Nel panorama dell’IT outsourcing e dell’offerta di Managed Services, oggi la sfida si gioca sulla “creazione del valore” per i propri clienti. Un’espressione molto diffusa, che va poi declinata secondo la visione di ciascun outsourcer. La visione di BlueIT, ad esempio, verte su una value “che fa leva su tre pilastri: mercato, clienti e valorizzazione delle risorse interne”. A illustrarla nel dettaglio ci pensa Francesco Sartini, Intelligent Automation Leader della società, che tiene a rimarcare fin da subito un elemento differenziante nell’utilizzo di una delle tecnologie su cui si concentrano attualmente le maggiori aspettative, l’intelligenza artificiale (AI). «È indiscutibile che l’AI rappresenti uno dei trend tecnologici che chi si occupa di IT non può ignorare. Tuttavia, non può essere trattato come un dogma, né tantomeno come la soluzione a tutti i problemi», sottolinea Sartini, aggiungendo che la scelta di BlueIT in materia si basa sul cosiddetto «pregiudizio cognitivo, un tentativo per accostarsi al tema con una visione lucida e disincantata che serve a ricordare che la complessità dei processi cognitivi umani non può essere banalizzata e ricondotta a un semplice algoritmo decisionale. Basti pensare che in letteratura si contano almeno 188 pregiudizi possibili».
Who's Who
Francesco Sartini
Intelligent Automation Leader di BlueIT
Le due fasi di adozione dell’intelligenza artificiale
Il pregiudizio cognitivo si traduce, anzitutto, nello sfatare alcuni miti riguardo l’intelligenza artificiale, suddividendo in due macro-fasi la sua adozione: decisionale ed esecutiva. La prima si riferisce alla raccolta delle informazioni e alla loro correlazione per trarne suggerimenti, la seconda alla contestualizzazione delle decisioni evidenziate nella fase precedente per adattarle al contesto specifico. «Il primo grande mito da sfatare è che l’AI possa supportare entrambe queste due fasi. Io credo invece che, proprio a causa dell’influenza del pregiudizio cognitivo, l’AI sia molto efficace nella fase decisionale, mentre per quella esecutiva bisogna essere più cauti rispetto alla sua adozione». Concretamente, nel mondo dell’IT outsourcing è innegabile che i tool di Artificial Intelligence abbiano fatto passi da gigante nella fase decisionale e che abbiano portato un’automazione spinta in quella esecutiva, «ma l’anello di congiunzione tra decisionale ed esecutivo deve essere ancora il valore aggiunto dell’esperienza che deriva dall’uomo, dal tecnico esperto che conosce la situazione ed è in grado di dirottare le decisioni nelle fasi esecutive giuste» chiarisce Sartini. L’AI al servizio dell’IT outsourcing non coincide, tuttavia, con l’abbandono di principi standardizzati come quelli ITIL (Information Technology Infrastructure Library), che restano il fondamento dell’IT Service Management. Ne sono un chiaro esempio i metodi Agile e DevOps che portano flessibilità e velocità in un ambito rigoroso qual è, appunto, quello “ITIL based”. La differenza, semmai, risiede nello spostare l’accento dalla mera introduzione di tool AI nei servizi di IT outsourcing a un approccio imperniato sulla Intelligent Automation. Il Delivery Framework di BlueIT va proprio in questa direzione.
In cosa consiste il Delivery Framework di BlueIT
«L’approccio della Intelligent Automation mette al centro del progetto tre grandi componenti: i clienti, il mercato e la nostra popolazione tecnica. Ascoltiamo le esigenze dei clienti in merito alla creazione del valore, alla flessibilità, all’adozione di tecnologie nuove come il multicloud e alla necessità di essere rapidi nel deployment di nuove infrastrutture. Il mercato, da parte sua, ci chiede differenziazione soprattutto in servizi come quelli dell’IT outsourcing spesso considerati come una sorta di commodity che, in quanto tale, schiaccia verso il basso il lavoro dei sistemisti costringendoli a svolgere attività low profile e ripetitive». Nasce da qui il Delivery Framework di BlueIT, come cornice per rispondere con soluzioni innovative ai clienti che si posizionano nella fase decisionale supportata dall’AI e che, grazie ad esempio all’observability, sono in grado di raccogliere il maggior numero di informazioni da fonti eterogenee e correlarle insieme per dare un’unica visione sia lato infrastruttura, sia lato applicazioni. Soluzioni che, inoltre, risultano in linea con gli standard di mercato in virtù del ricorso a tecnologie come il cloud e che, soprattutto, permettono al personale dell’outsourcer di concentrarsi di più sulla creazione di valore e meno su task routinari che causano una profonda demotivazione. «Nell’attuale contesto di digital transformation, far transitare le competenze dei nostri sistemisti dalle operazioni standard all’utilizzo di tool di intelligenza artificiale, mediate dal pregiudizio cognitivo, è un’operazione per niente banale» dice Francesco Sartini con una punta di orgoglio.
