C’è una sottile linea rossa che unisce il valore percepito dal consumatore nel momento in cui accede a un servizio o acquista un prodotto e il valore generato per l’organizzazione che li fornisce. Al di là degli aspetti tecnologici, oltre le piattaforme che abilitano applicazioni e user experience, ciò che innesca e rende reciprocamente proficua la relazione tra imprese e clienti è l’utilità della proposizione.
Sembra scontato dirlo, ma la verità è che la rivoluzione digitale, disintermediando i rapporti tra gli estremi delle filiere, ha rimesso a nudo uno degli elementi alla base del concetto di brand equity. Di questo si è discusso in occasione del workshop “Change is Digital Experience” inserito nel programma di “Change the Game”, l’evento che Noovle (tra i top 50 premium partner di Google Cloud) ha organizzato a ottobre a Milano per raccogliere e divulgare le testimonianze di chi ha puntato sulla Nuvola per ripensare il proprio modo di fare business.
Un approccio che nasce dalla comprensione delle esigenze dei consumatori attraverso lo studio dei dati, e che cavalca l’elemento tecnologico solo come tramite per portare con maggiore efficienza ed efficacia prodotti e servizi nei contesti in cui possono essere maggiormente valorizzati.
«Il customer service è il new marketing», ha spiegato Rachele Zinzocchi, coach e Digital Strategy R&D Consultant. «Uno dei problemi principali della digital transformation è doversi confrontare con chi dice di voler cambiare le regole, ma poi non lo fa: non si opera alcun cambiamento se ci si limita a trasferire i vecchi problemi – e spesso senza predisporre adeguati programmi di formazione – sulle nuove piattaforme. Le aziende devono instaurare con il cliente una conversazione, o meglio ancora una condivisione di esperienze che risulti utile per entrambi, dando vita a un circuito virtuoso che solo in ultima istanza si risolverà in una transazione». È ciò che Zinzocchi definisce ‘helping marketing’. «Nello scenario competitivo odierno la differenza la fanno le aziende che risolvono i problemi, offrendo una user experience memorabile e un CRM impeccabile».
Geolocalizzazione e mappe: nuovi modi di interagire
È ciò che sta facendo, per esempio, la divisione di Mountain View che si occupa di Maps. Vincent Casamajou, Partnership Manager di Google Cloud, ha raccontato come la digitalizzazione delle mappe abbia offerto alle aziende nuove opportunità per aiutare gli utenti a districarsi nel quotidiano o in situazioni straordinarie, varando attività a cavallo di gamification ed engagement. «L’aspetto affascinante è che più strumenti digitalizziamo, connettendo persone e raccogliendo dati, più aumentano le possibilità di creare o consolidare il legame con il brand. Per esempio lavorando insieme a BMW siamo riusciti a valorizzare l’autonomia di 300 km delle vetture elettriche I3. Con Renault abbiamo sviluppato un programma ad hoc per far provare le auto in diverse condizioni di guida. Mentre in occasione di una partita di Champions League della Juventus, la società ha sfruttato Streetview per realizzare una guida digitale per i tifosi che arrivavano dall’estero: bastava inserire il numero del biglietto della partita sullo smartphone per ottenere le indicazioni necessarie a raggiungere lo stadio. Un’applicazione semplice che da una parte ha aiutato gli organizzatori dell’evento a gestire meglio l’affluenza e dall’altro ha semplificato la vita ai tifosi, creando ulteriore engagement».
Gigya e la potenza del login con i social
Ma la fedeltà al marchio si costruisce anche attraverso l’intuitività e la sicurezza della user experience, che spesso dipendono dall’immediatezza di accesso alle applicazioni e alle piattaforme on line. «Le aziende ci scelgono per ridurre le barriere all’ingresso ai loro servizi e ottenere customer insight per personalizzare l’offerta di prodotti e contenuti promozionali. In una parola, usiamo i dati generati dai log-in per rendere sempre più rilevante l’esperienza attorno all’individuo, trasformandolo da utente ignoto in cliente fedele», ha detto Dennis Lavetti, Country manager di Gigya, gruppo specializzato in soluzioni di CIAM (Customer Identity and Access Management) che gestisce in 46 Paesi 850 milioni di identità, per conto di più di 700 organizzazioni. «Permettere l’accesso a un portale Web sfruttando per esempio le credenziali dei social network può aumentare sensibilmente il numero di visite. Sui siti dei nostri clienti abbiamo registrato tassi di crescita del 33% rispetto alle nuove registrazioni, un aumento del 26% sull’accuratezza dei profili dei visitatori e, grazie all’integrazione dei dati ricavati dai social media con quelli comportamentali, un +37% sul ROAS (Return On AdSpend)».
