Il sistema energetico nazionale è contraddistinto da alcune caratteristiche strutturali che lo rendono oggetto di grande interesse da parte dell’opinione pubblica, in virtù dell’impatto che esse hanno sulla competitività del tessuto industriale nazionale ed, in ultima analisi, dell’intero sistema Paese. Si fa riferimento, in particolare, alla forte dipendenza dall’importazione di fonti fossili (pari a circa l’81% del fabbisogno energetico nazionale) ed all’insufficiente sicurezza di approvvigionamento dei vettori energetici nei momenti di punta (in particolare per il gas naturale), fattori che sono alla base del notevole spread nei prezzi dei vettori energetici che le imprese ed i cittadini italiani scontano rispetto agli omologhi dei principali Paesi europei.
La strategia energetica nazionale
La Strategia Energetica Nazionale, elaborata dai Ministeri dello Sviluppo Economico e dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare nel marzo 2013, dopo una lunga gestazione che ha preso le mosse nell’estate del 2012 ed una pluriennale “assenza” dal dibattito pubblico nazionale, evidenzia in maniera chiara le sopracitate criticità, ponendo le basi per il loro superamento al fine di rilanciare la capacità dell’Italia di competere all’interno dello scenario internazionale e di garantirgli una crescita sostenibile. Uno degli aspetti più interessanti che emergono dal documento riguarda il fatto che il tema dell’efficienza energetica è elevato a prima “priorità d’azione” all’interno del quadro di azioni che l’Italia è chiamata ad intraprendere in ambito energetico, nella misura in cui la promozione degli interventi di efficienza energetica contribuisce in maniera forte al raggiungimento dei sopracitati obiettivi, indirizzando il Paese sulla via del superamento degli obiettivi fissati a livello europeo dal famoso “Pacchetto 20-20-20”. A supportare questa visione, la recente approvazione della nuova Direttiva europea 2012/27/UE sull’efficienza energetica, entrata in vigore il 4 dicembre 2012 e che dovrà essere recepita da parte degli Stati Membri entro il 5 giugno 2014, stabilisce un quadro comune di misure volte alla promozione dell’efficienza energetica nei Paesi dell’Unione Europea al fine di raggiungere l’obiettivo principale dell’Unione relativo all’efficienza energetica entro il 2020 e di porre le basi per ulteriori miglioramenti dell’efficienza energetica oltre questa importante “milestone”.
La dinamica dei Consumi energetici
Guardando ai fabbisogni energetici che caratterizzano il nostro Paese, si stima che al 2012 gli impieghi finali di energia in Italia sono stati pari a circa 130 Mtep, ripartiti per la maggior parte fra i settori trasporti (30%), industria (24%), residenziale (22%) e servizi (14%). Osservando la dinamica dei consumi registrata nell’ultimo decennio, si nota un costante trend di crescita dei consumi nei primi anni del 2000 fino al 2005, seguito da una decisa inversione di tendenza tra il 2005 ed il 2012, con un’unica eccezione verificatasi tra il 2009 ed il 2010. La maggior parte di questa riduzione dei consumi è ascrivibile al settore industriale (-20% tra il 2005 ed il 2012), mentre gli altri settori hanno registrato variazioni minime. Questa dinamica non è, purtroppo, ascrivibile in primis all’efficientamento energetico dei diversi comparti industriali, viceversa è l’effetto della marcata contrazione dei volumi produttivi che si è registrata negli ultimi anni a seguito del perdurare della crisi economica. Nonostante gli indubbi progressi mostrati negli ultimi anni dal settore industriale italiano in tema di efficienza energetica, il tema è reso quanto mai attuale, e per certi versi ineludibile, dal fatto che gli utenti industriali italiani scontano un notevole spread sul prezzo di acquisto dei vettori energetici (in particolare di energia elettrica) rispetto ai principali competitor europei.
Prendendo come termine di paragone la Germania, le ultime rilevazioni statistiche di maggio 2013 mostrano che il prezzo di acquisto dell’energia elettrica che un utente industriale italiano di medie dimensioni (avente un consumo elettrico annuo pari a 2 GWh) è superiore del 45% rispetto ad un omologo tedesco, (Fonte: Eurostat). Questa situazione rappresenta un evidente “freno” alla competitività delle imprese nazionali, con particolare riferimento alle imprese per le quali l’energia rappresenta una voce di costo rilevante all’interno della struttura di costo aziendale, incidendo di conseguenza sulle marginalità che esse sono in grado di generare. La Tabella 1 mostra l’intensità energetica dei diversi settori industriali italiani, intesa come rapporto tra il costo della “bolletta energetica” ed il fatturato aziendale, dalla quale si può notare che mediamente l’energia pesa per il 2,4% sul fatturato complessivo dell’industria, con punte superiori all’8% nel caso delle imprese afferenti al settore dei prodotti per l’edilizia.
