Chris Anderson la chiama rivoluzione dei “maker”, Jeremy Rifkin “democratizzazione del manufacturing”, ma ci sono molte altre definizioni, tra cui innovazione tecnologica “dal basso”. In sintesi si tratta della tendenza per cui singole persone o piccoli team sono in grado di diventare contemporaneamente inventori, produttori e imprenditori, costruendo a casa o nel classico garage dispositivi tecnologici innovativi e connessi a internet, a partire da semplici piattaforme “open source” formate da piccole schede dotate di processore e di un ambiente di programmazione software “fai-da-te”.
Una delle più famose piattaforme di questo tipo si chiama Arduino ed è nata in Italia, e in Italia risiede anche Smart Projects, l’azienda che ne realizza l’hardware originale (anche se – secondo la tipica logica dell’open source – chiunque ne può fabbricare un clone). Intorno ad Arduino è nato un ecosistema di migliaia di “maker”, studenti e sviluppatori in tutto il mondo, e in tutto il mondo se ne parla, molto più che in Italia. Ne parlano i più famosi “guru” dell’innovazione tecnologica, tra cui appunto Anderson e Rifkin, nelle loro conferenze, e ne ha parlato recentemente anche Brian Krzanich, il numero uno di Intel, il leader mondiale dei processori, che è venuto apposta in Italia, alla “Maker Faire” di Roma, per rendere noto pubblicamente un accordo di collaborazione appunto con Arduino.
Krzanich ha inoltre presentato il primo frutto concreto della collaborazione: la scheda Intel Galileo (nella foto la confezione), definita appunto come primo prodotto di una nuova famiglia di schede di sviluppo compatibili con Arduino e basate su architettura Intel.
Ivrea, ancora innovazione dopo Olivetti
Più in dettaglio Arduino (nella foto lo starter kit) è una piattaforma basata su una piccola scheda dotata di un micro-controllore e della circuiteria accessoria, e su un ambiente multipiattaforma (Windows, OS X, Linux) per scrivere software di programmazione per la scheda. Serve per costruire piccoli dispositivi di Internet of Things (IoT), quindi connessi alla rete, che controllano motori, luci e altri oggetti ricevendo input da sensori e switch. Hardware, ambiente di sviluppo e linguaggio di programmazione (chiamato Wiring) di Arduino sono aperti e liberamente accessibili, e questo – come accennato – ha creato una “community Arduino” con moltissimi utenti e applicazioni provenienti da tutto il mondo.
Per avere un’idea dei possibili sviluppi, lo stesso Chris Anderson, partendo da Arduino e dai suggerimenti provenienti dalla community online DIYdrones, da lui creata, ha fondato 3D Robotics, un’azienda che produce velivoli e droidi volanti comandati da remoto che oggi, a quattro anni di vita, ha oltre 100 dipendenti e l’anno scorso ha fatturato oltre 5 milioni di dollari.
Arduino è stato sviluppato da un team internazionale guidato dall’italiano Massimo Benzi presso l‘Interaction Design Institute di Ivrea, fondato da Olivetti e Telecom Italia nella città che è stata la storica sede appunto della Olivetti, e il nome deriva da quello del bar dell’istituto, a sua volta intitolato ad Arduino d’Ivrea, Re d’Italia nei primi anni del XI secolo. «Arduino è un computer nella forma più semplice, grande come una carta di credito», ha recentemente spiegato Massimo Benzi, co-fondatore di Arduino, a ICT4Trade.
«Un’idea nata per aiutare chi non ha mai studiato elettronica»
«È il tipo di micro-computer che si trova in un forno a microonde o in un telecomando – continua Benzi -. Intorno al 2002 insegnavo all’Interaction Design Institute di Ivrea, dove c’erano molti studenti di design che volevano sviluppare oggetti di tecnologia complessa senza aver mai studiato informatica o elettronica. Abbiamo quindi cercato di realizzare un sistema per facilitare la programmazione di questi micro-computer che animano gli oggetti di tutti i giorni, il tutto unito all’idea dell’open source, ma senza intenzione di creare un’azienda o un modello di business: era uno strumento al servizio degli studenti».
I kit di sviluppo e l’interfaccia di programmazione software Arduino facilitano infatti la creazione di oggetti o ambienti interattivi per artisti, designer e appassionati di fai-da-te, e l’idea generale è di offrire l’opportunità di creare oggetti “smart” a sempre più appassionati, anche privi di un approfondito background tecnico. In quest’ottica Galileo – che sarà disponibile da fine novembre – è presentato come un oggetto che unisce la semplicità dell’ambiente di programmazione Arduino alle prestazioni dei processori Intel.
La scheda monta infatti il “system-on-a-chip” Intel Quark X1000, primo componente appunto della famiglia small-core a basso consumo Quark, pensata da Intel appositamente per applicazioni innovative di Internet-of-Things (IoT) e Wearable Computing. Tra le applicazioni possibili citate da Intel per Galileo ci sono per esempio la creazione rapida di semplici oggetti interattivi, come display LED che rispondono ai social media, o per dispositivi più complessi, dagli elettrodomestici automatizzati ai robot a grandezza naturale, controllabili da uno smartphone.
La grande corporation sposa l’innovazione dal basso
L’alleanza con Arduino è stata interpretata dagli analisti appunto come un’importante mossa di Intel per entrare nel mondo dell’innovazione tecnologica basata sull’iniziativa di singoli appassionati e studenti, i cosiddetti “maker”. Un’innovazione “dal basso” che è in piena esplosione, anche grazie alla diffusione a prezzi sempre più accessibili delle stampanti 3D (molte delle quali, non a caso, hanno controllori basati su Arduino). In quest’ottica va vista anche la donazione, annunciata dal CEO Krzanich, di 50.000 schede Galileo a mille università di tutto il mondo nei prossimi 18 mesi.
«Siamo impegnati da sempre nel settore dell’istruzione e sappiamo che l’apprendimento interattivo stimola l’interesse verso le scienze, la tecnologia, l’ingegneria e la matematica – commenta Krzanich in un comunicato -. Sono io stesso un “maker” da diversi anni e sono entusiasta delle infinite possibilità offerte dalla tecnologia e di ciò che consente di creare».
In un’intervista a Repubblica, Krzanich è stato anche più esplicito: «Una rivoluzione è in corso e noi vogliamo partecipare: è una rivoluzione fatta non dalle grandi corporation ma da inventori che giocando con l’elettronica inventano infiniti progetti. Il mondo dell’Internet of Things, degli oggetti collegati alla rete, è destinato a cambiare profondamente le nostre vite». L’avanzata dei “maker”, ha precisato Krzanich, è un beneficio netto per tutti, perché semplicemente apre un altro fronte di innovazione “nei garage”, che si affianca a quello portato avanti nei grandi laboratori delle multinazionali: «Ci sono progetti, come il nostro transistor 3D, che richiedono dieci anni di ricerche e molti miliardi di dollari di investimento: progetti che sono fuori dalla portata dei “maker”, che però invece sono bravissimi nell’inventare applicazioni. Per questo dobbiamo collaborare».