«Change is Big Data and Analytics» è il titolo di una delle sessioni pomeridiane di approfondimento dell’evento «Change the game», organizzato a Milano qualche giorno fa dallo specialista di consulenza ICT e cloud Noovle. Sul palco, a discutere del ruolo di Big Data e real time analytics a supporto della digital disruption e dei nuovi modelli di business data driven si sono alternati specialisti IT e clienti finali.
Largo ai citizen data scientist
In un mondo che cambia e si vota sempre più al “digital”, mutano anche i modelli di business. Nuovi attori si affacciano
sui mercati tradizionali per sconvolgerli, scardinando i tradizionali legami tra azienda/fornitore e cliente/utente. Il business digitale è un business che si fonda sulle informazioni, sui dati. E le tecnologie che abilitano una miglior gestione dei dati la fanno da padrone. «Si tratta di un assunto che Google ha compreso sin dagli esordi, nell’ormai lontano 1998 – spiega Andrea Aymerich Head of Google Cloud Platform Italy & Spain di Google Cloud -. Google fonda la sua attività sull’acquisizione, la riorganizzazione e l’esposizione di dati e informazioni. Un esempio di come questa sua passione si esprime al meglio è Google Cloud Machine Learning, un servizio che permette a qualunque azienda di creare con facilità modelli di apprendimento automatico ricavabili da qualunque tipologia di dati, strutturati e non, senza dover investire in costosi data center». Il cloud diventa, quindi, un serbatoio al quale attingere per reperire, una volta appositamente ripulite e rielaborate sulla base di algoritmi scientifici, le informazioni utili a supportare sistemi decisionali real time. «Nelle aziende digitali, e tutte le
aziende ormai lo sono, non c’è più spazio per la latenza – chiarisce il Developer Advocate di Google Cloud, Bret McGowan -. La gestione dei Big Data è sempre più democratica ed ecco perché noi di Google crediamo che in futuro la figura di spicco all’interno delle organizzazioni sarà il citizen data scientist. Chi è? Uno specialista che non è propriamente un matematico o un esperto di statistica. È, piuttosto, un’espressione diretta delle LOB, un operatore che sa vedere oltre i numeri, utilizzandoli come base da cui partire per isolare trend e previsioni sfruttando il suo intuito e la sua conoscenza dei processi di business». Nell’era della data driven company emergono, quindi, nuove figure professionali. Ma anche il rapporto con le macchine cambia. Il machine learning è una delle aree nelle quali si concentrano l’interesse e gli investimenti del noto motore di ricerca, specie in alcuni settori chiave come il retail. «Abbiamo messo a punto algoritmi che permettono di capire se, all’interno di un camerino intelligente, la persona che prova un capo d’abbigliamento ha un’espressione felice o meno, per poter intervenire prontamente in ottica di churn prevention o cross selling. Questo significa che è possibile ridurre in maniera anche sensibile il tasso di abbandono del negozio fisico e la perdita di fatturato che ne deriva, come pure migliorare la vendita di prodotti e accessori affini o complementari», sottolinea con orgoglio McGowen.
La digital presence che migliora i processi d’acquisto
Uno dei settori nei quali il peso di una giusta strategia di gestione dei Big Data può fare la differenza è proprio quello del commercio al dettaglio. Tessere fedeltà e social, mobile e soluzioni di proximity marketing permettono di tenere traccia del visitatore del punto vendita e sapere con precisione quali sono i suoi stili di vita, i suoi hobby e le sue preferenze. La digital presence, in questo comparto, ha fatto registrare un incremento esponenziale dei punti di contatto. Questo da un lato permette al rivenditore di poter agire a più livelli per migliorare la customer experience. Dall’altro, però, introduce un ulteriore livello di complessità nella gestione operativa delle aziende interessate: «Le sfide che il retailer si trova ad affrontare sono legate alla necessità di riuscire a creare una customer view unica partendo da una pluralità di basi dati diverse, come quelle provenienti dallo scontrino, dalle carte fedeltà e dall’online shopping. Altro problema sono i tempi di elaborazione troppo lunghi delle informazioni, così come l’integrazione dei diversi sistemi presenti in azienda, finora troppo costosa», spiega Gabriele Mombelli, Digital Innovation Presales di Noovle.
Partendo dall’analisi delle criticità diffuse nel settore, la società ha messo a punto un modello, Noovle Mr. Shop, che
permette di integrare i dati dei diversi profili utente provenienti dai più svariati canali di shopping – on e offline – per unificarli nell’ambito dei cosiddetti customer persona. Mr. Shop riesce garantire una vista unica del cliente grazie a un’offerta che prevede una componente consulenziale utile a integrare in modo personalizzato la tecnologia dei partner. Google Cloud Platform mette a disposizione la sua infrastruttura di sviluppo e deployment delle applicazioni; Gigya la tecnologia proprietaria di identificazione sicura degli utenti (gestione delle identità e degli accessi, social registration, profilazione utenti e customer identity management); Bime e QlikView le applicazioni di Business Intelligence. Con Mr. Shop, il retailer è in grado di tracciare i comportamenti del cliente, dalla fase di raccolta delle informazioni sino all’acquisto e oltre, avendo a disposizione una serie di tecnologie e strumenti utili per migliorare l’ingaggio e la fidelizzazione, in ottica di marketing personalizzato.
Le testimonianze degli utenti
Sul palco dell’evento si sono alternati anche diversi utenti, come BNP Paribas Cardif. Il suo responsabile Marketing, Research and Development, Simone Macelloni, ha mostrato come i Big Data stanno contribuendo a rinnovare il settore assicurativo. Grazie a smart box e wearable, infatti, i premi sono sempre più personalizzati e i costi operativi si sono ridotti sensibilmente. A trarne vantaggio sono sia le compagnie che gli assicurati.
Vantaggi concreti legati alla gestione dei Big Data e alle analisi in tempo reale sono anche quelli sperimentati del colosso della gomma Pirelli. Carlo Torniai, Head of Data Science and Analytics, ha spiegato come il gigante dei pneumatici ha introiettato il concetto di “data driven enterprise” sin da tempi in cui ancora di Big Data nessuno parlava. Il progetto del pneumatico intelligente Cyber Tyre, sviluppato in collaborazione con il Politecnico di Milano, risale infatti al lontano 2005. Più recente è, invece, la svolta “smart” a livello di produzione e gestione operativa. Dal forecasting predittivo al machine learning e predictive manufacturing, le tecnologie della galassia Big Data spopolano in Pirelli. E hanno permesso di migliorare gli approvvigionamenti, normalizzare i cicli della produzione e ridurre in modo considerevole i fermi macchina.