Strategie

VMware verso l’IT as a service. «Dopo i server, virtualizziamo tutto il Data Center»

Al suo evento europeo VMworld il vendor spiega l’evoluzione dell’offerta in chiave di virtualizzazione delle reti e dell’End User Computing, e di fornitura diretta di servizi di public cloud. «In Italia grandi passi avanti con le PMI e un numero di grandi contratti tra i più alti d’Europa»

Pubblicato il 29 Ott 2013

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Dopo avere costruito le sue fortune sulla virtualizzazione server, VMware festeggia quest’anno i 15 anni di vita con un messaggio chiaro quanto ambizioso: per realizzare appieno i benefici del Cloud Computing occorre virtualizzare tutto il Data Center. Dopo i server quindi ora tocca a reti, storage e system administration, nonché all’End User Computing, cioè lo “spazio di lavoro” di dati e applicazioni su cui ciascun utente business lavora ogni giorno attraverso desktop, notebook, smartphone e tablet.

VMware vede quindi uno scenario futuro in cui tutta l’IT sarà fruita sottoforma di servizi (IT-as-a-service), e in cui ampliare il proprio ruolo di fornitore di tecnologie abilitanti, proponendo direttamente alcuni di questi servizi. Una visione che la società ha confermato recentemente all’evento europeo VMworld di Barcellona, davanti a 8500 iscritti, con aggiornamenti e nuovi annunci rispetto al VMworld americano tenutosi a fine agosto a San Francisco.

«Già il fatto di organizzare un evento europeo è ormai un segno distintivo: molti player IT multinazionali vi hanno rinunciato», ha sottolineato a Barcellona l’italiano Maurizio Carli, Senior Vice President e General Manager EMEA di VMware, introducendo il keynote del CEO Pat Gelsinger, che ha spiegato l’evoluzione della strategia d’offerta rispetto ai tre “pilastri” che secondo VMware abilitano l’IT-as-a-service: End User Computing, Software Defined Data Center, e Hybrid Cloud.

Un’acquisizione per il Desktop-as-a-service

In ambito End User Computing, la società ha presentato l’evoluzione dei tre componenti della suite Horizon, pensata per virtualizzare tutto l’ambiente (applicazioni, dati e servizi) dell’utente finale, e renderlo disponibile su qualsiasi device e sistema operativo, assicurando nel contempo all’IT aziendale il controllo su accessi, download, aggiornamenti e così via. Inoltre ha annunciato l’acquisizione di Desktone, specialista di Desktop-as-a-service (DaaS). Desktone ha una piattaforma software completa per gestire l’erogazione di servizi DaaS anche a utenti con decine di migliaia di posti di lavoro, il che significa che VMware – oltre a fornire la piattaforma a grandi provider di servizi cloud e operatori telecom – diventa anche un fornitore diretto di servizi DaaS.

Passando al Software Defined Data Center (SDDC), è il concetto chiave su cui si poggia la visione di VMware. Come accennato, la virtualizzazione si estende a tutto il data center: i vari componenti – server, reti, storage e così via -, saranno controllati tramite software in termini di assegnazioni di risorse, bilanciamenti di carichi di lavoro, erogazione di servizi, aggiornamenti. Attività, queste, che il software svolgerà sempre più in modo automatico seguendo le policy predefinite dall’IT aziendale, mentre ai system administrator resteranno compiti di gestione per eccezioni e programmazione del software tramite API, che svolgeranno da un “cruscotto” centralizzato.

«Il SDDC è la fondazione tecnologica del Cloud Computing – ci ha spiegato Hervé Renault, Senior Director Partners SEMEA di VMware -. Il Cloud è un nuovo modello operativo che si basa sull’uso dell’IT sottoforma di servizi on demand, SDDC è la più recente evoluzione delle tecnologie per realizzare tale modello». Per VMware, SDDC significa vSphere, la piattaforma di virtualizzazione giunta ad agosto alla versione 5.5, con raddoppio delle CPU e della RAM supportabili (rispettivamente 64 CPU e un TB), cosa che permette ormai di gestire anche le applicazioni più complesse su macchine virtuali.

«Una rivoluzione per il mondo del networking»

Diversi altri miglioramenti, soprattutto in ottica di cloud management, sono stati annunciati a Barcellona, e l’intenzione è di estendere la piattaforma con i concetti di “Software Defined Storage” e “Software Defined Network”, aree in cui VMware a San Francisco ha presentato rispettivamente le soluzioni Virtual SAN e NSX. E a Barcellona il CEO Gelsinger si è soffermato soprattutto su quest’ultima, annunciandone la “general availability” e definendola una rivoluzione per il mondo del networking.

«Altri stanno cercando di virtualizzare a livello dei componenti fisici di rete – ci ha spiegato Renault -, ma noi pensiamo che questo sia troppo complesso. Per questo introduciamo, a un livello superiore rispetto all’hardware fisico di rete, un hypervisor che permette in pochi minuti di avere i componenti di rete necessari per le macchine virtuali pronti all’uso, in un ambiente virtuale. In questo modo l’IT dell’azienda utente non deve ricorrere a tecnici e amministratori di rete, e può fare il provisioning dei componenti di rete e di tutto il data center virtuale».

Ma il data center, e quindi il private cloud, non è tutto. Secondo tutti gli analisti, una larga parte delle grandi e medie aziende alla fine opterà per l’hybrid cloud, incentrato su una private cloud ma con uso frequente, in funzione delle esigenze del momento, anche di servizi di public cloud. E VMware ha deciso di proporsi anche come fornitore di public cloud, con l’offerta vCloud Hybrid Service (VCHS), lanciata l’anno scorso negli USA e di cui a Barcellona è stata annunciata l’estensione all’Europa, cominciando dal Regno Unito, con un nuovo data center presso Londra.

Perché un’offerta di public cloud a livello locale

«Ci sono già molti servizi di public cloud sul mercato, ma sono tipicamente low cost e consumer oriented – spiega Renault -, mentre VMware con VCHS conferma il suo approccio di livello enterprise. Si potrà estendere l’ambiente interno senza soluzione di continuità, con servizi esterni con gli stessi livelli di servizio, e con il vantaggio di avere un singolo punto di gestione per amministrazione, reti, supporto».

VCHS avrà una dimensione locale per un motivo preciso. «Molti clienti in Europa vogliono sapere dove risiedono fisicamente i dati, vogliono che i data center siano in Paesi che tutelino con apposite norme l’accesso ai dati sensibili. Quindi è fondamentale avere data center locali, ne apriremo certamente altri in Europa. Non abbiamo ancora deciso nei dettagli il modello d’erogazione, forse sarà da infrastrutture nostre o forse in franchising, ma di sicuro sarà un’offerta locale che rispetterà le norme locali».

Infine un aggiornamento sull’andamento di VMware nel nostro Paese: «In Italia abbiamo i più alti livelli di customer satisfaction d’Europa, molti clienti – sia PMI che grandi imprese – stanno seguendo l’evoluzione della nostra offerta dalla server virtualization al Cloud Computing completo, con molto interesse anche per l’End User Computing. In Italia abbiamo 500 partner attivi, che ci hanno aiutato a migliorare fortemente la capacità di indirizzare le piccole e medie imprese negli ultimi 2-3 anni, ma d’altra parte l’Italia è uno dei Paesi in cui registriamo il maggior numero di ELA (Enterprise License Agreement, contratti su tre anni con grandi clienti del valore di almeno 250.000 dollari, ndr), quindi impegni a lungo termine sulle nostre tecnologie, sottoscritti soprattutto da grandi banche ed enti pubblici».

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