Una quantità crescente di dati da esplorare, un approccio crowdsourcing all’impiego di risorse umane e tecnologiche e quel tocco di creatività – la giusta combinazione di algoritmi – per far funzionare il tutto. Ecco gli ingredienti che rendono le startup così speciali in questo preciso momento storico. I loro modelli di business estremamente versatili le rendono il partner ideale, ad esempio, per la grande impresa che ha bisogno di ottimizzare il ciclo di vendita, offrendo allo stesso tempo servizi personalizzati sulle diverse piattaforme distributive, a prescindere che si parli di on line e off line.
Ma soprattutto in Italia, e specialmente rispetto ai temi della distribuzione moderna e della multicanalità, la grande impresa ancora non sembra essersene resa conto. Se infatti all’estero una startup attiva nell’ambito del Commerce può in media contare su investimenti pari a 20 milioni di euro, nella Penisola quelle che raccolgono un milione di finanziamento possono dirsi fortunate (fonte: Osservatorio eCommerce B2C del Politecnico di Milano). Ciò che però manca davvero al contesto italiano è il collegamento tra le iniziative digitali e le reali esigenze delle organizzazioni di stampo tradizionale. Organizzazioni che, in molti casi, tentano a propria volta la carta della multicanalità sperimentando modelli di business che, di fatto, anziché produrre valore generano costi talmente elevati da risultare in perdita. Se ne è parlato al Politecnico di Milano in occasione di un workshop organizzato dall’Osservatorio Startup Intelligence.
Supermercato24, la spesa arriva a casa grazie al crowdsourcing
“Servizi come Esselunga a casa o Amazon Prime non sono al momento profittevoli, tutt’altro. Ma è comprensibile: l’obiettivo è prima di tutto offrire un servizio a valore aggiunto al consumatore in un contesto di mercato in cui l’on line pesa solo per lo 0,25% rispetto al totale della spesa sul fresco. Tuttavia, considerando che in Francia e UK le percentuali salgono al 4 e all’8%, direi che le cose sono destinate a cambiare anche qui in Italia. Ed è lì che entriamo in gioco noi”, garantisce Enrico Pandian, fondatore e amministratore delegato di Supermercato24, startup veneta attiva in 16 province italiane con un fatturato che nel 2016 dovrebbe toccare gli 8 milioni di euro. Applicando per la prima volta la logica della sharing economy al mondo della GDO, la promessa di Supermercato24 è portare a casa degli utenti la spesa fresca fatta on line entro un’ora. Attraverso la mobile app il consumatore accede a circa 10 mila referenze acquistabili nelle principali catene di supermercati (esclusi i discount) e invia l’ordine. A questo punto l’algoritmo elaborato da Pandian individua un collaboratore tra i 25 mila iscritti alla piattaforma tenendo conto della disponibilità, della geolocalizzazione e anche della specializzazione negli acquisti. “Se una lista della spesa contiene affettati o carne, meglio affidarla a una persona che conosce bene i prodotti del banco macelleria. Come valutiamo questi aspetti? Attraverso feedback e caratteristiche personali”, spiega Pandian. Il collaboratore fa la spesa in un punto vendita vicino a casa dell’utente e gliela consegna in meno di 60 minuti, applicando allo scontrino una tariffa di 4,90 euro, più una fee variabile (dal 5 al 15%) sul prezzo dei prodotti freschi. “Il prossimo passo consisterà nel prevedere una serie di collaboratori fissi all’interno dei negozi e una flotta di fattorini che farà la spola tra supermercati e case dei clienti”. Pandian non esclude la possibilità di lavorare per le imprese, offrendo i servizi di Supermercato24 come strumento di welfare aziendale nei confronti dei dipendenti. “Non facciamo altro che ottimizzare la catena logistica grazie al crowdsourcing”, chiosa il manager. “Peccato sia più semplice stringere accordi – anche in ottica promozionale – con i brand che con le insegne, che ci vedono erroneamente come un competitor. Quando invece siamo i loro primi clienti”. Se però l’atteggiamento della GDO non cambierà, Supermercato24 potrebbe in effetti rivelarsi un temibile concorrente su un altro fronte: a differenza delle grandi catene, la startup di Pandian condivide con i marchi i dati relativi alle vendite, offrendo quindi preziose informazioni di marketing da sfruttare per personalizzare le offerte.
