Giunto alla sua ventinovesima edizione, il Rapporto annuale Istat torna a raccontare uno spaccato dell’Italia in uno di quegli anni che segnano un “prima” e un “dopo”. Lo studio analizza la situazione emersa dall’emergenza sanitaria del Covid-19 e ne considera gli effetti sulla società e sull’economia italiana. Tra gli aspetti presi in considerazione dall’analisi particolarmente interessante è il capitolo sulla digitalizzazione del sistema produttivo, che ci indica a che punto del percorso siamo, e in quale direzione ci muoviamo.
Il Rapporto Istat 2021 e la sfida della digitalizzazione
“Le tecnologie digitali nell’ultimo anno sono state essenziali per la prosecuzione delle attività produttive e l’erogazione di servizi pubblici, soprattutto nei periodi interessati dalle misure di limitazione degli spostamenti imposte dal Covid-19”, afferma lo studio. Istat sottolinea come solo il 4,1% delle imprese digitalmente mature ha dovuto affrontare un ridimensionamento delle attività. Ora che ci stiamo avviando verso un “new normal” appare chiaro come sul tema della digitalizzazione, insieme a quello della sostenibilità, si giocherà la partita tra le aziende per il mantenimento della competitività.
Sulla sfida digitale punta anche l’Unione Europea con il programma Next Generation Eu, che esige dai Paesi membri di allocare almeno il 20% dei fondi su investimenti per lo sviluppo tecnologico. L’Italia ha destinato a progetti di digitalizzazione circa il 27% dei 235 miliardi di risorse comprese nel proprio Programma Nazionale di Ripresa e Resilienza, PNRR (222 miliardi) e nei fondi React-Eu (13 miliardi).
È una cifra certamente importante, ma c’è da dire che il percorso da compiere è ancora lungo. L’ultimo Digital Economy and Society Index (DESI) presenta un’Italia quartultima su 28 Stati membri Ue per livello generale di digitalizzazione dell’economia e della società. Siamo ultimi per dimensione del capitale umano: solo il 42% delle persone tra i 16 e i 74 anni possiede almeno competenze digitali di base, contro una media Ue del 58%, e solo il 22% dispone di competenze digitali superiori a quelle di base, contro una media Ue del 33%.
Servono più professionisti ICT qualificati
Al DESI fa eco ora il Rapporto Istat 2021. Nel 2020 in Italia meno del 40% degli occupati in professioni ICT disponeva di una formazione universitaria, contro il 66% per l’insieme dell’Ue27. La scarsità di risorse umane qualificate dal lato dell’offerta, insieme alla debolezza della domanda di servizi specialistici nell’economia, spiega come mai l’incidenza degli occupati in professioni ICT sul totale degli occupati in Italia sia relativamente modesta, attestandosi al 3,6% contro un 4,3% nell’Ue27. Tuttavia, tra le imprese con oltre 10 addetti, oggi più della metà del personale usa quotidianamente computer connessi a Internet nell’attività lavorativa (il 56% nell’Ue27 e il 53% in Italia).
In termini di addetti ICT la distanza con le altre principali economie dell’Ue27 appare ancora maggiore: a confronto col 2012, nel 2020 il numero di specialisti delle tecnologie informatiche e digitali è aumentato di circa il 77% in Francia, del 50% in Germania, del 35% in Spagna e solo del 18% in Italia. Siamo davanti solo alla Grecia, che con il 16% si è piazzata ultima.
In Italia è boom del cloud e delle fatture elettroniche
La pandemia ha spinto l’uso dei servizi cloud, indispensabili per condividere dati e in generale collaborare a distanza. In questo caso l’Italia non resta fanalino di coda rispetto agli altri Paesi d’Europa. Nell’Ue nel suo insieme le imprese utilizzatrici del cloud nel 2020 sono cresciute dal 24% nel 2018 al 36%, e dal 13% al 21% per l’acquisto di servizi evoluti (software aziendale, potenza di calcolo). Ma in Italia l’aumento è stato superiore, dal 23% al 59% per l’insieme dei servizi cloud (collocando il paese al terzo posto dopo Svezia e Finlandia) e dall 11% al 32% per i servizi evoluti. Le ragioni di questo sprint vanno individuate nel piano Industria 4.0 contenuto nella Legge di Bilancio 2019 che, per la prima volta, ha consentito di detrarre dalle imposte il 140% dei canoni annuali pagati per utilizzare software per Impresa 4.0 su piattaforme cloud.
