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Direttiva CSRD: approvato il decreto di recepimento. Nuove regole per la rendicontazione di sostenibilità



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Con il via libera dello scorso 30 agosto da parte del Consiglio dei Ministri, la Corporate Sustainability Reporting Directive diventa ufficialmente legge in Italia. Novità, obblighi e le tappe fondamentali per le diverse categorie di imprese

Pubblicato il 6 set 2024



Direttiva CSRD

Con il via libera arrivato lo scorso 30 agosto dal Consiglio dei Ministri, l’Italia ha compiuto un ulteriore passo avanti verso il recepimento della Corporate Sustainability Reporting Directive (CSRD), la direttiva UE 2022/2464 che aggiorna la normativa sulla rendicontazione di sostenibilità per le imprese.

Come riportato nel comunicato ufficiale della Presidenza del Consiglio dei Ministri, è stato approvato in via definitiva un Decreto legislativo che attiva il recepimento della CSRD, consentendo così l’adeguamento della normativa nazionale alle nuove disposizioni europee.

Il provvedimento, viene sottolineato, ha tenuto conto dei pareri espressi dalle Commissioni parlamentari competenti.

Quali novità introduce la Direttiva CSRD

La CSRD rappresenta un’evoluzione rispetto alla precedente Dichiarazione Non Finanziaria (DNF), dal momento che introduce diversi elementi di novità.

Innanzitutto, estende gli obblighi di reporting non finanziario alle piccole e medie imprese, oltre a quelle di grandi dimensioni già soggette alla DNF.

Inoltre, sostituisce la rendicontazione non finanziaria con la più ampia rendicontazione di sostenibilità, che richiede la presentazione di informazioni relative sia all’impatto dell’azienda sui temi ambientali e sociali, sia all’influenza che tali questioni hanno sull’andamento dell’impresa stessa. Questo concetto, noto come “doppia materialità“, mira a garantire una maggiore trasparenza e completezza informativa per gli stakeholder e contribuirà a promuovere una maggiore trasparenza e accountability anche per le realtà imprenditoriali di dimensioni minori.

Doppia materialità e PMI

Il concetto di doppia materialità richiede alle imprese di rendicontare sia l’impatto delle proprie attività sulle questioni ambientali e sociali, sia l’influenza di tali questioni sul proprio business. Stando al comunicato, questo approccio mira a produrre “informazioni necessarie alla comprensione dell’impatto dell’impresa sui temi ambientali e sociali, sia la rendicontazione dei fattori con cui tali questioni impattano a loro volta sull’andamento dell’impresa, sui suoi risultati e sulla sua esposizione ai fattori di rischio”.

Rendicontazione di sostenibilità: gli obblighi della CSRD

Il Decreto legislativo approvato dal Consiglio dei Ministri, che in questo modo che modifica il regolamento (UE) n. 537/2014, la direttiva 2004/109/CE, la direttiva 2006/43/CE e la direttiva 2013/34/UE, introduce una serie di nuovi obblighi per le imprese in materia di rendicontazione di sostenibilità. Secondo quanto riportato nel comunicato della Presidenza del Consiglio, il provvedimento prevede l’estensione dei requisiti di rendicontazione non finanziaria alle piccole e medie imprese quotate diverse dalle microimprese. Inoltre, stabilisce parametri specifici per definire le PMI quotate in base al numero di dipendenti (da 11 a 250), al patrimonio (superiore a 450.000 euro e inferiore a 25 milioni di euro) e ai ricavi netti (superiori a 900.000 euro e inferiori a 50 milioni di euro). Il decreto introduce anche un regime sanzionatorio transitorio per le attività di revisione, con sanzioni pecuniarie limitate nei primi due anni di applicazione.

Le principali tappe della direttiva

Il recepimento della CSRD prevede una graduale entrata in vigore degli obblighi di rendicontazione di sostenibilità per le diverse categorie di imprese:

  • Dal 1° gennaio 2024 sono coinvolte le aziende già soggette agli obblighi della precedente Direttiva sulla Rendicontazione Non Finanziaria (NFRD).
  • Dal 1° gennaio 2025: tutte le altre grandi imprese (sono tali quelle che, alla data di chiusura dell’esercizio, superino due dei seguenti 3 criteri: € 20 milioni di totale dell’attivo, € 40 milioni di ricavi netti, 250 dipendenti medi annui);
  • Dal 1° gennaio 2026: PMI quotate (escluse le microimprese);
  • Dal 1° gennaio 2028: società non UE che realizzano un fatturato annuo superiore a € 150 milioni nella UE e che hanno un’impresa figlia o una succursale nella UE, che si qualifica come grande impresa o PMI quotata e/o presenta un fatturato netto superiore a € 40 milioni nell’esercizio precedente.

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