L’adozione e l’implementazione di strumenti di eProcurement è, insieme alla standardizzazione dei prezzi e contratti e alla centralizzazione degli acquisti, uno dei tre assi su cui dal 2000 a oggi si è giocata la partita della razionalizzazione della spesa.
Come spiegano in un articolo pubblicato sul sito ForumPA Manuela Brusoni, Presidente Azienda Regionale Centrale Acquisti Regione Lombardia, e Niccolò Cusumano, Università Bocconi, secondo quanto previsto dalla nuova Direttiva sugli appalti (24/2014/UE) l’eProcurement ruota intorno a due livelli di azione: la digitalizzazione dei supporti documentali e l’adozione di strumenti elettronici per il confronto dei beni e servizi di acquisto con effetto competitivo.
La prima indicazione prevede l’adozione del formato elettronico per tutta la documentazione, senza modificare il processo di gestione della gara. La seconda riguarda invece l’introduzione di strumenti di selezione, come i sistemi dinamici di acquisizione, i cataloghi online e le aste elettroniche. Le Amministrazioni che utilizzano questi strumenti seguono quindi procedure ben definite, a rimarcare la natura stessa dell’e-procurement, ovvero di essere un mezzo che consente la standardizzazione seppur indiretta dei comportamenti d’acquisto.
Come sempre accade nei processi di trasformazione il passaggio alle nuove procedure non è stato del tutto indolore. Se da un lato l’utilizzo della tecnologia ha indubbiamente semplificato e reso più efficienti i processi, dall’altro spesso le tre dimensioni di cui abbiamo parlato – standardizzazione, centralizzazione e digitalizzazione – si sono sovrapposte, non solo inibendo le sinergie ma anche trascinando con sè un uso indifferenziato e poco coerente degli strumenti digitali, che ha limitato o addirittura impedito il concreto raggiungimento degli obiettivi di policy.
Ne è esempio il fatto che il legislatore nazionale, con il comma 3-bis dell’art. 33 del Codice dei Contratti, abbia lasciato ai Comuni non capoluogo la possibilità di scegliere se espletare i propri acquisti in forma aggregata – attraverso consorzi, uffici provinciali, soggetti aggregatori regionali – oppure telematicamente (anche se ovviamente una gara aggregata può comunque essere lanciata in forma telematica).
Si può quindi affermare che in pratica si è in presenza di due spinte contrapposte: da un lato con la centralizzazione si punta a limitare l’autonomia dei singoli Enti, ma dall’altro con l’adozione di strumenti elettronici rimane inalterata l’indipendenza nella gestione dell’acquisto.
A questo si aggiunge il fatto che la centralizzazione e la digitalizzazione in Italia sono state applicate nella stragrande maggioranza dei casi principalmente all’attività di acquisto, senza comprendere perciò tutto il ciclo del procurement, che è una combinazione delle funzioni di acquisto, controllo del magazzino, del trasporto e indirizzo, ricezione e ispezione, stoccaggio, e operazioni di raccolta e smaltimento.
Si è diffusa così una visione che tende a confinare l’eProcurement e la centralizzazione a un semplice ruolo di controllo e garanzia della trasparenza, più che di ripensamento della spesa e dei processi di procurement veri e propri. In questo modo è inevitabile che si perdano dei significativi benefici in termini di potenziale strategico e di creazione del valore strettamenti collegati all’adozione di strumenti digitali innovativi. Ad oggi, infatti, le centrali di committenza e le piattaforme rappresentano un mezzo da cui passare obbligatoriamente per convogliare i fabbisogni delle amministrazioni al mercato: nel caso dell’eProcurement la titolarità del processo resta in capo alla singola stazione appaltante, la cui attività è integralmente tracciata, e nel caso della centralizzazione la funzione di acquisto viene trasferita a un soggetto terzo.