Lo spread, le tasse, la situazione europea, il mercato del
lavoro. Un macigno pesa sugli innovatori riuniti a convegno da
Digital Magics, la Startupper company fondata nel 2004 da Enrico
Gasperini, pioniere italiano di Internet.
Oltre duecento persone – fra pubblicitari, operatori dei media,
venture capitalist – cercano di togliersi di dosso il macigno, ma
la stanchezza è evidente. Si invoca Berlino, una città dove la
vita costa meno che a Milano (dettaglio non trascurabile) e che
è diventata il centro europeo per le start up. Non che i
tedeschi siano protagonisti, anzi. Ma da tutta Europa, Italia
compresa, convergono lì per la fertilità dell’ambiente.
Sapere il tedesco è un optional, l’inglese in certi
ambienti è la lingua ufficiale, tanto che qualcuno osserva che
lo stesso incontro a Berlino avrebbe avuto l’inglese come
lingua ufficiale. Un dettaglio che la dice lunga
sull’ambiente italiano che cerca però di guardare oltre
frontiera per capire quale sia la strada giusta, nella speranza
che il nuovo governo guardi finalmente con attenzione
all'Agenda Digitale. Anche perché quando si volge lo sguardo
all’interno dei confini nazionali ci si può aggrappare
solo alla flebile speranza di un nuovo governo che sembra
finalmente guardare con attenzione all’agenda digitale.
Enrico Gasperini, presidente di Digital Magics non pretende di
fare l’ottimista a tutti i costi. Sciorina le classiche
cifre che disegnano un difficile panorama della situazione
italiana dal punto di vista tecnologico e ricorda che “ogni
anno arriva in Italia una società americana che si prende il
bottino. Prendiamo l’esempio del couponing con dieci
milioni di persone lo utilizzano. La domanda c’è ma non ci
sono cloni nazionali come succede in altri paesi. Segno di una
carenza nazionale nei progetti per il digitale”.
Sempre a Berlino, racconta l’anno
scorso sono nate cinquecento nuove start up grazie anche
all’attenzione dei gruppi dei media che danno un contributo
importante. “Qui invece i grandi gruppi non
puntano sulle start up, mentre bisogna puntare su progetti di
filiera come Audiweb”. Però, osserva Massimo Costa,
country manager di Wpp, questo rimane un paese vecchio, poco
incline al cambiamento, senza public company e con una fortissima
presenza della Tv.
Le aziende dei media, secondo Marco Giordani di
Mediaset, fanno fatica ad adattarsi ai nuovi modelli
perché rimane indietro il contesto fatto di un modello di costi
difficile da cambiare e di relazioni sindacali vecchio
stile.
Le regole sulla privacy non aiutano (un Facebook italiano
andrebbe in galera, si dice) e Telecom Italia, che sta lavorando
a un progetto sull’Nfc, ha dovuto superare la ritrosia
delle banche che avevano paura di avere di fronte un nuovo
concorrente. “Non è un problema di comparto –
afferma Costa – ma di paese”, anche se nel caso dei
media è difficile dibattersi tra un lettore web che rende meno
di un decimo del lettore cartaceo, come spiega Stefano
Quintarelli del Sole 24 ore, e l’esplosione dei social
network, che penalizza il mezzo migliore dal punto di vista
pubblicitario rappresentato dalla home page dei siti, come invece
sottolinea Claudio Giua che si occupa dell’innovazione del
Gruppo Espresso.
E poi c’è l’abilitatore tecnologico che è diventato
intermediario commerciale (Apple): aggiunge del valore, ma si
tiene il 30% di margine. Il price point lo decide lui e il 15% di
Iva se ne va in Lussemburgo. “Non ci sono i costi della
carta ma quelli di distribuzione rimangono” conclude
Quintarelli. Però l’Italia con i tablet ci ha azzeccato
proponendo i giornali sfogliabili che ripropongono la percezione
di valore e consuetudine d’uso della carta. Le Web company
sono più felici, vedono un mercato in crescita ma non si
nascondono i problemi.
“Se si volesse creare nuova occupazione – spiega
Giulio Corno, ceo di Triboo – e rompere gli oligopoli, si
dovrebbe fare come negli Stati Uniti detassando
nell’esercizio gli ammortamenti. Poi bisognerebbe togliere
l’Irap. Queste due misure servirebbero a dare nuovo slancio
all’economia digitale”. Secondo Giancarlo Vergori,
general manager di Matrix, i problemi arrivano dalle regole e dal
mercato televisivo. “In altri paesi la tv di stato
raccoglie poco sul mercato pubblicitario liberando risorse per
gli altri media. Iniziate a toglierci la privacy, dateci un
mercato competitivo con le altre nazioni e il mercato digitale
dell’advertising può iniziare a dare molte soddisfazioni.
Non dimenticando però che esiste un problema di qualità delle
persone che presidiano questo mercato”.
Anche i venture capital hanno bisogno di soldi e regole. Claudio
Giuliano di Innogest ricorda che tra il 2003 e il 2010
negli Stati Uniti i capitali disponibili ammontavano a 130
miliardi di dollari, mentre in Europa ci si è fermati a
28. L’Italia poi vanta cifre inferiori a quelle di
paesi con Pil simili. L’imprenditorialità però non manca.
Solo che gli startupper della Penisola devono fare un salto di
qualità per pensare in grande circondandosi di partner giusti. E
poi bisognerebbe guardare con attenzione alle nuove forme di
finanziamento.
Luigi Amati di Zernike Meta ventures cita il crowdfunding, la
finanza delle folle, un fenomeno nuovo che ha raccolto più di
300 milioni di euro negli Stati Uniti dove già può vantare una
legislazione favorevole. Chi ha bisogno di somme fra diecimila e
un milione di euro può tentare la strada del finanziamento
collettivo che si sta estendendo, anche dal punto di vista
normativo in Gran Bretagna.
“In Italia, invece, scontiamo il solito problema di un
sistema che da un lato non stimola l’imprenditorialità,
mentre dall’altro non è facile investire in start up e
beneficiare di incentivi e facilitazioni che sono poi quelle che
fanno la differenza negli Usa, ma anche a livello europeo. In
Francia, per esempio i fondi per l’innovazione possono
usufruire di specifiche forme di agevolazione fiscale in entrata
e in uscita”.
La storia poi insegna, è l’opinione di Aurelio Mezzotero
di Altlante Ventures, che negli ultimi cinquantanni non
c’è paese, Israele compreso, dove il venture capital sia
nato senza l’intervento pubblico. Alla fine si torna sempre
lì.
di Luigi Ferro