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Investimenti digitali, in aumento i budget ICT per il 2025. In Italia, l’88% delle grandi aziende fa Open Innovation



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Tra le organizzazioni più strutturate, la spesa si concentra su soluzioni di Cybersecurity, Business Intelligence e AI. Nel Paese, l’innovazione aperta è vista come risorsa per esplorare nuovi trend tecnologici e individuare opportunità di business, mentre i benefici economici diretti sono ancora considerati marginali. I dati del PoliMi

Pubblicato il 10 dic 2024



Investimenti digitali

Gli investimenti in digitale realizzati dalle realtà del nostro Paese non si arrestano e, per il nuovo anno ormai alle porte, si prevede un aumento dell’1,5% dei budget in ICT. Si tratta di numeri in linea con il trend degli ultimi nove anni, seppure il tasso di crescita è leggermente inferiore rispetto al 2023, quando si attestava al +1,9%.

Un contesto di incertezza economica che, però, non scoraggia le imprese italiane, che considerano il digitale uno dei driver fondamentali per il progresso, la sopravvivenza e la competitività del business. Ma non mancano le sfide.

A scattare la fotografia è l’Osservatorio Digital Transformation Academy che, durante il convegno “Digital & Open Innovation 2025: per imprese e startup è ora di misurare l’impatto!”, ha offerto una panoramica sulla maturità delle organizzazioni italiane in materia di Open Innovation.

I principali ambiti degli investimenti digitali

In continuità con gli anni precedenti, sistemi di Cybersecurity (57%) e soluzioni di Business Intelligence sono gli ambiti su cui le organizzazioni più strutturate stanno riversando gran parte degli investimenti. Guadagnano la terza posizione in classifica e soluzioni di Artificial Intelligence, Cognitive Computing e Machine Learning, su cui investirà in modo prioritario il 43% delle aziende, in grande crescita proprio come quelle di Generative AI (39%). Anche per le PMI la sicurezza informatica si colloca al top delle priorità, seguita da migrazione e gestione Cloud (25%) e applicazioni e tecnologie di Industria 4.0 (24%).

«In un clima caratterizzato da cautela e crescita limitata, le aziende italiane confermano l’intenzione di investire nel digitale, per identificare soluzioni alle sfide in atto e cogliere nuove opportunità di business – ha affermato Alessandra Luksch, Direttore degli Osservatori Digital Transformation Academy e Startup Thinking del Politecnico di Milano –. Imprese e startup devono entrare in una nuova fase nella valorizzazione strategica dell’innovazione, spostando il focus dalla pura sperimentazione alla generazione di impatto».

Who's Who

Alessandra Luksch

Direttore degli Osservatori Digital Transformation Academy e Startup Thinking del Politecnico di Milano

Alessandra Luksch

Tuttavia, sebbene il 92% delle imprese ha integrato l’innovazione digitale nei propri piani strategici, solo una minima percentuale (il 5%), la considera il fulcro principale. Il 56% ha una strategia digitale ufficiale, con il 38% che l’ha ampiamente diffusa all’interno dell’azienda, ma solo l’8% delle imprese posside metriche consolidate per valutare l’effettivo impatto della digitalizzazione concentrandosi principalmente su input e output economici a medio e breve termine.

Come ha, infatti, aggiunto Luksch: «Per una piena trasformazione, però, è necessario passare da un modello che guarda principalmente i risultati economici di breve periodo a uno che valuti anche gli effetti di medio lungo periodo, tenendo conto anche dell’impatto sulle competenze, la cultura e l’agilità organizzativa».

Investimenti digitali, si moltiplicano le collaborazioni con le startup (ma solo per le grandi imprese)

Mentre i motori principali dell’innovazione restano interni (37% le funzioni aziendali e 32% il top management), si osserva un crescente spostamento verso fonti esterne. Le startup stanno diventando sempre più rilevanti, essendo considerate fonti esterne di innovazione dal 27% delle aziende, subito dopo università e centri di ricerca (31%), società di consulenza (31%), e fornitori ICT (27%).

In particolare, il 48% delle grandi aziende intrattiene collaborazioni con startup da oltre tre anni. Le startup fungono da fornitori occasionali nel 49% dei casi o come partner per la co-creazione di nuovi prodotti e servizi nel 47% dei casi. La percentuale cala, e di molto, per le PMI: solo l’8% delle piccole e medie imprese avvia delle partnership con startup o prevede di farlo nel prossimo futuro, mentre il 71% non manifesta interesse o non considera questa opzione al momento.

Open Innovation, a che punto è l’Italia?

