Sono anni che a cavallo di mondo pubblico e privato si parla di Digital Transformation, spesso abusando di un’espressione di cui forse non si è ancora colto il significato più profondo.
Se è indubbio che l’affermazione delle tecnologie mobile e cloud – catalizzate e convogliate nei processi operativi dall’emergenza pandemica – abbia impresso una notevole accelerazione rispetto ai temi della dematerializzazione e dell’efficientamento dei task per moltissime imprese, non è altrettanto vero che i progetti di implementazione siano riusciti a produrre un’effettiva trasformazione delle organizzazioni, dei loro modelli di business e soprattutto dei loro rapporti con gli stakeholder.
Il fatto è che la Digital Transformation, prima ancora di essere un fenomeno tecnologico, è un approccio culturale che va coltivato, trasmesso e consolidato a tutti i livelli del team. Governare un processo evolutivo così complesso nel giro di così poco tempo non è affatto semplice. Eppure bisogna riuscirci, per una serie di motivi che sono tutt’altro che velleitari. In gioco, infatti, c’è la sopravvivenza stessa del business.
Un’esagerazione? No, se si considera che sul mercato continuano a comparire imprese nativamente digitali, destinate a stravolgere lo scenario competitivo con nuovi paradigmi di go-to-market e agilità inediti. Sviluppare nuovo valore, oltre che maggiore efficienza, è sicuramente essenziale per affrontare un’altra inevitabile transizione, quella ecologica, che impone la ricerca di una sempre maggiore sostenibilità dell’organizzazione sul piano ambientale e umano. Ultimo, ma non per importanza, il tema dell’ampliamento delle identità digitali: con la crescita degli attributi collegati alla propria digital identity, cittadini e consumatori potranno decidere con quali soggetti condividere le informazioni personali allo scopo di attivare servizi personalizzati. È anzi proprio questa la prossima grande rivoluzione. Cavalcarla e non esserne travolti significa mettere l’organizzazione in condizioni di comprendere e accogliere le nuove istanze dei clienti attraverso la raccolta e l’analisi dei dati.
Quando la digitalizzazione è un’arte
«La crescente importanza del dato ha già cambiato il significato stesso del concetto di innovazione, provocando una contaminazione cross-industry che porterà utenti e consumatori finali a diventare protagonisti dei processi aziendali, agendo come interlocutori privilegiati all’interno di contesti ibridi, caratterizzati da canali digitali e touch point fisici. Ma per prendere di petto questo cambiamento ci vuole coraggio, per certi versi anche una buona dose di sfrontatezza. Senza diventa impossibile dare vita ai nuovi business model che saranno indispensabili per muoversi nell’ambito di scenari che oggi, comprensibilmente, fatichiamo ancora a immaginare».
A parlare è Luca Spina, Chief Sales & Marketing Officer di Intesa, azienda del Gruppo Kyndryl specializzata nella progettazione e nello sviluppo di soluzioni per la digitalizzazione di imprese e pubbliche amministrazioni. Le parole di Spina hanno aperto i lavori della quarta edizione di InTrust Day, l’evento che Intesa dedica a tutti coloro che puntano sulla collaborazione, sulla creatività e sulla sostenibilità per dare vita a progetti concreti e realizzabili di Digital Transformation. «Non a caso, il titolo che abbiamo scelto per questa edizione è ‘The art of going digital’, e allude al percorso che sta compiendo chi è attento alle tematiche dell’innovazione, vivendo ogni giorno la trasformazione e interpretando il digitale come una vera e propria arte. Del resto, acquisire tecnologie e metodologie oggi è relativamente semplice. L’arte sta nel renderle efficaci».
Who's Who
Luca Spina
Chief Sales & Marketing Officer di Intesa
Digital Transformation: come affrontarla correttamente
Tra i protagonisti di InTrust Day, andato in scena a Milano il 22 novembre, c’era Paola Pisano, già Ministro dell’Innovazione e Professore di Gestione dell’Innovazione all’Università di Torino. Pisano ha introdotto il proprio keynote interrogandosi sul significato dell’espressione trasformazione digitale e definendo le fasi che tipicamente contraddistinguono il processo. «Trans-formare, ovvero creare una forma nuova, oltre quella attuale. Non si tratta quindi di aggiungere soluzioni tecnologiche al business, ma di utilizzarle per capire come si evolverà il settore in cui si lavora, cogliendo le aspirazioni dei clienti nel presente e nel futuro».
Who's Who
Paola Pisano
Ex Ministro dell’Innovazione e Professore di Gestione dell’Innovazione all’Università di Torino
Tipicamente, nel digital journey di un’azienda il primo step è quello della modernizzazione. «Le imprese utilizzano tecnologie di base per digitalizzare procedure standard e consolidate», ha spiegato Pisano. «Non parliamo ancora di innovazione, ma di attività che creano le basi per intraprendere il percorso di digitalizzazione attraverso piccoli goal, facili da raggiungere all’inizio».