Patching e capacity, due esempi di servizi migliorati con l’AI
A titolo esemplificativo, l’Intelligent Automation Leader porta due casi emblematici dell’offerta di BlueIT riferiti a due ambiti tradizionali dell’IT outsourcing, il patching e il capacity, attività che storicamente venivano svolte di notte per non interrompere il servizio su centinaia di server sparsi in tutto il mondo. Il patching garantisce che le architetture dei clienti siano sempre aggiornate sia per resistere ad attacchi cyber, sia per avere livelli di performance costantemente elevati. Il capacity, invece, consente di scandagliare le infrastrutture per capire il fabbisogno di risorse nel presente e, per quanto possibile, nel futuro. «Per il patching ci siamo affidati a un motore, Qualys, che di fatto è un tool di intelligenza artificiale che mette insieme tutta una serie di informazioni su quali patch applicare, dove applicarle e quali sono le vulnerability che si possono risolvere. In pratica, demandiamo a questo tool la valutazione dello stato di sicurezza dei server e la necessità di installazione di patch, mentre i nostri tecnici intervengono di notte solo in caso di errore». Sul versante del capacity, lo strumento adottato da BlueIT è Turbonomic, software di proprietà di IBM dal 2021 che risolve un problema importante su questo fronte. «Lasciamo che sia il tool ad analizzare l’infrastruttura e a suggerire azioni correttive che poi vengono realizzate previ analisi prospettiche con il cliente» spiega Sartini. «In questo caso, i tecnici creano valore supportando le scelte strategiche del cliente senza dover studiare report noiosissimi. In più, Turbonomic permette di superare l’eterno dilemma delle infrastrutture cloud: se sia opportuno spendere di più per avere maggiori risorse computazionali oppure contenere i costi e avere risorse risicate. Lo strumento ci permette infatti di fornire un nuovo servizio di Application Resource Management finalizzato proprio all’ottimizzazione delle risorse cloud non solo infrastrutturali, ma anche applicative, come per i container».
Il percorso per diventare società benefit
L’azienda in pieno periodo pandemico ha anche maturato la decisione di diventare società benefit. «La vera sfida è stata voler trovare uno scopo duale (che nella società benefit coincide con il produrre profitto creando anche un impatto positivo su ambiente e società, ndr) in una realtà come la nostra che si occupa di IT outsourcing» afferma in chiusura Francesco Sartini. Scopo che, nel caso di BlueIT, si può sintetizzare nell’umanizzazione della tecnologia e nella riduzione del digital divide. Anche la successiva elaborazione del framework è stata influenzata da questa scelta poiché, spiega, l’idea “umanizzata” di Artificial Intelligence contempla il miglioramento della qualità della vita dei sistemisti e non la loro sostituzione con dei software AI. In pratica, si tratta di realizzare un modello ibrido in cui l’intelligenza artificiale svolge una porzione del lavoro, ma alla fine è l’uomo che sceglie e usa il suo “pregiudizio cognitivo” per prendere le decisioni. La trasformazione di BlueIT in società benefit enfatizza anche un nuovo mindset sulla creazione del valore per nulla scontato. Una visione in cui il provider di IT outsourcing non va selezionato soltanto in base alla capacità che offre di risparmiare sui costi, ma come partner insieme al quale ridurre quel digital divide che penalizza la competitività sui mercati. «Quando riusciamo a trovare dei clienti che hanno questo mindset, che accettano cioè, pur non essendo società benefit, questo concetto di umanizzazione della tecnologia, è più facile creare una relazione a lungo termine all’insegna di un’innovazione sostenibile nel tempo», conclude Sartini.