Qualche intoppo tecnico ha impedito all’Icann, l’ente
che regola l’assegnazione dei domini su Internet, di
pubblicare la lista delle società che hanno fatto richiesta dei
nuovi domini .brand. I nuovi Gtld sono domini a tutti gli
effetti come un qualsiasi .com e si aggiungono alle circa
trecento estensioni fino a oggi presenti.
Come spiega Jerome Sicard di MrkMonitor, responsabile per il Sud
Europa della società che aiuta le aziende a proteggere i loro
marchi, l’acquisto di domini come .fiat o .unicredt ha come
obiettivo “la promozione del brand a livello mondiale e la
sua difesa da certe estensioni”.
La faccenda però è abbastanza complicata. Intanto questi nuovi
domini costano parecchio. Si parla di un paio di milioni di
dollari per contratti di dieci anni. A questo bisogna aggiungere
gli investimenti per la gestione dell’infrastruttura
tecnica. Perché il vantaggio di possedere un dominio uguale al
brand permette, per esempio a una banca, “di creare una
comunità sicura, in pratica di avere un pezzo di Internet solo
per i propri clienti dando anche una mail @nomebanca”,
aggiunge Sicard. Canon, Hitachi e la città di Parigi dovrebbero
avere acquistato i propri domini, ma in generale
l’operazione dell’Icann rischia di
“obbligare” le aziende ad acquistarli per tutelarsi.
Una politica per qualcuno discutibile tutelata da una procedura,
della quale però ancora non si conoscono le regole, che
giudicherà le controversie in caso qualcuno acquisisca
un dominio particolare. Se compro un .mcdonalds per fare
una comunità di vegani il passaggio davanti al giudice è
assicurato.
L’altro aspetto è dato dai domini generici. È possibile
anche acquistare nomi come .auto. o punto .sci e .skate come
sembra sia successo. I possessori di questi domini, che ambiscono
a formare comunità legate ai temi oggetto del dominio, possono
poi rivendere ad altri sotto domini come, per esempio .fiat.auto.
In questo caso però il prezzo lo decide chi ha
acquistato il dominio principale.
In pratica sotto indirizzi come .auto si potrebbe trovare
rapidamente tutto quello che riguarda l’argomento. Come
ricorda il responsabile di MarkMonitor, infatti, “Icann ha
creato queste possibilità per creare delle comunità attorno a
queste estensioni”.
In Italia sembra che ben poche aziende o città (si parla di
Roma) abbiano aderito alla nuova offerta dell’Icann che per
due anni chiuderà però i battenti. Chi non ha partecipato a
questo giro infatti dovrà aspettare. Una decisione motivata
anche dalla difficoltà di “digerire” le richieste
per le quali bisogna presentare una serie di garanzie dal punto
di vista tecnico ma anche finanziario. Ogni società deve
infatti presentare un business model che giustifichi la
sostenibilità economica dell’iniziativa.
I due anni di attesa serviranno anche per capire
quale sarà il livello di adozione da parte del mondo
consumer. Fra classiche pagine web aziendali, social
network e mancanza di interesse da parte della aziende causa i
costi, il rischio flop appare alto.
di Luigi Ferro