Lavetti ha citato il caso di Forbes, che dopo aver implementato le soluzioni di Gigya ha praticamente raddoppiato le registrazioni al sito, mentre il birrificio New Belgium, ha addirittura moltiplicato per otto il numero di utenti attraverso logiche di gamification. Natura, retailer brasiliano specializzato in cosmetica, aveva l’obiettivo di trasformare il proprio portale in un hub in cui clienti e consulenti potessero incontrarsi e comunicare per dare ulteriore spinta alle attività di vendita. Ebbene, grazie anche all’intervento di Gigya, i log-in sono aumentati del 900%, con 100 milioni di clienti e 14 mila venditori attivi sul sito.
Il video è il linguaggio del futuro
Passo preliminare alla registrazione e all’accesso ai servizi offerti on line dai brand è naturalmente la sua riconoscibilità. Di questo si occupa Giuseppe Negri, direttore generale di Blasteem. L’azienda si propone come marketplace e punto di incontro tra creatori di contenuti (prevalentemente video), marchi e audience del Web, offrendo un sistema multipiattaforma e multichannel per la generazione di canali di video sharing che da un lato permettano alle aziende di ottenere visibilità e comunicare la propria identità, tra progetti di gamification, merchandising e interazioni con i protagonisti dei social media, e che dall’altro aiutino i giovani utenti del Web a costruirsi palinsesti secondo le logiche di Internet. «Collaborano con noi una sessantina di Youtuber», ha precisato Negri», che rappresentano grazie ai loro follower un potenziale di 250 milioni di views».
Come nasce un nuovo progetto in banca: l’esperienza Bper
Passa sempre dai social, ma con finalità e strumenti completamente diversi, anche il progetto di community banking Be Atlas di Bper Banca. Lorenzo Zannini, Project Director – Laboratorio Prototipi di Business dell’istituto, ha spiegato l’iter che in poco più di due anni ha trasformato un’intuizione in un’offerta disruptive, già pronta al lancio commerciale. «Volevamo dare vita a una nuova concezione di banca del territorio dedicata ai migranti, che ormai rappresentano l’8,3% della popolazione italiana e sono quindi alla base di una porzione importante del PIL nazionale», ha esordito Zannini. «Creando una piattaforma di social collaboration, con trenta persone che hanno cominciato a proporre idee in chiave bottom-up, siamo riusciti in quattro mesi a presentare un concept al board, che ci ha dato il via libera a procedere. Sono quindi nate altre 18 community, ciascuna votata a un tema specifico del progetto, dalla compliance normativa agli aspetti più tecnologici».
Le cose si sono arenate quando il team di Zannini si è dovuto scontrare con la difficoltà nel creare prodotti dedicati a individui appartenenti a etnie, lingue e culture estremamente diverse. «La svolta c’è stata quando abbiamo capito che dovevamo rivolgerci alle comunità e non alle persone, passando inizialmente da una proposta B2B che ci permettesse di costruire un clima di fiducia per sviluppare valore e arrivare in seguito ai consumatori». Be Atlas ha così cercato di incarnare i valori della sostenibilità del business, dell’inclusione, dell’ascolto dei bisogni anche non bancari e soprattutto della co-creazione. Sul piano organizzativo, questo ha comportato l’evoluzione da un modello di banca tradizionale a una struttura multichannel, con un CRM basato su piattaforme Web, call center e strumenti di contatto mobile.
Sul piano tecnologico, Bper è invece dovuta passare da una architettura IT proprietaria a una soluzione PaaS (Platform as a Service) a cui è seguita l’integrazione di applicazioni Cloud – a partire da interfacce multilingua, visto che il target comprende 34 etnie diverse – e di strumenti di Collaboration, anche attraverso i social, per coinvolgere i potenziali clienti nell’elaborazione di proposte commerciali effettivamente rilevanti oltre che in progetti di crowfunding per sperimentare modalità di finanziamento alternative a quelle tipiche del mondo bancario.
«Questo era due anni fa», ha concluso Zannini. «Dopo nove mesi di prototipazione per validare i modelli di business oggi stiamo concludendo la fase pilota e nel 2017 ci sarà il roll out commerciale con a supporto una divisione dedicata. Abbiamo già mille membri-clienti e contatti con 65 comunità con interessi qualificati: di queste 16 sono attive sul nostro portale. Il progetto ci è valso anche il Premio ABI per l’innovazione come Banca sostenibile».