Possiamo essere scettici nei confronti dell’Internet of Things, termine forse ormai abusato, ma è indubbio che oggi si è di fronte ad un cambiamento e che le aziende devono farsi trovare pronte. Non a caso, esistono iniziative che vanno in questa direzione: ne è un esempio la Internet of Things Alliance (iota), composta dalle principali società del settore Telco, IT e manufacturing tedesche, alleate con l’obiettivo di facilitare la creazione di soluzioni concrete nell’ambito dell’Internet of Things in generale, dalle applicazioni Machine to Machine alle applicazioni nell’Industry 4.0.
Eppure malgrado le iniziative e gli sforzi di pianificazione che si possono attuare, c’è sempre un ostacolo: la mancanza di un’infrastruttura adeguata, in grado di gestire dati, capacità di storage ed elaborazione affinché l’IoT si realizzi.
Con sempre più device collegati ad Internet – dai termostati alle automobili – si rende necessaria un’infrastruttura particolarmente scalabile nelle sue componenti di capacità e di calcolo: una rivoluzione per i data center.
Il fatto che i sensori stiano diventando sempre più piccoli e convenienti, rende relativamente semplice abilitare la connettività dell’IoT su tutti i tipi di dispositivi. Tuttavia, non sono solo gli oggetti di uso comune a spostarsi sulla rete: l’IoT viene usato anche su vasta scala, abilitando innumerevoli innovazioni.
Solo per citarne alcuni: l’utilizzo di sensori nella viticoltura, nella quale forniscono indicazioni circa la quantità di acqua da irrigare per assicurare la massima efficienza dei vigneti; in ambito healthcare uno dei primi settori ad introdurre sistemi di IoT, dove i sensori possono essere utilizzati per l’erogazione dei farmaci.
Gartner stima che il numero di dispositivi dell’Internet of Things arriverà a 25 miliardi entro il 2020. Per avere un termine di confronto, si stima che il numero totale di computer, tablet e smartphone, sempre nel 2020, sarà di 7.3 miliardi di unità. Entro la fine del decennio, i dispositivi IoT produrranno 40.000 exabyte (40 miliardi di gigabyte) di dati che devono essere archiviati e gestiti.
Di fronte a questi dati, chi gestisce un data center dovrà pianificare attentamente ingenti investimenti per assicurare un servizio adeguato. Di certo ci si troverà dinanzi ad un problema ossia che tra tutti i dati che verranno generati dall’esplosione dell’IoT, molti di essi saranno irrilevanti: ” segnali-rumore” che comunque dovranno essere scaricati, memorizzati ed elaborati. Questo avrà un impatto immediato sulla larghezza di banda e sulla capacità dei data center, che saranno sempre più “sotto pressione” per assicurare quanto l’IoT promette: la disponibilità del dato in ogni momento, in ogni luogo, in ogni contesto e con ogni tipo di connettività.
Non a caso IDC avverte che l’IoT potrebbe non arrivare ad esprimere il suo massimo potenziale se non venissero fatti investimenti nell’aggiornamento dei data center; le stime prevedono che, con la crescita dell’IoT, i data center verranno sottoposti a carichi di lavoro di gran lunga superiori a quelli attuali, con un notevole impatto a livello di networking, storage e analisi.
In termini di investimenti, è bene che le aziende si concentrino di più sui requisiti richiesti dalla piattaforma IoT a livello di data center, più che sui singoli server o dispositivi di storage; sempre IDC, infatti, prevede che entro i prossimi cinque anni oltre il 90% dei dati derivati da IoT sarà ospitato in un ambiente cloud.
Verso l’infrastruttura iperconvergente
Per far fronte a questa situazione, siamo dell’avviso che, piuttosto che cercare di colmare le lacune del data center acquistando singoli componenti, sia preferibile muoversi verso un’infrastruttura converged o hyper-converged, che offrono maggiore flessibilità, per partire piccoli e scalare con il crescere anche poco prevedibile delle necessità..
Scendendo di un livello, le architetture centrali dovranno essere differenziate per tipologia di dati e quindi di applicazioni: da un estremo ci saranno applicazioni real-time o near-real time per le quali i dati dovranno essere elaborati con tempi fino ad ora impensabili e dall’altro applicazioni che invece dovranno elaborare enormi quantità di dati non strutturati con una profondità storica significativa.
La trasformazione digitale della singola azienda consentirà la creazione di nuovi prodotti e servizi a partire dai dati generati dai sensori ed elaborati da architetture descritte precedentemente.
Senza una modernizzazione adeguata del datacenter si rischia di essere travolti dall’onda dei dati dell’Internet of Things pur avendone colto i vantaggi dal punto di vista di business.
*Fabio Pascali è Sales Manager Top Accounts di EMC