Nell’estate di dieci anni fa si andava progressivamente sgonfiando, dopo il picco del 10 marzo, la bolla Internet. Le conseguenze macro e micro di quanto accadde allora sono tuttora molto presenti, ma di segno diverso. L’enorme immissione di liquidità per evitare una crisi “tipo 1929”, che fece seguito allo scoppio della bolla e fu ulteriormente ampliata dopo l’11 settembre, ha reso possibile la successiva bolla subprime con la conseguente crisi tuttora in atto. Mentre la pulizia che lo scoppio generò, portando all’eliminazione di imprese che non avevano ragione di esistere, ha creato le condizioni per la situazione di forte dinamicità attuale. Una situazione che vede Internet estremamente vitale nel generare business model nuovi, ma anche potenzialmente letale per diverse delle imprese che avevano avuto un ruolo dominante – anche nel passato recente – non solo nell’ICT, ma anche in settori adiacenti (quali l’elettronica di consumo) o molto più lontani (quali i media, l’entertainment e la pubblicità). I campioni di questa fase storica sono per universale riconoscimento due – Apple e Google – quasi irrilevanti al momento dello scoppio della bolla, anche se con storie molto diverse: nobile decaduta Apple, che nel 2000 stava a stento uscendo da una profonda crisi; quasi neonata Google, sorta due anni prima. Due campioni in rapporti estremamente amichevoli sino a poco tempo fa, quando c’era un nemico della forza di Microsoft da combattere; in rotta di collisione ora, dopo l’entrata di Google nel mobile con Android e quella di Apple nella pubblicità attraverso le apps.
Di converso, c’è chi vede il proprio business model al tramonto e deve combattere per trovare nuovi punti di forza. Il passaggio dal desktop al portatile ha ad esempio messo in crisi sostanziale il business model di Dell e la sua posizione dominante nei pc. Il disfacimento in atto dell’idea stessa di pc – con la moltiplicazione degli smartphone, dei netbook, dei tablet, etc. e la possibilità di “prendere” il software dalla rete – sta minando lo storico monopolio di Microsoft. E l’impressionante evoluzione degli smartphone sembra stia confinando Nokia, nonostante la quota elevatissima tuttora detenuta, nella fascia meno remunerativa del mercato. È in caduta libera il business model dei giornali, che perdono copie e pubblicità. È a rischio quello delle televisioni, che vedono parte della loro audience trasferirsi ai social network. Sembrano svanire i sogni dei grandi operatori telecom di essere i protagonisti della rete. I giochi elettronici sono sempre più insidiati da quelli online. E si vendono persino meno orologi, perché l’ora può essere facilmente letta sui cellulari.