Il tema dell’innovazione è all’ordine del giorno: per oltre il 60% delle organizzazioni è una priorità strategica e il 35% lo vive come un elemento molto importante. Esiste tuttavia un’interessante discrepanza tra importanza e livello percepito di innovazione reale delle aziende: appena l’11,88% valuta molto buono il proprio livello, il 67,33% buono e, in totale, il 20,79% scarso o molto scarso.
Ad affermarlo è la ricerca “Empowering Innovation”, il barometro sulla Gestione e il Finanziamento dell’innovazione alle imprese italiane promosso da Ayming, con la partnership di AIRI (Associazione Italiana per la Ricerca Industriale), ANDAF (Associazione Nazionale dei Direttori Amministrativi e Finanziari) e Spring (il Cluster Tecnologico Nazionale della Chimica Verde).
«Abbiamo costruito questo studio con la volontà di individuare i modelli organizzativi con cui le aziende gestiscono al proprio interno l’innovazione, e di valutare come sono utilizzati gli incentivi pubblici all’innovazione e con quale efficacia», ha spiegato Lorenzo Pederzoli, Head of Innovation Performance Italy di Ayming, il gruppo internazionale di Business Performance Consulting.
La raccolta di 382 questionari – in Italia, Spagna e Portogallo – ha permesso di tracciare un quadro generale sul Sud Europa e un focus specifico su ciascun Paese. «In Italia a rispondere sull’innovazione sono stati soprattutto i Direttori Amministrazione Finanza e Controllo (46%), cioè coloro che storicamente si sono sempre occupati d’innovazione, seguiti dalle figure dell’area R&D e Innovazione (28%) e dal General Management (14%). Quest’ultimo dato per noi è stato sorprendente: consegna, infatti, finalmente anche alle alte vette la responsabilità dell’innovazione», ha sottolineato Pederzoli.
Dal punto di vista dei settori industriali, sono rappresentati in modo equilibrato, con una predominanza dei settori Manifatturiero (16% del totale), Chimico/Farmaceutico (13%) e Agri-food (11%); mentre la dimensione delle aziende, in termini di fatturato e di dipendenti, vede una maggioranza di PMI, il 65% del totale, mentre il 35% fa capo alle grandi imprese.
Entrando nel merito dei risultati puntuali, il 95% delle organizzazioni dà molto peso all’innovazione (per il 60,4% del campione è prioritaria e per il 34,65% è importante), dato questo che si riflette solo parzialmente sul livello di innovazione percepito, come anticipato in apertura: solo l’11,88% valuta il livello di innovazione della sua impresa molto buono, seguito comunque da un confortante “buono” indicato dal 67,33% dei rispondenti. Una lettura di questo trend ci è stata fornita dal manager di Ayming: «Possiamo effettuare diverse ipotesi per spiegare questo gap, che potrebbe ad esempio dipendere da criticità culturali e strutturali, sia interne alle organizzazioni sia di contesto: per fare innovazione di qualità sono necessarie competenze di alto livello che normalmente sono possedute da soggetti che hanno completato dei percorsi di alta formazione. Se facciamo riferimento al contesto italiano notiamo una rumorosa “assenza” di questi alti profili nell’industria e in particolare nei settori privati che investono in ricerca e innovazione».
Dalla ricerca è emerso che, in Italia, gli sforzi d’innovazione sono ancora strettamente legati al time-to-market: aumentare la competitività (18%), migliorare il prodotto (16%) e acquisire efficienza (16%) sono, infatti, i tre obiettivi principali delle attività intraprese. Invece, i trend tecnologici considerati più rilevanti sono la digitalizzazione (88%) e l’Industria 4.0 (81%), l’automazione si pone invece al quarto posto con il 54% dei rispondenti che la considera molto importante. Come ha ribadito Pederzoli, «il fatto che, invece, i temi della Cross Fertilization e dell’Open Innovation siano stati indicati come secondari per noi è un campanello d’allarme perché chi dichiara che l’innovazione è molto importante dovrebbe cercare di cogliere anche, e soprattutto, gli input esterni: da soli non si può più vincere la competitività. Questo dato insieme quello del livello percepito ci fa comprendere come oggi le aziende non siano ancora mature per dare un’autovalutazione al proprio livello di innovazione».