La seconda fase è quella della trasformazione. «Crescono le competenze dei team, che cominciano a capire come sfruttare le tecnologie, inizialmente per migliorare l’efficienza e poi per svolgere le operazioni di routine aumentando inclusività e sostenibilità e allo stesso tempo allargando il bacino di clienti. L’ultimo step è quello dell’innovazione vera e propria, con la creazione di nuovi filoni di revenue in ambiti non precedentemente esplorati dal business».
È chiaro che ogni organizzazione deve affrontare questo processo in modo autonomo e peculiare. Non esiste una ricetta univoca, ma di una cosa Pisano è certa: la trasformazione dipende dai leader, e se viene demandata all’IT, tendenzialmente la sfida è persa. «La Digital Transformation va considerata un’opportunità e non un problema, valutando metriche che vadano oltre quelle di natura finanziaria, che pur rimanendo importanti non possono zavorrare il cambiamento».
Per orchestrare questa complessità e aggiornare gli obiettivi nel tempo occorrono inoltre una roadmap ben definita e la disponibilità a sperimentare di volta in volta nuovi use case sul campo. «Eppure, anche facendo così, spesso si fallisce», ha detto Pisano. «E ciò dipende essenzialmente da due errori strategici, a prescindere dal fatto che si scelga un approccio top down o bottom up. Nel primo caso, in genere, il fallimento arriva quando la trasformazione è imposta dal vertice senza uno scopo preciso. Nel secondo avviene quando invece le iniziative che arrivano dal basso non scalano e non raggiungono la considerazione del top management. Ecco perché, a prescindere dalla roadmap, l’elemento fondamentale del processo evolutivo è la governance, attraverso cui si guida la trasformazione, si motiva e si forma il team, e si crea l’ecosistema di riferimento per l’esercizio dei nuovi servizi digitali. In quest’ottica, è necessario scegliere con grande attenzione il partner che accompagnerà l’organizzazione lungo il percorso: non basta un fornitore di tecnologia, serve qualcuno che stimoli le domande giuste e che trovi le risposte anche attraverso la leva tecnologica».
Le opportunità offerte dalla revisione del regolamento eIDAS
Seguire queste raccomandazioni può aiutare ad affrontare con una preparazione adeguata la sfida del Web 3.0, che con la diffusione dei wallet digitali e dei sistemi DLT (Distributed Ledger Technology) comporterà la disintermediazione di molti servizi online e, di conseguenza, una maggiore democratizzazione della rete: cittadini e consumatori avranno dunque sempre più potere decisionale.
L’Europa ha del resto avviato la revisione del regolamento eIDAS (electronic IDentification Authentication and Signature) e prevede il rilascio del wallet europeo per il 2024. «L’obiettivo è quello di dotare dello strumento l’80% della popolazione europea entro il 2030, garantendo diversi fattori, a partire da usabilità e tutela della privacy», ha detto intervenendo a InTrust Day da Bruxelles Andrea Servida, Head of Unit “Knowledge Management & Innovative Systems” di DG Connect, l’ente che all’interno della Commissione europea si occupa delle politiche per l’economia e la società digitali e dell’agenda digitale.
«Il wallet si spinge nella direzione di una maggiore fruibilità nell’ambito del settore privato, rendendo di fatto inevitabile l’apertura delle imprese agli utenti finali, che potranno accedere in modo semplificato a forniture di servizi associati a specifiche identità senza più essere intermediati da soggetti terzi, e in particolare dai grandi player d’Oltreoceano».
Who's Who
Andrea Servida
Head of Unit “Knowledge Management & Innovative Systems” di DG Connect
Perché questa visione diventi realtà, generando valore per il business, secondo Servida bisogna però avviare una serie di progettualità che consentano di negoziare i parametri di condivisione delle responsabilità rispetto ai servizi fiduciari, dando impulso alla realizzazione di piattaforme interoperabili.
«Il regolamento eIDAS ha tracciato un percorso ben preciso», ha aggiunto Giuseppe Mariani, General Manager di Intesa (Kyndryl). «Quotidianamente, in quanto QTSP, sviluppiamo progetti di firma digitale insieme ai nostri clienti nazionali ed internazionale, perché oggi tali servizi sono già interoperabili a livello comunitario e lo saranno sempre di più nei prossimi anni. Il Digital Identity Wallet abiliterà nuovi modelli di business, legati ad un uso più proficuo dei dati e maggior efficienza a livello di costi per aziende che lo adotteranno. Le prospettive sono molto positive, non bisogna però sottovalutare i fattori di compliance e sicurezza, attualmente voce importante del conto economico delle aziende e tema su cui i nostri clienti ci chiedono un supporto attivo».
Who's Who
Giuseppe Mariani
General Manager di Intesa
In Italia il digital wallet potrebbe “atterrare” sull’applicazione IO, la piattaforma dei servizi digitali al cittadino rilasciata da PagoPa nel 2020 e che oggi conta già 31,5 milioni di account con una media di 6 milioni attivi al mese in grado di accedere a circa 90 mila funzionalità erogate da oltre settemila enti.
