L’automazione porta efficienza ma anche una maggiore intelligenza grazie alla possibilità di registrare e tracciare informazioni legate a processi e servizi. Gli analisti ci avvertono che negli ultimi due anni abbiamo prodotto il 98% delle informazioni che oggi circolano in rete: oggi abbiamo superato i 2,5 milioni di byte. Non a caso, vengono chiamati Big Data.
Identificare i Big Data non è semplice: il riferimento è a una generazione di tecnologie e architetture disegnate per estrarre Valore da un grande Volume e da una grande Varietà di dati abilitandone la cattura, la scoperta e l’analisi ad alta Velocità.
Che cosa sono i Big Data e perché si chiamano così
Più che spiegare che cosa sono i Big Data è meglio ampliare l’orizzonte delle vision e capire le fonti da cui si generano questa quantità incredibile di informazioni. I Big Data vengono dall’automazione industriale ma anche e soprattutto dalla digitalizzazione di molte attività una volta cartacee (ordini, bollettazioni, fatture, ad esempio, ma anche cartelle cliniche o i carteggi notarili). Vengono dai sensori che stanno mappando ogni angolo della terra per automatizzare il controllo di anomalie sismiche, oceaniche o metereologiche, ma anche per contabilizzare i consumi (smart grid) o presidiare emissioni nocive, umidità, radiazioni e via dicendo. Vengono dai sistemi di pagamento on line e off line. Vengono dai social media e da tutte le attività di customer relationship management che per essere più funzionali ed efficienti sono gestite da sistemi convergenti che tracciano fonia, chat, messaggistica ed help desk. Vengono dalla quantità di dispositivi mobili di cui smartphone e tablet sono solo le soluzioni di abbrivio.
Intelligence, anzi Business Intelligence
Oggi la connessione sta diventando un asset imprescindibile della comunicazione. Tra wearable technology e installazioni smart (tavoli, vetrine, totem, chioschi interattivi, solo per citare qualche esempio) si moltiplicano gli oggetti generatori e vettori di informazioni. Gli analisti di IDC raccontano che ogni 14 mesi i dati (italiani) raddoppiano. Decollano all’ennesima potenza attraverso tool e software capaci di effettuare analisi e simulazioni, ipotizzando scenari e previsioni a corto, medio e lungo termine. Insomma i Big Data crescono. E cresceranno ancora. La sfida per le aziende, è invece di fare un salto quantico e lavorare di Business Intelligence, applicando un’intelligenza focalizzata sul modo di gestire e capire le informazioni, attraverso strumenti sempre più avanzati di Business Analytics.
Secondo gli ultime ricerche presentate da IDC in occasione della Big Data & Analytics conference tenutasi qualche mese fa a Milano, il 30% delle aziende europee (Germania, Spagna, Francia, Italia e Inghilterra) sta pianificando di adottare una soluzione per la gestione dei Big Data entro il 2015. In generale, 2 aziende su 3 apprezzano di queste soluzioni soprattutto la velocità di analisi dei dati. I settori che stano investendo di più vedono in testa le Telco/Media (+ 50%) seguiti dai servizi finanziari (quasi 30%), manufacturing (28%), retail (25%). Seguono poi le Utility, il Manufacturing, l’Healthcare e infine Government ed Education. Rispetto all’analisi (condotta nel 2013) le previsioni per il 2015 sono che le aziende che investiranno di più in Big data e Analytics saranno, nell’ordine, il settore Assicurativo Finanziario, la Sanità e il Manufacturing.
Il grado di maturità sulle analitiche nel nostro Paese
Di fatto, una volta la criticità di ogni azienda e di ogni organizzazione era quella di tirar fuori il dato. Poi il problema è diventato analizzarlo. Oggi la questione è diversa: le aziende si domandano “che cosa dobbiamo farci con queste analisi?” Utilizzare al meglio la grande quantità di informazioni che oggi le tecnologie mettono a disposizione è il vero tema dei Big Data. L’obiettivo da risolvere? Sviluppare una gestione reattiva di tutti i dati a disposizione, facendo in modo che le informazioni messe a sistema generino una reazione tale da arrivare ad offrire consigli su cosa sia meglio fare o meno, fornendo suggerimenti e indicazioni utili al business.