Anche l’ampio uso delle fatture elettroniche nel nostro Paese trova la sua ragion d’essere nell’obbligo introdotto dalla legge di bilancio 2018, che ha portato nel 2019 le imprese italiane in vetta alla graduatoria europea (95%). Per fare un paragone, la fatturazione elettronica è utilizzata da poco più del 30% delle imprese spagnole, e da circa un quinto di quelle francesi e tedesche.
Nell’uso di sistemi e dispositivi interconnessi a controllo remoto (Internet delle cose, IoT), di strumenti di intelligenza artificiale e nella robotica l’Italia è in linea con la media europea.
Dove invece il sistema produttivo italiano ha ancora molto margine da recuperare rispetto al resto d’Europa è nella diffusione del commercio elettronico e nell’uso di tecniche di analisi di Big Data. L’analisi dei Big Data, dice il nuovo Rapporto Istat, era praticata nel 2019 dal 9% delle imprese italiane e spagnole con almeno 10 addetti, contro il 18% di quelle tedesche e il 22% di quelle francesi.
La comunicazione col cliente si sposta sui canali digitali
Durante l’emergenza i canali digitali hanno rappresentato spesso l’unico punto di contatto tra aziende e clienti. Questo ha indotto innanzitutto un crescente ricorso a imprese specializzate per curare la qualità e, soprattutto, la visibilità della presenza sul web, anche se tre quarti delle imprese con almeno 3 addetti si dichiarano non interessate a queste tecniche di ottimizzazione. Si è inoltre registrato un aumento dell’offerta di servizi digitali dedicati alla clientela, quali newsletter, tutorial online, webinar, corsi a distanza, consulenze via web e simili, spesso offerti gratuitamente dalle imprese al fine di mantenere i contatti e fidelizzare la propria clientela anche in una fase di distanziamento sociale.
Nonostante la persistente sottovalutazione dell’importanza di disporre di un sito web accattivante e facilmente individuabile, il Rapporto annuale Istat rivela come si stia diffondendo sempre più la consapevolezza delle imprese, almeno di quelle che servono clienti finali, dell’importanza di una gestione efficace della propria presenza sui social media (Facebook, Instagram, YouTube, TikTok, ecc.). Di tali canali si apprezza l’interazione diretta e immediata con i clienti che conslida la customer relationship mediante la costante offerta di promozioni, occasioni di acquisto, organizzazione di eventi anche virtuali, creazione di communities, ecc. Già prima della pandemia il 45% delle grandi imprese usava i canali social, mentre un ulteriore 15% ne ha perfezionato l’utilizzo durante l’emergenza sanitaria. La previsione e che, a fine 2021, il loro utilizzo diventi uno standard per più del 60% di imprese con oltre 250 addetti.
Rapporto Istat 2021: il lavoro a distanza verso il “new normal”
Il lavoro da remoto ha reso possibile la sopravvivenza di molte attività e il mantenimento dei servizi pubblici essenziali. La risposta del sistema delle imprese all’emergenza sanitaria è stata immediata: da un livello di addetti in Smart Working inferiore al 5% a gennaio 2020, si è saliti a un picco del 20% a marzo 2020. Nelle grandi imprese si è addirittura raggiunto il 37% dei dipendenti operativi in modalità da remoto. Ciò che invece si evidenza adesso è la ricerca di un nuovo modello di lavoro nel “new normal” che consideri l’esperienza appena vissuta e ne colga tutte le opportunità per aziende e dipendenti.