I parchi africani combattono il bracconaggio con il digitale. L’iniziativa di Dimension Data e Cisco

Grazie a un nuovo sistema basato su reti wi-fi, telecamere, riconoscimento facciale e software predittivi, il progetto pilota Connected Conservation avviato in una riserva privata in Sudafrica ha permesso di ridurre quasi a zero le aggressioni ai rinoceronti. L’esperienza verrà ora replicata nello Zambia e, in seguito, in Mozambico e Kenya. Ce ne parla Ruth Rowan, Global CMO & Group Executive – Marketing di Dimension Data

Pubblicato il 13 Mag 2018

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Garantire agli animali dei grandi parchi africani un’esistenza sicura e libera non vuol dire solo preservarli dal bracconaggio, ma anche evitare loro gli effetti collaterali delle attività di monitoraggio e controllo tradizionali (le quali, per inciso, fino a oggi si sono purtroppo dimostrate inefficaci). La combinazione di soluzioni innovative a cavallo di network Wi-Fi avanzati, telecamere a infrarossi, software di videoanalisi e dispositivi mobile per la notifica in tempo reale di anomalie e attività illegali si sta invece rivelando estremamente interessante nell’ottica di dare vita a un sistema resiliente e proattivo, ma soprattutto rispettoso della fauna. È questo l’approccio sviluppato da Dimension Data, colosso sudafricano dell’ICT, e Cisco, che hanno unito le forze per dare vita a Connected Conservation, un progetto pilota – partito tre anni fa – per la protezione dei rinoceronti in una riserva naturale privata nei pressi del Kruger Park, in Sudafrica, i cui risultati sono stati così brillanti da spingere l’implementazione della soluzione anche in Zambia, Mozambico e Kenya. La logica è quella di un perimetro digitale – sovrapposto a quello fisico –  in grado di identificare, riconoscere e segnalare intrusioni prima ancora che la minaccia si traduca in un’azione concreta. Una logica vincente, se si considera che in tre anni di sperimentazione, il numero di atti di bracconaggio è diminuito del 96% e che nel 2017 nemmeno un rinoceronte è stato aggredito.

«Non è stata una sfida semplice», spiega Ruth Rowan, Global CMO & Group Executive – Marketing di Dimension Data. «Data la natura del luogo e considerate le specifiche esigenze del caso – soprattutto quelle degli ospiti della riserva – abbiamo dovuto pensare in maniera completamente nuova. Quella su cui abbiamo lavorato è un’area remota, con accesso spesso difficoltoso alle forniture energetiche e con le apparecchiature messe in crisi dalle elevate temperature oltre che sempre a rischio di danneggiamento per via della presenza degli animali».

Hotspot Wi-Fi nei punti chiave e riconoscimento facciale per il controllo accessi

Dunque, nella prima fase di sviluppo del progetto, Dimension Data e Cisco hanno raccolto informazioni da tutti i soggetti coinvolti nella tutela della riserva (guardiaparco, personale addetti alla sicurezza, team IT, centri di controllo nonché i proprietari terrieri) al fine di ideare una Reserve Area Network (RAN) sicura installando hotspot Wi-Fi nei punti chiave, ottimizzando la trasmissione dati tenendo conto della scarsa larghezza di banda e adottando connessioni radio punto a punto avanzate. Una volta creata l’infrastruttura di base, si è proceduto alla raccolta e all’analisi di tutti i dati relativi a persone e cose che entrano ed escono abitualmente dal parco, in modo da costruire modelli predittivi per stimare le variazioni di traffico in base a giorno e ora e per valutare l’allocazione delle risorse in funzione della risposta del network alle diverse sollecitazioni.

Il vero approccio innovativo, ancor più che nella scelta, nell’installazione e nella protezione dell’hardware, risiede infatti nelle soluzioni software adottate per creare una vera e propria maglia di protezione intangibile, tanto virtuale quanto invalicabile per chi non dispone dell’autorizzazione o non è riconosciuto dal sistema. Grazie alla tecnologia di facial recognition e al collegamento con l’archivio criminale nazionale, il sistema è infatti in grado di identificare i volti di persone già segnalate alle autorità e inviare agli operatori di sicurezza e ai ranger – attivi nel centro di controllo come sul campo – notifiche puntuali. Grazie alle letture termografiche, le videocamere sono pure capaci di riconoscere veicoli e tipi di armi introdotti. «Tutto ciò risulta molto più efficace di un controllo a tappeto eseguito coi droni, soluzione che abbiamo deciso di abbandonare perché, tra l’altro, a causa della scarsa durata delle batterie sussistono ancora grossi problemi di autonomia», precisa Rowan.

La piattaforma Connected Conservation si rivela particolarmente efficace proprio perché è in grado di distinguere con estrema precisione, in mezzo alle centinaia di persone che – tra fornitori, staff, personale di sicurezza e turisti – ogni giorno entrano nel parco, gli individui potenzialmente pericolosi senza disturbare in alcun modo la fauna.  Ed è per questo che si è deciso di implementarla in uno scenario ancora più complesso, nello Zambia, per preservare gli animali – e in particolare gli elefanti – di uno dei parchi del Paese, sulla terraferma come sugli ampi specchi d’acqua che connotano il territorio. Similmente a quanto installato in Sudafrica, Dimension Data e Cisco stanno allestendo una barriera virtuale permanente sul perimetro del parco basata su videocamere termiche fisse montate su antenne radio che controllano gli ingressi e le uscite dal parco.  Gli spostamenti di pescatori e barche, specialmente di notte, saranno rilevati automaticamente grazie a sistemi analitici  istruiti con i modelli creati a partire dai dati raccolti, mentre le comunicazioni tra i ranger, dotati di dispositivi palmari per ricevere notifiche e segnalazioni, sfruttando la rete Wi-Fi non potranno essere intercettate dai bracconieri.

«Stiamo inoltre lavorando con le autorità e le comunità locali per creare un sistema centralizzato di permessi digitali per la pesca, che ci aiuterà a identificare i criminali che si fingono pescatori», spiega Rowan, che chiosa: «Siamo nel bel mezzo del roll out della piattaforma. A seguire partiranno i progetti in Mozambico e Kenya. Per noi è un privilegio poter fare qualcosa per salvaguardare la fauna africana, ma Connected Conservation è anche un formidabile showcase per dimostrare ai nostri clienti quali risultati può generare la messa a sistema di soluzioni tecnologiche all’avanguardia. Gli ambiti applicativi? Penso al monitoraggio di aree estese dedicate per esempio all’estrazione di materiali di valore o anche a sistemi avanzati di tracking lungo la supply chain. L’importante è che ci sia da parte del management e dell’intera organizzazione la volontà di affrontare una sfida con la giusta apertura a nuove prospettive. L’esperienza dimostra che è un approccio che paga».

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