“Nel nostro Paese il livello di maturità nell’uso di piattaforme di Big Data Management e sistemi analitici associati coinvolge il 30% del panel intervistato – ha spiegato Sergio Patano, Research & Consulting Manager presso IDC -. Il 18% delle soluzioni utilizzate è a supporto dei progetti pilota e sperimentazioni tecniche limitate, il 3% sono impiegate in alcuni progetti per supportare i bisogni di business contingenti e temporanei mentre un 6% copre i bisogni ricorrenti. Solo il 2% del panel utilizzato utilizza questo tipo di soluzioni come abilitatore dei processi di business e l’1% per un processo di business ottimizzato per coniugare efficienza e innovazione”.
Interessante anche valutare i risultati della ricerca sulle motivazioni per cui le aziende italiane non affrontano il tema dei Big Data con l’adeguato approccio analitico. Il 35% adduce come spiegazione una carenza di competenze specifiche mentre il 19% adduce una difficoltà nella definizione dei requisiti di business. Il 13% invece ne fa una questione di pricing tecnologico. Solo il 5% del campione italiano si giustifica come un problema di integrazione, affiancato a un altro 5% che parla di qualità dei dati. Meno del 5% attribuisce il non utilizzo alla mancanza di supporto adeguato da parte dei responsabili dei sistemi informativi. In generale si deduce che imprese ed organizzazioni italiane hanno ancora poco chiaro il tema della Business Intelligence agganciata a una migliore produttività, a una migliore efficienza dell’organizzazione e a una migliore sicurezza, legata a un’ottimizzazione della gestione informativa non sulla parte bassa dell’archiviazione, ma sulla parte alta del valore.
Perché il big data management è un falso problema
Ci sono sempre più mezzi, strumenti, logiche che si intersecano e che quindi impattano sui sistemi IT e sulle culture aziendali. Vivere passivamente il mondo digitale è quasi impossibile. E non avere una strategia di misurazione a riguardo è un punto di debolezza per il business. Chi si occupa di Information and Communication technology in realtà da sempre si occupa di gestire le informazioni.
L’ossessione dei Big Data, in realtà, è un falso problema. Cloud e virtualizzazione, infatti, stanno progressivamente risolvendo il problema dei volumi. Le tecnologie digitali, infatti, ci hanno insegnato da tempo che una delle caratteristiche dell’evoluzione a ritmo continuo consiste nel produrre sistemi di semplificazione che generano nel tempo complessità gestionali che, come conseguenza, portano all’elaborazione di nuovi sistemi di semplificazione. Oggi la possibilità di deduplicare non soltanto le applicazioni ma anche le infrastrutture, permette di ridurre la complessità non attraverso il possesso dell’hardware ma attraverso una modelizzazione dei servizi.
il 70% delle aziende italiane ritiene che le tecnologie a supporto dei big data costituiscano un’opportunità per rendere più efficienti i processi analitici già in corso. Il 25%, invece, percepisce questo tipo di soluzioni come un’opportunità per essere più competitivi grazie a nuove possibilità di correlazioni e analisi delle dinamiche di business. Solo il 5% ritiene che i sistemi di Big Data Management siano un’opportunità per innovare il proprio modello di business e crescere su nuovi mercati e/o con nuovi prodotti e servizi.
A supporto delle aziende IDC ha definito una serie di best practice utili nel medio termine (12-24 mesi)
- Pianificare l’espansione di soluzioni e servizi di Big Bata & Analytics a tutta l’azienda
- Confrontare il proprio livello di adozione con gli standard di mercato di realtà simili alla propria
- Coordinare gli investimenti business e IT per identificare l’investimento in soluzioni e servizi di Big Bata & Analytics più adeguati al raggiungimento degli obiettivi economici