Nel 1979 il trentaduenne Michael E. Porter, professore associato ad Harvard, pubblicava sulla Harvard Business Review l’articolo “How Competitive Forces Shape Strategy”, iniziando così un percorso che l’ha portato a definire modelli come le Cinque Forze Competitive e la Catena del Valore, rendendolo uno dei principali esperti mondiali di management strategico.
Negli ultimi anni Porter si è concentrato sugli impatti degli “smart connected product” – cioè dell’Internet of Things – sulle strategie delle imprese e sui meccanismi competitivi dei vari settori, e su quella che lui ritiene la prossima fase di innovazione nella digital transformation: le interfacce tra uomo e macchine.
Di questi recenti sviluppi, l’economista americano ha parlato all’edizione 2017 del World Business Forum di Milano. «Le tecnologie informatiche e digitali hanno rivoluzionato prima i processi delle imprese, e poi i prodotti che queste imprese fabbricano e/o vendono. I prodotti ora integrano processori e sensori, e questo cambia radicalmente lo scenario competitivo».
Who's Who
Michael E. Porter
Bishop William Lawrence University Professor Harvard Business School
Per spiegare come, Porter è salito sul palco del WOBI con una racchetta da tennis in mano. «All’apparenza questa sembra una normale racchetta, ma in realtà è un prodotto smart, ha sensori connessi alle corde che misurano forza, direzione, spin, e un chip nel manico con del software che elabora queste misure ed è connesso in Bluetooth con lo smartphone di chi la usa, e attraverso questo a internet e al cloud».
Ora anche una racchetta da tennis ha una gemella digitale
Nel cloud c’è un server con un database dei dati di ogni racchetta, un’application platform, un motore di regole e analitico, e un “digital twin”, una gemella digitale di ogni racchetta a cui vengono attribuiti tutti i dati provenienti da quella “vera”, che vengono analizzati, misurando le performance agonistiche dell’utente e suggerendo strategie di gioco.
«Se poi si ha un buon sistema CRM tutto ciò si può integrare con altri dati dell’utente, ottenendo infiniti tipi di output. Per esempio collegando i dati di prestazione con i dati meteo attraverso il GPS il sistema può dedurre quanto la qualità del tennis dell’utente sia legata al grado di umidità o alla temperatura in campo».
In generale i prodotti smart, sottolinea Porter, cambiano le regole della competizione e della creazione di valore aprendo 4 aree d’opportunità prima inesistenti. Una è il monitoraggio post vendita. «Prima il produttore perdeva di vista il prodotto durante la sua vita utile. Ora può sapere quando è acceso o spento, quanto e come viene usato, le sue condizioni – se a un certo punto inizia a surriscaldarsi, ad avere prestazioni degradate».
La seconda è il controllo sul comportamento dei prodotti da remoto, attraverso digital user interface. La terza è l’ottimizzazione delle performance del prodotto. «Prendiamo le pale di un mulino: oggi posso modificare inclinazione e apertura nanosecondo per nanosecondo, in funzione di direzione e forza del vento, per massimizzare la produzione di energia». Non solo: dalle variazioni di alcuni parametri – temperature, performance, ecc. – si può prevedere in anticipo che un componente si guasterà, e quindi ottimizzare anche la manutenzione. La quarta è l’automazione: il prodotto, al verificarsi di certe condizioni, fa delle cose da solo, molte più cose che in passato. «Un esempio di cui si parla molto è la self driving car, anche se ci vorrà ancora qualche anno, perché è uno sviluppo molto complesso con tantissime variabili da gestire».
Oltre a queste quattro (approfondite in questo articolo di Industry4Business), abbiamo poi le opportunità che nascono dal connettere tra loro prodotti connessi.
«Per esempio l’agricoltura sta vivendo una vera rivoluzione, che nasce dall’ orchestrazione delle varie componenti. John Deere, il produttore di macchine agricole, fa una complessa macchina da raccolto che coordina il movimento dei trattori e quello dei veicoli per la semina nei campi, con l’uomo nella sola veste di supervisore. Insomma non vediamo più macchine isolate, ma sempre più sistemi di macchine e sistemi di sistemi. Questo vale anche per altri campi, pensiamo per esempio alle smart city».
Cosa fa una Self Driving Car davanti a un alligatore?
In questo scenario, le imprese manifatturiere devono affrontare molte sfide strategiche assolutamente inedite. Porter ne ha individuate 10 (leggi in fondo all’articolo l’approfondimento “Le 10 scelte strategiche per le imprese manifatturiere“, ndr).
«Un esempio molto significativo di scelte dirompenti su diversi di questi punti è Tesla: non ha concessionari, molte delle riparazioni delle sue vetture elettriche possono essere fatte da remoto, così come molti dei servizi. Via software si possono correggere le funzioni della macchina e aggiungerne di nuove, senza bisogno di restyling e nuovi modelli ogni 3 anni».
