutiva. Ma il problema di fondo è culturale, secondo l’Osservatorio: la maggioranza dei professionisti non percepisce ancora l’utilità profonda della tecnologia (in generale) nella creazione di valore.