La convenienza delle tecnologie per l’efficienza energetica
A partire da queste premesse, la terza edizione dell’Energy Efficiency Report delinea lo stato dell’arte e le prospettive attese dell’efficienza energetica nel nostro Paese, declinando il tema negli ambiti residenziale, industriale, dei servizi e della Pubblica Amministrazione, con l’obiettivo di analizzare la convenienza economica dell’adozione delle tecnologie per l’efficienza energetica per i diversi soggetti investitori ed il potenziale di mercato associato a tali interventi. Le simulazioni effettuate – rimandando al Report (scaricabile al sito http://www.energystrategy.it) per i dettagli circa le tecnologie e gli ambiti di applicazione analizzati – mostrano che, guardando alla convenienza economica delle tecnologie per l’efficienza energetica lungo l’intera vita utile, la massima parte di queste (fatta eccezione per le chiusure vetrate e le superfici opache) risulta economicamente sostenibile in tutti gli ambiti d’applicazione, anche in assenza di incentivi. Ciononostante, dal confronto con gli operatori del settore emerge una forte barriera all’adozione delle tecnologie per l’efficienza energetica, che fa riferimento al tempo di ritorno dell’investimento, giudicato spesso eccessivo dai soggetti investitori: le elaborazioni quantitative mostrano che il tempo di pay-back calcolato per le diverse tecnologie è in media ampiamente superiore ai valori “soglia” ritenuti accettabili dai diversi potenziali investitori (ossia 1-2 anni in ambito industriale, 2-3,5 anni in ambito terziario e Pubblica Amministrazione, 4-6 anni in ambito residenziale), fatta eccezione per alcune soluzioni e tecnologie analizzate, quali illuminazione, aria compressa, inverter, UPS e sistemi di gestione dell’energia in ambito industriale, illuminazione, inverter, sistemi di building automation, UPS e cogenerazione negli altri ambiti. In secondo luogo, tenendo conto dei regimi incentivanti a supporto della diffusione delle soluzioni per l’efficienza energetica, emerge che nella maggior parte dei casi il loro impatto sul tempo di ritorno degli investimenti non è tale da far raggiungere la convenienza economica a quelle tecnologie che di per sé non lo sono, ad eccezione della cogenerazione in ambito industriale, la quale gode dei Titoli di Efficienza Energetica cosiddetti “TEE-CAR”, introdotti per supportare specificamente questa tecnologia, e dei motori elettrici negli altri ambiti, grazie ai Titoli di Efficienza Energetica.
Le opportunità di risparmio per il sistema Paese
Passando alle potenzialità di risparmio energetico che possono essere conseguite a livello nazionale grazie alla realizzazione degli interventi di efficienza energetica, sulla base dell’applicabilità delle tecnologie dei diversi ambiti di mercato, della convenienza economica e dei relativi trend di mercato, si stima che in Italia da qui al 2020 si possa conseguire un risparmio medio pari a circa 96 TWh all’anno, di cui 21 TWh elettrici (pari a circa il 6% del consumo elettrico nazionale) e 75 TWh termici (pari a circa l’11% del consumo termico nazionale), la massima parte del quale (54%) associato al settore residenziale. Confrontando questi dati con l’obiettivo fissato dalla Strategia Energetica Nazionale, sarebbe possibile raggiungere oltre la metà dell’obiettivo globale, con un contributo “variabile” da parte dei diversi settori, rispettivamente pari al 75% dell’obiettivo fissato per l’industria, l’intero obiettivo fissato per il residenziale ed il 60% dell’obiettivo fissato per i servizi e la Pubblica Amministrazione. Si tratta di un risultato indubbiamente positivo, se si considera che le tecnologie e gli ambiti analizzati all’interno del Rapporto non rappresentano la totalità delle iniziative che possono essere intraprese a livello nazionale in tema di efficienza energetica. È interessante tuttavia sottolineare che permane nel nosto Paese un forte potenziale inespresso di efficientamento energetico, basti considerare che un’adozione massiccia delle tecnologie per l’efficienza energetica oggetto del Rapporto darebbe luogo ad un risparmio energetico quasi triplo, nell’ordine dei 300 TWh all’anno.
