A 76 anni di vita, con un posto centrale nel mito della nascita della Silicon Valley e con una capitalizzazione di borsa tuttora pari (nonostante i forti cali) a circa 50 miliardi di dollari, Hewlett-Packard (spesso denotata come HP o H-P) si è spaccata in due tronconi. I PC e le stampanti sono andate in HP (nuova denominazione), 50 mila addetti e 57,3 miliardi di dollari di ricavi; i servizi IT per le imprese (in larga misura frutto dell’acquisizione di EDS del 2008) in HPE-Hewlett Packard Enterprise, 252 mila addetti (di cui 33 preannunciati in uscita) e 53 di ricavi. Con HP, ricca di cash-flow che in parte verrà reso agli azionisti e in parte potenzierà gli investimenti in R&D. Con HPE che dovrà confrontarsi duramente – essendone fuori – con la forte transizione in atto verso il Cloud, dove Amazon è leader seguita da Microsoft e dove anche IBM e Oracle stanno cercando un piazzamento.
Le domande che nascono spontanee sono almeno due: se lo split abbia alla base motivazioni strategiche o meramente finanziarie e se i due tronconi in cui la società si spacca non siano destinati a diventare target per imprese che puntino viceversa al consolidamento e/o alla crescita dimensionale.
Il fatto più curioso è che questo split – se pure annunciato parecchio tempo orsono – si verifica a poche settimane di distanza da una operazione di segno completamente opposto, l’acquisizione di EMC per 67 miliardi di dollari (la cifra più alta nella storia dell’ICT) da parte di Dell, storico competitore di HP nei PC e che ha tuttora nei PC la fonte principale dei ricavi: un’operazione giustificata proprio come risposta alla crescita del Cloud.
HP non è però sola. EBay (33,5 miliardi di capitalizzazione) ha annunciato da tempo – pressata dai fondi attivisti – il breakup di PayPal, per darle più libertà di crescita nel mondo in forte sviluppo dei pagamenti. Qualcomm (93,4 miliardi di capitalizzazione), società leader nei microprocessori per apparati mobili, sta conducendo una revisione strategica con il breakup fra le opzioni. Procter & Gamble, in un comparto molto diverso, ha semplificato il suo portafoglio di business cedendo a Coty, per 12,5 miliardi di dollari, i suoi beauty brand (Wella, Max Factor ecc.). E GE si sta progressivamente liberando della divisione finanziaria, GE Capital, che prima della crisi originava il 40 per cento circa dei profitti ma che ora risulta molto meno attrattiva a causa della regolamentazione sempre più restrittiva.
Ma nemmeno Dell è sola, anche se le operazioni di M&A più rilevanti – nell’ambito tech e al di fuori di esso – sono state ispirate a una strategia più tipicamente di consolidamento. Nelle memorie Western Digital ha acquisito SanDisk per 19 miliardi e nei semiconduttori Lam Research ha acquisito il rivale KLA-Tencor per 10,6. Nel cemento la fusione fra la svizzera Holcim e la francese Lafarge ha fatto nascere il più grande gruppo cementiero del mondo, con oltre 50 miliardi di dollari di valore, seguita dall’acquisizione di Italcementi da parte della tedesca HeidelbergCement. Nella birra il numero uno mondiale – AB InBev – ha rafforzato ulteriormente la sua posizione (antitrust permettendo) acquistando SABMiller per oltre 100 miliardi. E se andrà in porto l’acquisizione di Allergan (la società che produce il Botox) da parte di Pfizer, si formerà il primo gruppo farmaceutico del mondo con un valore superiore ai 300 miliardi di dollari.