Indabox, 3mila punti di ritiro
Chi invece ha trovato la quadra per un rapporto di mutua convenienza con la GDO (o per lo meno con una parte di essa) è Indabox, fondata nel 2013 da Giovanni Riviera e Michele Calvo. Mettendo insieme una rete di 3 mila punti di ritiro nei grandi centri urbani e nei capoluoghi di provincia italiani, Indabox ha coinvolto insieme a migliaia di bar anche 300 Carrefour Market e 60 Carrefour Express. Il modello di business, pur rimanendo nell’ambito della logistica e-commerce, è radicalmente diverso da quello di Supermercato24: Indabox divide con i suoi partner le revenue per la custodia di pacchi o per la gestione di resi (di valore inferiore ai 500 euro) su acquisti effettuati dagli utenti su qualsiasi piattaforma on line. “Per la creazione di punti di ritiro selezioniamo esercizi in cui esiste per il consumatore una reale occasione d’acquisto”, dice Riviera, che precisa: “Nell’app sono incluse tessere fedeltà e strumenti di loyalty grazie ai quali i partner possono attivare promozioni sui nostri utenti, che diventano anche loro clienti”. Per il prossimo futuro Indabox prevede due nuove offerte: Freshbox, un’evoluzione del servizio per la gestione del fresco a norma di legge, e Readybox, che consentirà di ottenere in pronta consegna i prodotti acquistati tramite e-commerce. Anche Indabox deve scontrarsi con quella parte di mercato che paradossalmente potrebbe ottenere enormi vantaggi grazie a un’alleanza strategica. “Se riuscissimo ad accordarci con i principali spedizionieri italiani, otterremmo un modello veramente virtuoso per tutti”, spiega Riviera. “Potremmo abbattere i costi logistici ottimizzando il percorso dei corrieri, incorporare la tariffa per il ritiro nella spedizione e ampliare ulteriormente le occasioni di contatto tra esercenti e clienti finali”.
WIB, il confine fra fisico e digitale è sempre più labile
Conoscendo la situazione, WIB, pur potendo vantare tra i suoi primi clienti Coop, ha fatto una scelta ancora più radicale: disintermediare la filiera dell’e-commerce da produttore a consumatore e rivolgersi soprattutto al mercato statunitense. È in Nord America che la startup siciliana sostenuta da Unicredit, Vertis Sgr e RedSeed Ventures sta riscuotendo un certo successo, non tanto come puro fornitore di vending machine per il ritiro degli acquisti on line, quanto come partner per il marketing multicanale basato sia sull’installazione di distributori automatici intelligenti in location strategiche, sia sull’analisi dei dati generati dalle interazioni del sistema con i consumatori. “L’erogatore è modulabile e consente di gestire prodotti di dimensioni diverse, con funzioni di multiple picking e variazioni di prezzo anche in base al profilo social dei clienti, mentre la parte software permette un controllo da remoto delle campagne, elabora messaggistica in real time e integra il mondo fisico con quello digitale”, dice Alfonso Correale, membro del board di WIB (dove come advisor siede anche Siki Giunta, top manager di Verizon). “Abbiamo puntato sugli USA perché i marchi americani hanno capito da subito che WIB è prima di tutto un tool di marketing e comunicazione, fortemente integrato con le attività di prevendita. Da qui poi discende anche la possibilità di fare business in chiave multicanale”.