Lo sfruttamento di questa notevole potenzialità diventa ancora più “urgente” se si pensa agli effetti positivi che si genererebbero sulla depressa economia italiana, con un giro d’affari stimabile nell’ordine dei 30 miliardi di euro all’anno da qui al 2020 (pari a circa l’1,5% del Prodotto Interno Lordo), a fronte dei “soli” 7 miliardi di euro all’anno che ci si attende da qui al 2020 sulla base del grado di penetrazione atteso delle diverse tecnologie energeticamente efficienti. A questo proposito, come sottolineato all’interno della Strategia Energetica Nazionale, sarebbe quanto mai opportuno sfruttare la leadership industriale del nostro Paese in alcune delle filiere afferenti al mondo dell’efficienza energetica.
Un quadro normativo confuso
Se si guarda alle determinanti di questo ampio potenziale inespresso, emerge in primo luogo la non ampia diffusione della “cultura” dell’efficienza energetica tra i player della filiera dell’efficienza energetica, a partire dai potenziali adottatori quali imprese industriali e privati cittadini, su cui ha giocato e gioca un ruolo non trascurabile il perdurare della crisi economica, che si riverbera da un lato sulla capacità di spesa di questi soggetti e dall’altro lato sui tempi di ritorno degli investimenti che questi soggetti sono disposti ad accettare, che come visto in precedenza non sono coerenti con i tempi di ritorno tipici che caratterizzano gli investimenti in efficienza energetica. In secondo luogo, il quadro normativo nazionale a supporto della diffusione degli interventi di efficienza energetica, nonostante abbia mostrato negli ultimi anni rilevanti progressi ed un impatto non trascurabile su quanto ad oggi realizzato, presenta tuttavia alcune contraddizioni che rallentano la marcia del nostro Paese verso una maggiore “virtuosità” in tema di efficienza energetica. Dall’analisi dei diversi provvedimenti emerge infatti una parziale sovrapposizione dei meccanismi incentivanti, che rischia di generare confusione tra i soggetti che potrebbero usufruirne ed una dispersione degli sforzi da parte del legislatore, ed in secondo luogo l’instabilità nel tempo dei sistemi di incentivazione, che non permette agli operatori della filiera una programmazione ad ampio respiro delle loro strategie di business.
Da ultimo, ma non meno importante, all’interno dell’attuale quadro normativo nazionale sono presenti alcuni provvedimenti che, seppur nelle intenzioni non riguardino direttamente l’efficienza energetica, di fatto riducono l’”appetibilità” degli interventi di efficientamento energetico. Si fa riferimento, ad esempio, al cosiddetto Decreto “energivori” del 5 aprile 2013, che prevede una riduzione degli oneri generali di sistema per i soggetti industriali ad elevata intensità energetica. Il provvedimento, se da un lato risulta indubbiamente funzionale a ridurre il gap del costo dell’energia sostenuto dalle imprese italiane rispetto a quelle europee migliorandone la competitività, dall’altro lato risulta un “disincentivo” che può frenare la diffusione delle tecnologie di efficienza energetica, se si considera ad esempio che l’incremento del tempo di pay back per i motori elettrici ad alta efficienza, una delle principali tecnologie per l’efficienza energetica specialmente in ambito industriale, è stimabile fino ad oltre il 10%.
Serve un’azione di sistema
In conclusione, il tema dell’efficienza energetica deve rappresentare, e già in parte rappresenta, una priorità strategica per il Paese. Tuttavia, affinché le potenzialità si traducano in risparmi energetici e volumi d’affari “concreti”, è necessario uno sforzo congiunto da parte dei diversi stakolders. Da un lato, il legislatore è chiamato a definire un set di regole coerente con le priorità strategiche del Paese e le esigenze dei diversi operatori coinvolti; tuttavia sono i potenziali investitori, ossia le imprese ed i privati cittadini, ad essere in primo luogo chiamati a farsi convinti promotori della realizzazione degli interventi di efficienza energetica. Se non è ragionevole prefigurare nel breve-medio periodo una netta evoluzione “culturale” da parte di questi attori, è indubbiamente sugli aspetti economici della questione che bisogna far leva affinché si inneschi un “circolo virtuoso” nel nostro Paese in tema di efficienza energetica.
Dalle analisi è emerso infatti che, per esempio, l’adozione in ambito industriale delle tecnologie per l’efficienza energetica economicamente sostenibili avrebbe un impatto in termini di riduzione della bolletta energetica stimabile mediamente tra il 3% ed il 25%, determinando un incremento delle marginalità da pochi punti percentuali fino ad oltre il 25%. Numeri che, al di là dell’attenzione, indubbiamente lodevole, verso il tema della sostenibilità ambientale, dovrebbero spingere qualsiasi decisore “razionale” ad effettuare tali investimenti.