Anche in Italia, le iniziative “social” in
ambito aziendale si stanno moltiplicando. Spesso si
tratta di progetti che hanno carattere sperimentale, ma è
altrettanto vero che, molte volte, gli esperimenti si sono
trasformati in iniziative permanenti.
Tuttavia, è purtroppo frequente che tali iniziative
rimangano di carattere estemporaneo: isolate, verticali,
non inserite in una strategia aziendale organica che metta a
fattor comune le competenze (e i punti di vista) delle diverse
strutture interne all’azienda. Solo una logica
integrata, ovvero a “rete”, però, consente una vera
“rivoluzione 2.0” in grado di aprire nuove
prospettive nell’eterna ricerca di efficienza ed efficacia
delle organizzazioni aziendali, anche nell’ottica della
relazione con clienti, partner e fornitori.
D’altra parte, che il paradigma social sia la sfida con la
quale confrontarsi è ampiamente dimostrato dagli innumerevoli
studi che (in modo abbastanza univoco e sorprendente) illustrano
quanto la relazione e la collaborazione tramite piattaforme
social sia rilevante e attraente per una fascia molto ampia di
persone, trasversalmente all’età, all’estrazione
sociale e alla collocazione geografica.
La domanda, quindi, non è più se gli strumenti social
possono essere adottati dalle organizzazioni aziendali ma –
piuttosto – come e con quali obiettivi. Difficile
affrontare il tema in poche righe, tuttavia, è utile considerare
che l’approccio 2.0 nella definizione dei processi
aziendali altro non è che un nuovo modo di fare BPR (Business
Process Reenginering).
Certo la differenza è che, in questo caso (più complicato), si
tratta di concentrarsi sull’ottimizzazione dei processi di
collaborazione tra persone piuttosto che integrare sistemi,
costruire interfacce o automatizzare procedure, ma è anche
evidente che dopo gli innumerevoli progetti
“IT-oriented” (in cui ogni azienda ha investito a
più riprese) non è più possibile pensare di ottenerne ancora
vantaggi decisivi (e tantomeno differenziali) nel rendere
efficienti i propri processi core.
La revisione dei processi in chiave social, invece, oltre ad
avere l’innegabile vantaggio di poter riunire sotto
un’unica visione le iniziative 2.0 già probabilmente
avviate dalle varie strutture aziendali, consente, finalmente, di
considerare le organizzazioni per quello che sono: gruppi di
persone che condividono la necessità di raggiungere un comune
obiettivo. Il vero vantaggio sta nel fatto che, per
generare valore, ai componenti di un’organizzazione viene
richiesto di utilizzare lo skill più congeniale e naturale: la
socialità.
Ci sono rischi: i decisori potrebbero non amare (e quindi
favorire o approvare) la nascita di fatto di una organizzazione
parallela a quella gerarchica, dotata di strumenti potenti di
comunicazione, tipicamente molto più snelli ed efficaci di
quelli tradizionali. Questo è il vero ostacolo allo sviluppo del
BPM in chiave social.