«Un risultato frutto degli indirizzi forniti dal primo regolamento eIDAS, che dal 2014 a oggi ha accompagnato la rivoluzione digitale innescata dall’utilizzo diffuso degli smartphone», ha detto Lorenzo Fredianelli, Chief Business Development & Strategy Officer di PagoPA, ricordando anche l’importanza del ruolo giocato da SPID. «Come membri del tavolo di lavoro internazionale dedicato al wallet, attendiamo un primo prototipo che ci fornisca un’idea di come sarà la customer experience: privacy by design, sicurezza multilivello e business model innovativi sono infatti essenziali per una applicazione di valore, ma se manca l’usabilità – a cui va aggiunta la consapevolezza del cittadino sulle reali potenzialità dello strumento – si rischia che non venga adottata».
Who's Who
Lorenzo Fredianelli
Chief Business Development & Strategy Officer di PagoPA
Identità digitali e modelli di business relazionali: oltre il tema della customer-centricity
L’importanza del wallet europeo è stata rimarcata anche da Carlo Alberto Carnevale Maffè, Professore di Strategia alla Bocconi University School of Management, che ha approfondito il tema dell’evoluzione dei servizi digitali nei contesti di business rovesciando il paradigma con cui tipicamente le aziende affrontano il mercato. «Internet ha provocato la caduta delle asimmetrie informative, mentre i social hanno determinato quella delle asimmetrie organizzative. Oggi è arrivato il momento di far cadere le asimmetrie istituzionali, creando una democrazia digitale basata sul concetto di decentramento e, di conseguenza, su modelli federati e distribuiti, quindi responsabili per definizione. Cambia in modo radicale la prospettiva per le aziende e gli enti pubblici, che dovranno necessariamente mettere al centro di tutti i propri processi l’utente finale».
Who's Who
Carlo Alberto Carnevale Maffè
Associate Professor of Practice of Strategy and Enterpreneurship di SDA Bocconi School of Management
Ma per Carnevale Maffè la questione va ben oltre il “semplice” tema della customer-centricity. Consentendo di volta in volta ad aziende e istituzioni di accedere ai propri dati, clienti e cittadini diverranno infatti parte integrante dell’organizzazione, che se avrà compiuto correttamente la transizione verso il digitale non si limiterà a orientare le strategie verso i propri stakeholder esterni, ma li ingaggerà per ottimizzare le procedure e individuare nuove fonti di revenue.
«La trasformazione organizzativa deve tener conto del fatto che il modello di mercato meramente distributivo non regge più: si passa anzi dalla logica della supply chain a quella della demand chain, all’interno della quale gli attributi del wallet serviranno non tanto a identificare il cliente e a trattarlo come un soggetto passivo, quanto a fare engagement e ad attivare con lui vere e proprie partnership di lungo termine, prevedendo sistemi di remunerazione subscription-based, fondati cioè sulla disponibilità delle persone a condividere dati ed esperienze per migliorare i processi di business».
Si passerà dunque dal classico approccio transazionale all’utilizzo di piattaforme relazionali per lo scambio di informazioni e incentivi economici, che genererà reciproci vantaggi a monte e a valle della catena del valore. «Tutto questo sarà possibile», ha avvertito Carnervale Maffè, «a patto di superare i silos concettuali e unificare l’identità digitale dei propri interlocutori».
La parola alle imprese: servono coraggio e collaborazione
Ma cosa ne pensano i diretti interessati, i responsabili dell’innovazione aziendale, e soprattutto cosa stanno facendo insieme ai loro team e ai loro partner per tradurre questa visione in realtà? Alcune risposte sono arrivate dalla tavola rotonda che ha chiuso l’evento, durante la quale si sono confrontati Andrea Beccuti, Group CTO Direttore Tecnologie e Sistemi Informativi di IREN, Antonella Periti, Deputy CIO di Edison, Luca Pollano, Head of ICT, Digital & Data Governance di FCA Bank, Angelo Spalluto, Chief Information Officer di Atlantia e Pierdomenico Rusconi, IT Manager per Douglas Italia e Douglas Spain.
Pur appartenendo a settori diversi, con attività che spaziano dall’Automotive, all’Energy, passando per il Beauty, il Finance e il comparto dei Servizi, queste imprese hanno negli ultimi anni perseguito il medesimo obiettivo: sprigionare il massimo potenziale dai processi interni e costruire valore per le proprie persone e i propri clienti facendo leva sulla digitalizzazione e sull’analisi dei dati.
Per tutte le organizzazioni si è trattato di intraprendere un percorso di trasformazione culturale, ancor prima che tecnologica, per affrontare il quale – hanno spiegato i relatori – è stato necessario bilanciare da una parte pazienza e coraggio, dall’altra soluzioni tecnologiche ed esigenze di business. Un work in progress che continuerà nei prossimi anni, e che darà i risultati attesi solo se ciascun progetto verrà gestito con una governance frutto di un approccio cooperativo. Il che significa non solo stabilire e aggiornare nel tempo roadmap specifiche, ma anche e soprattutto confrontarsi con gli interlocutori corretti nell’ambito di partnership di ampio respiro.