Nel 2024, l’88% delle grandi aziende italiane ha implementato iniziative di Open Innovation, riflettendo un trend crescente negli anni. Questo dato raggiunge il 98% tra le grandissime imprese con oltre 1.000 dipendenti. In contrasto, la crescita per le PMI è più lenta, con solo il 31% che adotta pratiche di Open Innovation. Le iniziative più comuni sono quelle di tipo Inbound, che incorporano innovazioni esterne, tra cui collaborazioni con università (72%), scouting di startup (59%), hackathon e contest (rispettivamente 30% e 32%).

Per quanto riguarda le strategie Outbound, per esportare innovazioni interne, prevalgono la creazione di piattaforme digitali (22%), le joint-venture (21%) e il Corporate Venture Building (12%), quest’ultimo ispirato alle startup studio e in crescita di popolarità.

Solo il 28% delle aziende dispone di un budget specifico per l’Open Innovation che copre tutte le attività correlate, mentre circa un terzo delle aziende non ha ancora previsto un budget dedicato.

L’Open Innovation è vista principalmente come una risorsa per esplorare nuovi trend tecnologici (64%) e individuare nuove opportunità di business (44%), mentre i benefici economici diretti sono ancora considerati marginali.

«Nei prossimi tre anni, le aziende prevedono sempre maggiore attenzione a fonti esterne e di innovazione. In particolare, è destinato a crescere il ruolo delle startup – ha aggiunto Stefano Mainetti, Responsabile Scientifico dell’Osservatorio Startup Thinking -. Lo spostamento di focus verso fonti esterne e diversificate indica una tendenza verso una maggiore apertura e collaborazione con l’ecosistema esterno, in logica Open Innovation, segnalando una volontà delle aziende di integrare nuove idee e tecnologie per rispondere in modo più dinamico alle sfide del mercato».

Who's Who

Stefano Mainetti

Responsabile Scientifico dell’Osservatorio Startup Thinking del Politecnico di Milano 

Stefano Mainetti

L’innovazione aperta per raggiungere gli obiettivi di sostenibilità

L’Open Innovation sta guadagnando importanza anche nel contesto della sostenibilità e i motivi sono diversi. Innanzitutto, molte aziende riconoscono che la collaborazione con università e centri di ricerca può accelerare lo sviluppo di progetti sostenibili. Il 56% delle aziende, infatti, si impegna in queste collaborazioni per attingere a nuove idee e tecnologie che contribuiscono a soluzioni più ecologiche. Non solo. Sono numerose le realtà (46 che attivano partnership con startup molto spesso considerate fucine di innovazione, in grado di introdurre rapidamente tecnologie e modelli di business che possono essere adattati per migliorare la sostenibilità.

Le aziende si dotano di una “Direzione Innovazione”

Cresce l’interesse per modelli più diffusi nella gestione dell’innovazione. Attualmente, il 39% delle aziende ha una “Direzione Innovazione” al proprio interno, ma sempre più imprese adottano un approccio trasversale e promuovono una cultura dell’innovazione diffusa. Infatti, quasi due aziende su tre hanno istituito figure di Innovation Champion (nel 44% dei casi), selezionate da linee di business o altre funzioni, con il compito di coordinare l’innovazione insieme alla Direzione Innovazione.

Gestione dell’innovazione digitale: quali sfide devono affrontare le aziende

Tra le principali sfide per le imprese nella gestione dell’innovazione digitale spiccano la necessità di allineare lo sviluppo innovativo con le esigenze delle Business Unit (45%) e il bisogno di coordinamento con le funzioni di business per implementare le innovazioni (42%). Inoltre, le aziende affrontano difficoltà nel coinvolgere efficacemente i dipendenti nelle attività innovative (38%) e nel definire meccanismi adeguati per misurare l’impatto dell’innovazione digitale all’interno dell’organizzazione.

«Chi all’interno dell’azienda deve valorizzare l’innovazione si trova spesso a fronteggiare una scarsa apertura al cambiamento e una limitata capacità di comprenderne appieno i potenziali benefici, con il rischio di non far avanzare idee e progetti oltre alle fasi di sperimentazione e test – ha spiegato Mariano Corso, Responsabile Scientifico dell’Osservatorio Digital Transformation Academy -. Per ingaggiare la popolazione aziendale, le imprese più mature ricorrono in modo sempre più frequente ad azioni di Corporate Entrepreneurship volte a stimolare la nascita e la diffusione di approcci imprenditoriali all’interno dell’organizzazione. Questo avviene attivando percorsi di formazione e sensibilizzazione rispetto a tematiche e metodologie di lavoro innovative. La sola formazione, però, rischia di essere inutile se non adeguatamente accompagnata da percorsi pratici volti a favorire una più concreta sperimentazione di competenze, metodologie e approcci appresi in contesti sicuri».

Who's Who

Mariano Corso

Docente di Leadership & Innovation del Polimi, Responsabile scientifico dell’Osservatorio HR e dell'Osservatorio Smart Working del Polimi, Responsabile Scientifico di P4I-Partners4Innovation

Mariano Corso

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