Questo risultato trova riscontro nel fatto che solo il 56% delle aziende che ha partecipato all’indagine ha dichiarato di avere una strategia definita. Si conferma, così, che le organizzazioni, anche grandi, puntano al breve periodo, ed «emerge la necessità per le aziende di affrontare la sfida della strutturazione interna per trasformarla in una leva per migliorare l’efficacia, nonché l’efficienza, dei propri progetti innovativi – ha sottolineato Pederzoli -. C’è poi un altro aspetto da considerare: se da un lato è vero che l’innovazione non è direttamente proporzionale al numero di persone che lavorano nel dipartimento dedicato all’innovazione, dall’altro il fatto che solo il 25% ha 10 o più addetti evidenzia come le persone dedicate a questa attività di frontiera siano ancora troppo poche per traghettare con successo l’organizzazione in un mondo nuovo. Per esempio, la velocità di obsolescenza che abbiamo raggiunto oggi fa si che diventa davvero una leva strategica riuscire ad accaparrarsi due o tre anni di know-how nascosto, per competere in un mercato globale».
Aree di innovazione, leve strategiche, R&D e budget: gli elementi su cui porre attenzione
Ai partecipanti all’indagine è stato chiesto quali sono le aree di innovazione su si concentrano di più: al primo posto ci sono prodotti/servizi (79%), al secondo processi/procedure (58%), mentre il livello organizzativo è stato indicato da appena il 29%.
Il Barometro ha poi approfondito quali siano le leve strategiche per innovare efficacemente: per il 65% del campione è la “visione del management”, per il 45% l’“approccio strutturato all’innovazione” e per il 41% le “risorse finanziarie”.
In merito invece al peso degli investimenti in R&D rispetto al fatturato, il 53% dei rispondenti ha investito una percentuale fino al 5% del proprio fatturato, il 6% tra il 5 e il 10%, il 7% tra il 10 e il 20% e solo il 3% ha investito oltre il 20% del proprio fatturato. È inoltre interessante notare che solo il 56% dichiara di avere un budget dedicato all’innovazione e la maggior parte dei partecipanti sostiene che tale budget aumenterà nel futuro.
Gli incentivi all’innovazione
Con il Piano Industria 4.0 di Calenda sono stati previsti una serie di incentivi fiscali all’innovazione volti a favorire la trasformazione digitale dei processi produttivi, con una defiscalizzazione dei beni strumentali di ultima generazione.
Come ha raccontato Pederzoli, «il paradigma di Industria 4.0 è stato gestito a regola d’arte. Si è partititi con l’incentivazione all’acquisto di macchinari tecnologicamente avanzati, per svecchiare il parco macchine presente negli stabilimenti. Si è arrivati così al secondo step che ha previsto lo sviluppo delle competenze sulle tecnologie abilitanti, necessarie all’evoluzione dell’innovazione organizzativa in atto. Inoltre Industria 4.0 ha avuto il grande merito di far lavorare PMI e grandi aziende sullo stesso piano. Se le prime sono state favorite nei loro programmi di automazione (in Italia a investire in nuovi macchinari automatizzati è il 15% delle piccole e medie imprese contro il 5% della media europea), le altre hanno fatto tesoro dell’iperammortamento che è nel loro DNA.
A utilizzare gli incentivi Credito d’imposta R&S, nati con l’obiettivo di stimolare la spesa privata in Ricerca e Sviluppo per innovare processi e prodotti e garantire la competitività futura delle imprese, è il 75% degli intervistati. Complice il fatto che il 65% del campione che abbiamo intervistato è costituito da PMI, l’indagine ha mostrato che i progetti di medio periodo, iperammortamento e superammortamento e Patent Box, riscuotono invece meno successo, con rispettivamente il 59,14% e il 37,63% di consensi.
«Grazie al progressivo aumento degli strumenti fiscali a supporto dell’innovazione ci aspettiamo che nel futuro ci sarà una nuova visione dell’innovazione: si potrebbe coniare un nuovo slogan “strategia 5.0” per far crescere l’ecosistema, fatto da tutti gli elementi e gli attori (anche i fornitori e i clienti) che quotidianamente concorrono per migliorare l’innovazione, disponibili ad essere open innovation che è il limite da superare per i futuri manager. Oggi abbiamo le risorse, il capitale e le tecnologie abilitanti: tutto questo si deve tradurre con una vision che si ottiene aprendo le porte dell’ufficio tecnico che deve mettersi in gioco».