I robot e i software che autoapprendono ci ruberanno il lavoro? Sì, no, dipende. La risposta, spiega uno studio McKinsey, è quanto mai sfaccettata: le tecnologie per l’automazione impatteranno molti settori e ruoli, ma in misura diversa. La questione è oggi sotto i riflettori (qui uno studio presentato al meeting di Davos) e riscuote grande interesse mediatico. Ma è spesso mal posta: solo alcuni (pochi) lavori scompariranno del tutto, ma quasi tutti saranno in parte trasformati. Un forte impatto si avrà anche su settori con un’alta percentuale di Knwoledge worker, come la sanità e la finanza, dove sono numerose le attività che possono essere automatizzate da robot e sistemi di machine learning. Gli analisti hanno analizzato in dettaglio 800 lavori e 2mila attività, per ora nell’economia USA: ma lo studio procede e l’anno prossimo verrà esteso ad altri Paesi.
I fattori che rendono l’automazione “fattibile”
Emerge che la tecnologia può, teoricamente, automatizzare il 45% di tutte le attività lavorative e in gran parte dei lavori, il 30% delle mansioni si può automatizzare. Ma, spiega KcKinsey, c’è poi una “fattibilità pratica” dell’automazione che dipende da fattori di grande rilevanza come: costo dello sviluppo e dell’impiego degli hardware e software per l’automazione; disponibilità e costo della forza lavoro (se la manodopera abbonda, automatizzare non conviene); reale incremento della produttività e della qualità del lavoro che si ottengono; peso delle normative e accettazione sociale (i pazienti accetteranno di essere assistiti da una macchina anziché da un infermiere in carne ed ossa?).
Alto potenziale di automazione
Alla luce di questi fattori, ci sono settori e professioni più passibili di automazione ed altri che lo sono meno. McKinsey sintetizza in una tabella (qui il link) i risultati di questa analisi. Per esempio, da un punto di vista
tecnico, il 59% delle attività del manufacturing si può automatizzare, ma con forti oscillazioni: si può affidare ad un robot la saldatura, non il servizio clienti (dove la fattibilità pratica scende sotto il 30%). Il manufacturing è del resto “solo” il secondo settore più passibile di subire gli effetti dell’automazione nell’economia Usa: il primo è quello dei servizi di accoglienza e alimentazione (food service, accomodation), dove il 73% delle attività può essere automatizzata. Alto potenziale di automazione (oltre il 60%) anche per le attività lavorative che includono raccolta ed elaborazione di dati: il settore più impattato è quello della finanza e delle assicurazioni.
Dove servono ancora addetti in carne e ossa
Restano difficili da automatizzare, almeno con le tecnologie disponibili al momento, tutte le attività che richiedono di gestire o formare il personale (potenziale di automazione del 9%) o di prendere decisioni, pianificare, “creare” (18%): sviluppare software, ideare menu o inventare slogan e jingle pubblicitari è ancora un lavoro per umani. Basso il potenziale di automazione anche nei settori in cui è fondamentale l’interazione tra persone, come nella sanità (36%) e nell’istruzione.
La sfida per il management
Il quadro potrebbe cambiare con i progressi della robotica e del machine learning e con lo sviluppo delle capacità delle macchine di capire il linguaggio naturale. Nel frattempo, c’è una sfida da affrontare già oggi per i top manager: capire se e in che misura possono proficuamente adottare le tecnologie per l’automazione in azienda e come far convivere sul posto di lavoro macchine e persone. Naturalmente individuando, in ordine di priorità, le attività in grado di creare valore attraverso l’introduzione delle tecnologie.