Mentre tutto il Mediterraneo soffocava in un caldo senza precedenti e il fuoco mandava in cenere ettari di bosco in Grecia come in Sardegna, il 9 agosto l’IPCC (Intergovernmental Panel on Climate Change) pubblicava l’ennesimo rapporto sull’emergenza climatica, lanciando un allarme definitivo. Non c’è più tempo. La temperatura della Terra continua ad aumentare a un tasso senza precedenti e alcuni cambiamenti, come l’innalzamento del livello dei mari, sono già irreversibili. Occorre uno sforzo deciso, immediato e su larga scala, per ridurre le emissioni di Co2 e di altri gas serra responsabili dei cambiamenti climatici in atto. Anche così ci vorranno 20 o 30 anni, scrivono i 195 scienziati firmatari del report, per ottenere una certa stabilità nelle temperature del globo, che comunque aumenteranno di 1,5 gradi o 2, come minimo. Si tratta di una media, ovviamente: nella regione artica, ad esempio, l’incremento è doppio. Le conseguenze sono proprio quelle ondate di calore che stiamo sperimentando anche in Italia, le piogge sempre più intense, lo scioglimento del permafrost e dei ghiacciai, i raccolti a rischio e l’impatto sulla salute. La lista continua. Si legge anche, con chiarezza, che la responsabilità di tutto questo è dell’uomo e delle sue attività, ma che, proprio per questo, c’è ancora la possibilità di agire.
Il ruolo delle tecnologie digitali
La complessità e l’urgenza del problema richiedono risposte globali e decisioni politiche. Ci occupiamo qui solo di un aspetto, ovvero quale può essere il ruolo delle tecnologie digitali. Molti studi dimostrano che il settore può dare un contributo importante, pur essendo esso stesso in parte responsabile dell’emergenza climatica. I progetti tecnologici devono dunque essere concepiti seguendo un doppio binario: da un lato occorre sviluppare e mettere a disposizione soluzioni che aiutino a contenere le emissioni, dall’altro serve operare per rendere a emissioni zero il business delle aziende Tech. Oggi, infatti, il settore ICT è responsabile per circa il 3% delle emissioni globali. Per dare un’idea, i data center che gestiscono i Bitcoin consumano in un anno la stessa energia del Belgio.
“Solo le tecnologie digitali si muovono alla velocità e su un’ampiezza di scala in grado di ottenere la drastica riduzione di emissioni che sarà necessaria nel prossimo decennio”, ha affermato Inger Andersen, Executive director di UNEP (UN Environment Program), l’agenzia delle Nazioni Unite dedicata all’ambiente. Lo scorso marzo, sotto l’egida dell’ONU e della Commissione Europea è stato siglato un patto chiamato European Green Digital Coalition, con cui i firmatari, a oggi 30 CEO di colossi del mondo tecnologico, si impegnano ad accelerare gli investimenti in soluzioni digitali innovative per un’Europa sostenibile, a definire strumenti di misura e nuove metodologie, a co-sviluppare le linee guida della transizione green insieme con i beneficiari, oltre che ad annullare le proprie emissioni entro il 2040. Un report di GESI e Accenture stima che le tecnologie digitali possono contribuire a una riduzione delle emissioni di gas serra per il 20%, oltre che aiutare l’agricoltura, ridurre i consumi di acqua e molto altro. Ad esempio, con l’intelligenza artificiale si possono rendere più efficienti le reti elettriche. La Blockchain permette di tracciare le emissioni e informare i cittadini sulle attività delle aziende. I satelliti possono aiutare a monitorare i cambiamenti climatici e individuare attività illecite, dallo smaltimento di rifiuti agli incendi. Già questo avviene: l’ESA ha monitorato e fotografato la superficie terrestre durante la recente ondata di calore (registrando una punta di 50 gradi in Turchia, il 3 agosto, come mostra la foto in apertura) e l’astronauta Luca Parmitano è in questi giorni impegnato in una spedizione dimostrativa per verificare di persona lo stato di salute del ghiacciaio del Gorner, sul lato svizzero del Monte Rosa.
I prossimi mesi saranno decisivi per concretizzare la transizione digital e green dell’Europa. Questo è infatti uno degli obiettivi del programma DigitalEU, per il quale a inizio agosto sono stati sbloccati fondi per 7.5 miliardi di euro del piano NextGenerationUE, destinati in particolare a 5 ambiti tecnologici: AI &Data, Supercomputers e Quantum Computing, Digital Skills, Cyber security, Digital Transition.
Intelligenza Artificiale ed emergenza climatica
È di queste settimane anche uno studio della University of Oxford, firmato tra gli altri dal filosofo Luciano Floridi, che approfondisce opportunità e sfide nell’uso dell’intelligenza artificiale per affrontare l’emergenza climatica. Il punto di partenza è che l’AI rappresenta uno dei più efficaci strumenti digitali oggi a disposizione per raggiungere l’obiettivo di un’Europa a emissioni zero fissato dalla Commissione Europea per il 2050. Si cita un report di Microsoft e PWC che stima che l’uso dell’AI potrebbe ridurre le emissioni da 1,5 al 4%, favorendo al contempo l’incremento del PIL tra il 3,1 e il 4,4%.
L’uso dell’AI pone però importanti sfide, ed è su queste che l’analisi pone l’accento. In primis, permangono le note questioni etiche dell’intelligenza artificiale, con il rischio, anche quando l’obiettivo delle soluzioni è di per sé positivo, di mettere a repentaglio le libertà individuali, i diritti, i valori fondanti della nostra società. La seconda sfida è legata al consumo di risorse dell’AI. I modelli di machine learning, infatti, richiedono apprendimento, e i computer necessari per l’elaborazione dei dati assorbono energia, con il rischio che i consumi risultino superiori ai risparmi ottenibili. Tra il 2012 e il 2018 le risorse computazionali utilizzate per “allenare” i modelli di AI sono cresciute esponenzialmente, raddoppiando ogni 3,4 mesi.
Oggi, conclude lo studio, le emissioni globali di gas serra generate dall’AI rappresentano una piccola parte di quella complessiva associata all’ICT. Tuttavia, con il trend attuale potrebbero aumentare rapidamente. Per questo, serve più attenzione, metriche omogenee e standard di valutazione dell’impatto, da adottare universalmente.