Il cambiamento radicale dei prodotti ha impatti dirompenti su tutte le funzioni aziendali. «Prendiamo solo lo sviluppo di nuovi prodotti. Oggi devo progettare il prodotto in modo che sia migliorabile e riparabile da remoto, utilizzabile con nuove interfacce, per esempio di realtà aumentata, modificabile e personalizzabile via software, cioè a basso costo, completabile con servizi via internet, ottimizzato per il product sharing e per nuovi modelli di business, interoperabile con altri prodotti e intere piattaforme».
Anche i servizi a corredo cambiano. «Come ho detto, per la prima volta il produttore deve presidiare sistematicamente la fase post-vendita, aiutare il cliente a tirare fuori il massimo dal prodotto quando è già nelle sue mani. E questo rivoluziona anche il marketing, perché ho un’interazione diretta con il cliente mai sperimentata prima».
Un altro aspetto fondamentale è il controllo del “diluvio” di dati generati dai prodotti connessi. «È un tema enorme e non posso soffermarmi in questa sede, comunque in azienda non è più sostenibile il modello per cui ogni funzione aziendale si gestisce i suoi dati: ci deve essere una “unified data organization” in azienda dove concentrare capacità e specialisti di data analysis, i data scientist, che collaborino con le varie funzioni».
Secondo Porter però il problema più grande oggi è come noi esseri umani, con tutti i nostri limiti, possiamo sfruttare tutte le opportunità della digital transformation. «Molti di voi, come me, saranno rimasti disorientati di fronte a tutte le funzioni smart di una automobile di oggi: come avere una visione unica di tutte queste scelte e configurazioni? Come padroneggiarle?».
Un problema condiviso, dall’altra parte della barricata, dal costruttore dell’automobile. Ed è un problema di interfaccia uomo-macchina, ovvero di HMI, Human-Machine Interface.
«Qualcuno pensa che sforzarsi tanto sulle HMI non è necessario perché presto tutto sarà automatizzato, e l’intelligenza artificiale presto renderà obsolete le decisioni umane. Non sono d’accordo». Gli umani, sottolinea Porter, hanno capacità uniche e non sostituibili. Sanno adattarsi a ogni situazione istante per istante. «Cosa fa una self driving car se un alligatore gli salta davanti in mezzo alla strada? Le macchine sono disegnate per compiti routinari, anche la loro flessibilità è comunque programmata: non hanno idee, immaginazione, intuizione, creatività».
Le informazioni digitali ci arrivano su schemi piatti, ma la realtà è 3D
Secondo Porter quindi combinando le capacità delle macchine e quelle umane, si può generare molto più valore di quello che ciascuna delle due componenti può creare da sola. Uomini e macchine devono continuare a interagire. «Il punto è capire qual è la forma di interfaccia che può massimizzare questa creazione di valore: è la domanda del momento, in questa fase storica della trasformazione digitale».
L’uomo interagisce con l’ambiente attraverso i suoi cinque sensi: un sistema molto potente, che ci fornisce moltissimi tipi diversi di informazioni. Rispetto alle informazioni di business digitali, però, gusto, odorato e tatto non sono strumenti molto efficienti di accesso: sono lenti, limitati e molto focalizzati. L’udito è più efficiente, ma richiede comunque un passaggio interno di elaborazione: non può essere il veicolo primario in una HMI, ma solo un arricchimento. Il nostro senso nettamente più potente in termini di assimilazione di informazioni è la vista, con cui leggiamo testi scritti e immagini.
«L’80-90% delle informazioni che acquisiamo proviene dalla vista, ma le informazioni digitali ci arrivano attraverso interfacce poco efficienti: gli schermi di pc, smartphone, tablet, che sono schermi piatti, a due dimensioni. Mentre il mondo reale, in cui dobbiamo usare queste informazioni, è 3D. E questo gap, questa discrepanza, limita in modo decisivo la nostra capacità di beneficiare della trasformazione digitale», sottolinea Porter.
Se pensate che il navigatore dell’auto sia il progresso…
Una tipica dimostrazione è il navigatore GPS dell’automobile. «Nella mia macchina ho uno schermo digitale con le mappe e il percorso da seguire, e una voce femminile che me lo spiega: devo guardare lo schermo, ascoltare, ma anche manovrare sterzo e cambio, e guardare cosa succede nel mondo reale, al di là del parabrezza. Lo schermo è un’immagine in 2D, non è il mondo reale: se c’è il semaforo rosso devo fermarmi, se ci sono due vie molto vicine devo capire in quale svoltare, eccetera. Il rischio di distrarsi è alto, e in macchina questo è molto pericoloso. Non è certo una situazione ottimale di acquisizione di informazioni».
