Poche parole per sintetizzare il “cambio di pelle” scatenato in questi anni dal digitale nel settore fashion: «Scaffali intelligenti, vetrine interattive, il mondo della moda sta cambiando, viviamo perennemente connessi a Web, social network, e-commerce. Veramente è mutato il modo in cui ci relazioniamo con la moda». Così parla Emanuela Testori, direttore di Amica, all’evento Fashion #newemotion, organizzato da IBM nel client center di Segrate.
Questa trasformazione radicale, partendo dai grandi marchi, dalle maison e griffe più famose, sta rivoluzionando tutto il comparto, e il cambio generazionale si vede, anche nel come le nuove collezioni vengono presentate. Cosa c’entra IBM in questo scenario? «Il tema – spiega Maria Cristina Farioli, Direttore Marketing e Comunicazioni di IBM Italia, è l’evoluzione della moda e la capacità della tecnologia di aiutarla ad accelerare questo percorso evolutivo». L’obiettivo, dice, è far diventare la tradizione nostrana, la sua sartorialità e creatività, sempre più globale, recuperando forza attraverso l’innovazione tecnologica, la leva strategica in grado di aiutare tutti i brand, più o meno grandi, a conquistare una visibilità mondiale. Anche perché la posta in gioco diventa sempre più allettante.
Armando Branchini, Vicepresidente di Fondazione Altagamma, fornisce qualche cifra sul comparto globale dei beni di lusso per la persona, in cui sono inclusi abbigliamento e accessori, che, secondo le previsioni sull’andamento del settore alta gamma nel 2015, sono destinati a registrare, rispettivamente, una crescita del 4% e del 6%. Altro dato interessante: attualmente sono circa 390 milioni i consumatori di prodotti di lusso nel mondo. Vent’anni fa erano 70 milioni. I consumi mondiali di beni di lusso nel 2014 sono stati pari a circa 800 miliardi di euro, e fra 4-5 anni toccheranno il trilione di euro, prevede Branchini. Ma ora, dopo i successi ottenuti con la generazione X (1960-1980), e la Y, sviluppata fra gli anni 80 e il 2000, il problema resta capire le regole d’ingaggio per conquistare i giovani consumatori, i nativi digitali cresciuti in questi anni. E la tecnologia di raccolta e analisi dei dati provenienti da social media, blog e forum, dove i consumatori quotidianemente raccontano esperienze e condividono preferenze, tramite commenti, tweet, post, immagini e video, diventa la chiave per comprendere queste nuove regole, identificando preferenze su brand e prodotti e anticipando la domanda.
Al riguardo, particolarmente indicativi sono i primi risultati della seconda edizione della ricerca realizzata da IBM Interactive Experience “I Dati sono Fashion – Vision 2015”, che raccoglie le conversazioni sull’industria della moda, del lusso e del made in Italy, per fornire informazioni utili a migliorare il business. Dai dati analizzati – quasi 669 mila conversazioni relative a 20 marchi dell’alta moda italiana, raccolte nel trimestre ottobre 2014-gennaio 2015, più altre circa 232 mila generate in occasione della settimana di Milano Moda Donna fra il 25 febbraio e il 2 marzo 2015 – emerge un mercato eterogeneo con strategie di comunicazione differenziate in funzione del posizionamento del marchio, della sua “età” e del livello di digitalizzazione. L’obiettivo principale delle aziende che usano i canali social è la “awareness” del brand e dei prodotti (75%). Ma emerge la volontà di capitalizzare sull’investimento già fatto per ampliare le proprie community, sviluppando capacità di analisi e qualificazione dei propri fan e follower, e concentrandosi maggiormente sull’ingaggio e la relazione post-vendita.
Le linee guida per sviluppare strategie di posizionamento efficaci
Soprattutto, dai risultati scaturiscono tre linee guida fondamentali per sviluppare strategie di posizionamento più efficaci. La prima è conoscere il cliente e stimolare le sue conversazioni per raccogliere quantità di dati sempre maggiori che, analizzati con tecnologie ad hoc, possono rappresentare uno strumento molto potente per facilitare la presa di decisioni di business.
La seconda regola è costruire un sistema di ingaggio capace di massimizzare il valore. E qui le organizzazioni devono saper integrare e bilanciare sempre meglio i canali digitali con il mondo offline. «Alcune società lo stanno facendo» dice Salvatore Ippolito, Country Manager di Twitter Italia, mostrando che il 30% degli italiani segue i brand della moda su Twitter, e ricordando anche l’alleanza stretta qualche mese fa dal social network con Big Blue, per integrare i propri tweet con gli strumenti e i servizi analitici della casa di Armonk. Un esempio di creazione di processi più strutturati per la collaborazione tra digitale e negozio fisico può essere la raccolta e analisi dei dati disponibili online, per poi fornire nel momento giusto agli store assistance informazioni in real-time sui clienti e il gradimento delle linee di prodotto, utili a migliorare sia l’esperienza di vendita, sia quella di acquisto.
La terza regola è considerare il proprio brand come una persona. Poiché oggi i clienti usano in primo luogo i canali digitali per comunicare la loro percezione sul marchio, diventa strategico abilitare sempre più linee di business all’utilizzo di questi canali, in modo da far diventare il brand una voce unica.
Le esperienze di Liu Jo e Yoox
Nel panel di discussione, Cristiano Sturniolo, Direttore Marketing di Liu Jo, sottolinea come nella visione dell’azienda il valore del brand sia la cosa più importante. «Le marche si salvano se hanno un’identità forte. E ciò vale nel mondo tradizionale quanto nell’online, e a maggior ragione oggi, in quest’epoca segnata dalla digital transformation». Come passo chiave ricorda il progetto di comunicazione realizzato con la modella Kate Moss, il top dell’icona fashion nel mondo, per elevare il livello di internazionalizzazione del brand.
«E l’e-commerce?» Chiede Testori. «È una realtà importantissima» risponde Sturniolo. «Intanto siamo partiti costruendo un team molto qualificato e forte, che ha in casa la competenza per gestire tutta la filiera. L’e-commerce è importante a livello commerciale e di feedback dei consumatori. Questo è stato il primo step, ed ora il secondo è la omnicanalità». In Liu Jo si è formato un tavolo cross funzionale, attorno al quale siedono e collaborano la direzione della società, il reparto e-commerce, il settore del retail fisico, i responsabili IT e il marketing. «L’idea – conclude Sturniolo – è far in modo che il negozio digitale non sia semplicemente un negozio, ma diventi una struttura in grado di aggregare e ricevere esperienze da tutti i canali, fisici e digitali».
Un altro è il caso di Yoox. Lo store online fondato nel 2000, e di recente fusosi con Pret-A-Porter, retailer online di primo piano nel settore del lusso, ha un primo punto differenziante, spiega lo Strategic Marketing Director Paolo Mascio, ed è la sua visione internazionale sui clienti: la società esporta oltre l’80% di ciò che vende. Il secondo elemento è la capacità di adattamento al mercato e di seguire il cliente. Cosa non facile, sottolinea Mascio, considerata la mole di dati da gestire e la necessità di controllare i consumatori su un canale in continuo mutamento. Ma gli utenti italiani che approcciano l’e-commerce sono in aumento? «Sicuramente sì – risponde Mascio – anche se l’Italia purtroppo sconta ancora un ritardo culturale». Quest’ultimo non è tanto sulla rete, quanto sul commercio elettronico, ed è legato a vari fattori, come la diffidenza verso l’uso di strumenti di pagamento online.