EDITORIALE

Finanza e politica nell’era dello smartphone

La diffusione degli smartphone provoca cambi radicali nel nostro modo di vita e mette a disposizione business model alternativi in quasi tutti i comparti dell’economia, tanto da attirare, seppur con qualche ritardo, anche l’attenzione della politica. Il mondo finanziario, alla perenne ricerca di occasioni, è stato il più veloce nel cogliere la portata del fenomeno

Pubblicato il 23 Mar 2015

Smartphone

@umbertobertele

Martedì 24 marzo 2015, alle ore 17.45, Umberto Bertelè terrà una Lectio Magistralis sul tema Disruptive Innovation (Aula “Carlo De Carli” del Politecnico di Milano, via Durando 10). La partecipazione è gratuita previa registrazione.

Umberto Bertelè è autore di “Strategia”, edizioni Egea, 2013. Ha scritto anche la prefazione dell’edizione italiana di “Big Bang Disruption” di Larry Downes e Paul F. Nunes, edizioni Egea, 2014.

Per un paio di scarpe da donna di Louis Vuitton si possono spendere anche più di 1000euro, per uno di Bata ne bastano meno di 60. I prezzi degli smartphone ricordano sempre più quelli delle scarpe da donna: un iPhone6 Plus con 64 GB costa all’Apple Store quasi 1000 euro, un modello basico della Micromax (il brand indiano più famoso) circa 40.

È anche per merito di questa gamma così ampia di prezzi che nel 2014 sono stati venduti nel mondo 1,2 miliardi di smartphone: una cifra impressionante per un oggetto tecnologico, molto più tipica dei prodotti di largo consumo. È impressionante il livello delle vendite, ma lo sono ancor più le conseguenze: sono più di 2 miliardi, e dovrebbero diventare 4 nel 2020, le persone interconnesse via Internet.

“The smartphone is the defining technology of the age”, titolava The Economist qualche giorno fa, “è la tecnologia che caratterizza la nostra epoca”. Una tecnologia che ha alle spalle una infrastruttura – telecom e cloud – che fra il 2009 e il 2013 ha assorbito investimenti prossimi ai 2 mila miliardi di dollari.

La coscienza che siamo di fronte a un processo che provoca cambi radicali nel nostro modo di vita e che mette a disposizione business model alternativi in quasi tutti i comparti dell’economia – con effetti di disruption sempre più diffusi – sta maturando e sta attirando, seppur con qualche ritardo, anche l’attenzione della politica: nello spingere verso interventi più robusti nell’ambito infrastrutturale quale precondizione per lo sviluppo dell’economia, come annunciato con grande enfasi dal primo ministro Li Keqiang in Cina (ove però lo sviluppo di Internet deve fare i conti con la censura) e da Matteo Renzi in Italia; ma anche per far passare misure che favoriscano lo status quo e che cerchino di bloccare l’avanzata apparentemente irresistibile dei grandi di Internet.

Il mondo finanziario, alla perenne ricerca di occasioni, è stato il più veloce nel cogliere la portata del fenomeno e probabilmente è andato anche un po’ oltre. Qualche numero. Tre delle prime cinque imprese quotate a capitalizzazione più elevata – Apple, Google e Microsoft – fanno capo al mondo digitale. Alibaba, leader cinese nell’e-commerce, è la società che ha raccolto più soldi nella storia in fase di quotazione: 25 miliardi di dollari.

Due startup non ancora quotate come Uber e Xiaomi – la prima leader mondiale nei servizi di ride-sharinge la seconda leader cinese negli smartphone – hanno ricevuto dal venture capital o da investitori singoli finanziamenti pari rispettivamente a 2,8 e a 1,4 miliardi. Una crescita inarrestabile? Probabilmente sì, ma con le leggi e i tribunali che stanno assumendo un peso sempre maggiore nel direzionarla e (come detto) spesso per cercare di ostacolarla.

Tre esempi. Uber e la concorrente Lyft – in uno scontro che evoca quelli fra Marchionne e Landini – stanno fronteggiando nei tribunali californiani la richiesta degli autisti di essere assunti come dipendenti a tutti gli effetti, con il timore di una sconfitta che sarebbe esiziale per la loro valutazione. La Corte di Giustizia europea, sulla base della tesi che gli e-book sono servizi e non beni fi sici, ne ha vietato l’omologazione al formato cartaceo ai fini dell’applicazione dell’IVA ridotta.

La Cina, con la scusa di rafforzare la sicurezza delle banche, vorrebbe imporre ai produttori stranieri di software di rendere disponibili i loro codici per i controlli: una misura impossibile da accettare, interpretata quindi come volta a privilegiare l’offerta interna.

È giusto o sbagliato l’intervento di leggi e tribunali? Se la nostra vita e le nostre economie sono sempre più destinate a dipendere dalle tecnologie digitali, io credo che sia ineludibileche ciò avvenga. Credo anche però che si debba procedere con grande attenzione, in unmondo in cui – proprio per le profonde interrelazioni – la qualità delle leggi e delle sentenzerappresenta sempre più un importante fattore competitivo.

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