La digitalizzazione degli studi professionali è un argomento di grande attualità. Al pari delle aziende, gli studi stanno affrontando da un lato le conseguenze della pandemia, comprensive di Smart Working ed esigenze di accesso remoto agli strumenti di lavoro, dall’altro devono adeguarsi alle dinamiche di mercati che sul fronte digitale evolvono molto velocemente.
L’Osservatorio Professionisti e Innovazione Digitale del Politecnico di Milano rileva una sempre maggiore pervasività del digitale. Nel 2020, la pandemia ha fatto crescere gli investimenti del 7,9% rispetto all’anno precedente, nel 2021 (i dati non sono ancora definitivi) si parla di un ulteriore +5,6%. Come anticipato, su questi dati pesa l’esigenza di adeguarsi a nuovi paradigmi di lavoro e ad aziende (clienti) che di fatto richiedono livelli di collaborazione molto più stretti e connessi di un tempo, spingendo i propri partner ad alzare il livello di maturità digitale e a essere meno “fragili”.
Ma su cosa investono gli studi professionali? Dopo il boom del 2019, legato all’adeguamento alla fatturazione elettronica, oggi sono richiestissime le firme elettroniche e digitali, gli strumenti di gestione dei workflow documentali, la business intelligence e machine learning, nonché – ovviamente – le piattaforme di collaborazione, che abilitano un nuovo modo di svolgere la professione e di erogare i servizi. Gli studi più evoluti stanno invece facendo perno sull’innovazione digitale e i nuovi paradigmi per sviluppare servizi a valore e modelli di business originali, vincendo la sfida con i competitor.
Digitalizzazione e protezione dell’infrastruttura
La digitalizzazione sempre più pervasiva, anche in ambiti legati alla tradizione come i contesti notarili, impone però un’attenzione sempre più ferrea nei confronti della sicurezza dell’infrastruttura e della protezione del dato. È una logica conseguenza dell’innovazione digitale: se aumentano il volume dei dati e la velocità di circolazione delle informazioni, i rischi annessi alla perdita di elementi sensibili e preziosi aumentano esponenzialmente. Oltretutto, gli studi professionali si trovano a custodire dati di valore appartenenti a decine, centinaia di aziende, e non possono permettersi leak che avrebbero conseguenze disastrose con i loro clienti e anche nei confronti della brand reputation, che spesso è peggio.
Le fonti di rischio, interne ed esterne, abbondano. Per esempio, qualsiasi fonte autorevole nel mondo della sicurezza cyber attribuisce all’errore umano un peso rilevante nei principali incidenti di sicurezza. Uno studio McKinsey dichiara che la minaccia interna è una delle tipiche problematiche irrisolte della sicurezza cyber, e questo (limitando l’osservazione alle minacce non intenzionali) pone una questione di security awareness che non tutte le aziende affrontano come dovrebbero, compresi gli studi professionali. A tutto ciò va aggiunto un social engineering sempre più sofisticato ed efficace, nonché l’aumento esponenziale dei cyber attacchi dovuti al remote working, diffusosi ancora di più nell’era pandemica.
Le difficoltà degli studi professionali
All’ottimo progresso in termini di digitalizzazione dei processi, di impiego di tecnologie avanzate e di rapporti sempre più connessi con gli stakeholder si deve accompagnare un adeguato approfondimento sui temi di sicurezza e conformità. In alcuni casi, però, gli studi faticano ad attrezzarsi in tal senso: contano senza dubbio la dimensione della struttura e il livello di maturità digitale di partenza, ma diversi studi professionali non possono contare su personale IT dedicato a garantire l’uptime e le performance dell’infrastruttura nonché la necessaria protezione del dato. I professionisti lavorano da casa con strumenti personali e l’e-mail continua a essere il canale più comune per lo scambio di documenti.
In altri termini, gli studi professionali devono seguire un vero e proprio circolo virtuoso, che poi è lo stesso percorso in cui si trovano le aziende da anni. Devono massimizzare l’investimento in digitale, associandovi una cultura e aspetti organizzativi all’altezza, ma anche dare priorità alle performance della propria infrastruttura e alla sua sicurezza, perché solo in questo modo possono ricevere in cambio prospettive di crescita di tutto rispetto. Molti studi stanno valutando o adottando soluzioni cloud a supporto del loro business, approfittando della giusta scalabilità dello strumento, dei benefici del modello as-a-service e della resilienza nativa dell’infrastruttura cloud, ma anche in questo caso faticano ad associarvi l’elemento della cyber security, che presuppone forti investimenti in tecnologia, disponibilità di competenze di cui il mercato è avaro e, soprattutto, un aggiornamento continuo e costante che neanche le grandi aziende riescono a garantire con continuità.
La soluzione dell’Outsourcing e il valore di WIIT
Ecco perché una soluzione adeguata alle ambizioni degli studi professionali è l’outsourcing verso un partner che possa vantare una corretta miscela di asset, tecnologie, competenze e processi certificati. Outsourcing significa, per lo studio, poter usufruire di tutti i benefici del cloud, compresa l’adozione di modelli complessi come il cloud ibrido, per beneficiare sia della scalabilità della declinazione pubblica sia del controllo sull’infrastruttura privata. Non solo: in questo modo è anche possibile godere di una cyber security gestita e integrata all’interno del modello di servizio.
Quanto appena riportato è il modello che WIIT, azienda italiana di riferimento nel mondo del cloud e dell’hosting di applicazioni mission-critical, eroga quotidianamente ai suoi clienti, garantendo loro una business continuity a 360 gradi. L’azienda, infatti, fonda i propri servizi su un network di data center certificati Tier IV, su competenze d’eccellenza, tecnologie di riferimento e sull’erogazione di servizi continuativi di sicurezza cyber, così da proteggere il patrimonio informativo dei propri clienti rispetto a minacce in crescita costante e continua.