In ambito turistico c’è Musement
Facendo un ulteriore passo nel mondo dell’intangibile, Musement si propone al mercato come marketplace e service provider di offerte culturali ed esperienziali in ambito turistico, costruendo interessanti integrazioni verticali per le imprese che vogliono diventare parte di pacchetti di viaggio in 300 destinazioni in tutto il mondo, con focus sulle capitali europee. La proposizione non è solo sul lato B2C: attraverso l’implementazione delle API con le maggiori piattaforme di ticketing europee, Musement è in grado di integrare i biglietti nei bundle offerte dagli operatori, oppure di inserirsi all’interno dei programmi fedeltà di aziende attive in settori completamente diversi, come per esempio il catalogo Enel premia. Un algoritmo di dynamic packaging, infine, consente di modulare le proposte in real time in base alle effettive condizioni climatiche della destinazione. “Anche grazie ai nostri servizi, l’anno scorso si sono spostate circa 120 mila persone”, dice il numero uno di Musement Alessandro Petazzi. “La società nel 2015 è cresciuta di 5 volte rispetto al 2014 e ha iniziato il 2016 in crescita di 3 volte rispetto ai primi mesi 2015. Possiamo ritenerci soddisfatti per aver raccolto 5 milioni di investimenti, oltre che per essere entrati nella shortlist delle startup italiane che hanno un filo diretto con gli sviluppatori dell’App Store di Apple. Ma non possiamo dimenticare che i nostri competitor diretti, all’estero, hanno alle spalle finanziamenti per circa cento milioni di euro”.
Chiudiamo questa rassegna delle startup italiane che a vario titolo occupano posizioni chiave nella catena del ciclo di vendita citando Buzzoole e Lanieri, che si trovano ai due estremi della filiera: promozione e contatto diretto con il consumatore. L’elemento che hanno in comune? La totale personalizzazione del servizio, offerto ai brand nel caso di Buzzole e ai clienti finali nel caso di Lanieri.
Buzzoole, Influencer marketing automation, l’evoluzione delle digital PR
“La nostra è una piattaforma di Influencer marketing automation”, spiega Nicoletta Guardasole, responsabile marketing della startup napoletana che, oltre a essere operativa in Usa, Polonia, Svizzera e Spagna, ha da poco aperto una filiale a Londra. “Rappresenta l’evoluzione delle digital PR, ma a differenza di quanto offerta da un’agenzia tradizionale non c’è scouting manuale, mentre è possibile tracciare l’andamento della campagna in tempo reale. Grazie a un motore semantico proprietario, analizziamo le conversazioni e le categorizziamo, identificando sui social network gli influencer da ingaggiare per campagne con specifici target”, continua Guardasole. Rispetto agli strumenti tradizionali Buzzoole, che viene remunerata in base alle performance effettive, promette una maggiore efficacia nella diffusione del messaggio e risparmi nell’ordine del 70%, grazie a un meccanismo di gamification che permette di ingaggiare gli influencer senza pagarli in denaro, ma offrendo loro crediti da convertire in buoni acquisti Amazon.
Lanieri, una sartoria tra il negozio e l’online
Simone Maggi, supportato da una cordata di imprese del tessile nel Biellese, sta invece utilizzando la propria startup Lanieri per affermare l’omnicanalità nella sartoria maschile 100% made in Italy. In realtà l’ambizione iniziale era quella di portare sull’on line l’intero processo della commissione, della realizzazione e della vendita di abiti su misura. Ben presto, però, Maggi si è dovuto scontrare con la realtà. “Il cliente, almeno per i primi acquisti e soprattutto per la presa misure, vuole una sede fisica. Abbiamo implementato un videotutorial e un algoritmo che rendono l’operazione intuitiva anche via app e abbiamo addirittura previsto il servizio a domicilio, ma niente da fare: l’abilitazione del primo ordine rimane sempre la fase più complicata”. Per questo ora Lanieri (che comunque non ha abbandonato lo sviluppo degli strumenti digitali con, per esempio, il recente lancio del configuratore 3D di camicie) dispone di una rete di showroom a Milano, Roma Zurigo, Parigi, Monaco e Torino. “Lo sforzo paga, visto che comunque l’80% dei clienti che comincia nel negozio fisico, a partire dal terzo acquisto si orienta sull’on line”, chiosa Maggi, “ma abbiamo capito che, anche offrendo un servizio on line estremamente innovativo con prezzi inferiori del 40% alla sartoria tradizionale, non possiamo prescindere da una prospettiva omnichannel”.