A quali alternative possiamo pensare? La più immediata è un’applicazione di realtà aumentata sugli occhiali da vista. «Indosso gli occhiali quando guido, quando studio, quando cucino, quando faccio una riparazione, e in tutti questi compiti la realtà aumentata mi può aiutare. Gli smart glasses disponibili oggi però non sono efficienti per molte ragioni: sono costosi, pesanti, complicati. La strada da fare è lunga. Ma quando avremo smart glasses efficaci ed economici probabilmente tablet e smartphone saranno ormai oggetti inutili, e riceveremo informazioni solo attraverso dei wearable». Insomma la realtà aumentata, o Augmented Reality, o AR, richiede una nuova generazione di device, di criteri di programmazione e sviluppo del software, e di tecnologie.
Però risolve finalmente il gap tra interfacce 2D e realtà 3D, perché sovrappone informazioni digitali agli oggetti reali, e quindi le inserisce esattamente nel contesto in cui le dobbiamo usare, moltiplicando in questo modo la nostra capacità di assorbirle e di agire in tale contesto.
Realtà aumentata, la “Great Equalizer”
«Il grande salto di qualità che l’AR ci permetterà è legato a quattro caratteristiche: visualizzazione, istruzione/guida, interazione, simulazione (leggi in fondo all’articolo l’approfondimento “Le 4 caratteristiche chiave della realtà aumentata“, ndr). L’AR ci permette di “vedere dentro” le cose e gli oggetti, è una tecnologia perfetta per insegnarci le cose, mostrandoci come farle, ci permette di interagire con i prodotti in modo naturale, con gesti e comandi vocali, e simula ambienti e prodotti quando problemi di distanza, tempo o dimensioni non permettono di agire direttamente sugli oggetti reali».
Insomma, conclude Porter, riassumendo in una sola frase, l’AR amplifica le capacità degli smart product, e sarà la great equalizer, la “parificatrice” tra uomo e macchina. «Aiuterà l’uomo a colmare il gap tra mondo digitale e mondo fisico, e amplificherà le sue capacità permettendogli di capitalizzare totalmente i benefici della trasformazione digitale, assimilando informazioni e utilizzando macchine fisiche e intelligenza artificiale senza la lunga, sofisticata e costosa formazione scientifica e tecnica che fino a oggi è stata necessaria».
Le 10 scelte strategiche per le imprese manifatturiere
Secondo Michael Porter, l’integrazione di intelligenza e sensori nei loro prodotti mette le imprese manifatturiere di fronte a dieci scelte strategiche senza precedenti:
- Quali e quante nuove funzionalità del prodotto supportare con chip e sensori?
- Quali funzioni inserire nel prodotto fisico, e quali in cloud?
- Piattaforma e ambiente software aperto (tipo Android) o chiuso (tipo Apple iOS)?
- Quali tecnologie di prodotto presidiare direttamente e quali esternalizzare?
- Quali tipologie di dati raccogliere?
- A chi appartengono i dati rilevati con i sensori? Come gestirne ownership, accesso e sicurezza?
- Come gestire vendita e distribuzione? Conviene disintermediare?
- È il caso di cambiare addirittura il modello di business? Per esempio vendendo ore di funzionamento, e cioè servizi, invece di prodotti?
- È il caso di vendere qualche tipo di dati a parti esterne?
- È il caso di espandere l’ambito d’azione, cioè creare un sistema di prodotti, integrando diversi prodotti propri, o addirittura un sistema di sistemi, tramite una piattaforma digitale che integra anche prodotti di terzi?
Le 4 caratteristiche chiave della realtà aumentata
- Visualizzazione. L’AR permette una “visione a raggi X” che rivela situazioni e funzionamenti interni altrimenti difficili o impossibili da rilevare. Porter ha fatto l’esempio di AccuVein, la cui tecnologia permette a medici e infermieri di “vedere” il tracciato di vene e arterie direttamente sul corpo del paziente.
- Istruzione e Guida. L’AR sta rivoluzionando i concetti di formazione, istruzione e coaching abbattendone costi e complessità, perché può supportare guide visuali in tempo reale, sul posto e passo per passo, insegnando per esempio come funziona una macchina, come si ripara, come si monta un componente. «In Boeing un team di apprendisti grazie all’AR ha montato una sezione d’ala con 30 componenti in un tempo del 35% minore di un altro team del tutto simile equipaggiato con disegni 2D e documentazione tradizionale».
- Interazione. L’AR consente di superare non solo le interfacce fisiche come tasti, leve, manopole, ma anche quelle digitali di generazioni precedenti, come schermi embedded e mobile app. Infatti l’AR sovrappone al prodotto fisico un pannello di controllo virtuale con cui interagire attraverso comandi vocali, gesti o addirittura semplicemente guardando in una certa direzione.
- Simulazione. Integrata con la realtà virtuale, che riproduce in digitale ambienti reali, l’AR può consentire di simulare l’interazione in ambienti a distanza remota, passati o futuri, troppo piccoli o troppo grandi, o troppo pericolosi.