Didattica digitale a complemento della formazione tradizionale nelle Università. Il digital learning è arrivato in Italia. Utilizzando sensori, mobile, cloud e social media, gli atenei 4.0 italiani hanno realizzato interessanti modelli di blended learning.
Dalle videolezioni erogate in modalità sincrona e asincrona al social learning, declinato attraverso forum, chat e sistemi di instant messaging, dalle app a piattaforme di slide sharing e file sharing, le Università italiane raccontano un’innovazione che da tempo ha traguardato la sperimentazione, per proporre un vero e proprio palinsesto di servizi in continua evoluzione.
È quanto emerge da una tavola rotonda organizzata da NetworkDigital4, in collaborazione con Panasonic, a cui hanno partecipato alcune realtà rilevanti dell’universo accademico: il MIP Politecnico di Milano, il Politecnico di Torino, l’SDA Bocconi, la LIUC di Castellanza, l’Università degli Studi di Milano, l’Università di Pavia.
Blended learning, tra tecnologia e metodologia
La didattica digitale è ibrida. La tecnologia supporta gli studenti, arrivando a creare in molti casi un personal learning environment (PLE) completo: è così che gli atenei potenziano i corsi e i percorsi di apprendimento attraverso un’offerta formativa migliore. L’obiettivo? Combinare il metodo tradizionale (il docente in aula frontale agli studenti) con una serie di supporti tecnologici costituiti da computer, videoproiettori, telecamere, lavagne interattive e infrastrutture che passano dal cloud e dalla virtualizzazione, garantendo un approccio più integrato e funzionale a supporto della relazione tra docenti e discenti.
In tutto questo, sistemi di tracciabilità e rintracciabilità delle informazioni aiutano a monitorare tutti i servizi, dal front end al back end. La condivisione dei materiali didattici diventa più veloce grazie alle mail ma anche alla messaggistica e a nuove modalità di accesso sicure ai repository universitari che ospitano materiali di riferimento della didattica digitale. Così le università parlano con i millennial attraverso i loro pc, i loro smartphone e i loro tablet, sfruttando al meglio gli ecosistemi delle risorse online.
Atenei pubblici e privati: la fotografia italiana
Per capire meglio l’orizzonte di contesto, va precisato che il sistema universitario italiano è basato prevalentemente sulle università statali (61 atenei), che accolgono approssimativamente il 90% degli iscritti. Alle università non statali (30 atenei, di cui 11 telematici) è iscritto il 9% degli studenti, il 3,5% costituito dagli studenti delle università telematiche.
Oltre l’83% degli studenti è concentrato in 41 atenei medio-grandi, ciascuno con almeno 15.000 studenti iscritti (FONTE: Rapporto biennale sullo stato del sistema universitario e della ricerca 2016 – ANVUR). Quanti sono stati gli iscritti in università? Nel 2016 gli studenti erano 271.119, di cui il 5% di nazionalità non italiana. Il valore massimo degli iscritti (+5,2%) si evidenzia nel Nord-Est, mentre il valore minimo (-2,1%) si evidenzia nelle isole (Fonte MIUR).
La competizione tra gli atenei è molto alta e uno dei motivi che spinge le famiglie a scegliere un’università piuttosto che un’altra è anche la qualità della dotazione infrastrutturale e tecnologica. Per mantenere il proprio ruolo rispetto al territorio, gli atenei devono fronteggiare nuove sfide, rivedendo il concetto dell’offerta formativa tenendo conto di nuove chiavi di servizio incentrate su un uso più evoluto delle tecnologie multimediali.
Università 4.0 a misura di Millennial
Quelle migliaia di millennial che ogni anno arrivano in aula, infatti, hanno nuove aspettative e nuove abitudini sia rispetto all’ambiente scolastico che alle modalità di relazione: sono iperconnessi, cioè più tecnologici, e più capaci di cercare informazioni attingendo a risorse multicanali che passano dai social media. A fronte di una spending review che ha portato a contingentare gli investimenti secondo criteri di gestione non sempre pratici, a partire dal presupposto che a gennaio vengono preventivati i budget in base agli iscritti, senza considerare che è solo dopo giugno che gli studenti sanno se sono riusciti a diplomarsi o meno, le università hanno comunque il coraggio di investire e di cambiare, per realizzare modelli di blended learning vincenti.
“Nel nostro ateneo la didattica digitale è la soluzione ideale per i Master – ha spiegato Marco Vezzoli, Head of ICT and Digital Learning, MIP Politecnico di Milano -. Abbiamo strutturato un percorso incentrato sul concetto di massima fruibilità del servizio: lo stesso docente, ad esempio, non fa lezione a scuola. Il progetto ha una sua genesi: siamo partiti da un’analisi di una soluzione di e-learning che esisteva da tempo (i cosiddetti MOOCS – Massive Open Online Courses, in italiano) e l’abbiamo potenziata. Progettare un’aula che non c’è per offrire un servizio didattico a studenti sparsi per il mondo e che comunicano con strumenti digitali per condividere file, interagire con social network e altri strumenti è una bella sfida per la governance. Innanzitutto bisogna garantire servizi in chiave multicanale: tablet, pc e smartphone sono completamente sincronizzati. Sono stati gli stessi docenti a chiederci di poter condividere contenuti e appunti digitali con gli studenti. È vero che in aula ci sono delle soft skills importanti ma, grazie ai social media, possono essere addirittura favorite dalla dimensione digitale. Rispetto alla piattaforma SCORM (Shareable Content Object Reference Model) che utilizziamo, ad esempio, sappiamo che gli studenti rimangono connessi anche dopo la lezione con grado di interazione stupefacente”.
Un altro aspetto della didattica digitale è quello di usare le tecnologie come strumento di miglioramento dell’esperienza di apprendimento in aula, garantendo maggior interattività e contenuti immediatamente disponibili. Maggiori dettagli sono disponibili nella videointervista:
“La didattica in presenza è parte integrante del nostro modello pedagogico – ha dichiarato Aurelio Ravarini, Direttore del Centro di Ricerca CETIC della LIUC – Università Cattaneo – ma non significa che non ci sia innovazione: ci sono soft skills importanti in aula che, grazie ai social media, possono essere valorizzate dalla dimensione digitale. Abbiamo fatto diverse esperienze di social learning, in particolare con i Wiki (piattaforme online che permettono agli utenti di creare e modificare contenuti – in modo collaborativo – attraverso un browser web NdR). I wiki e le discussioni online nella classe virtuale di fatto vanno spesso a sostituirsi a libri e dispense. Il nostro Ateneo ha un obiettivo preciso: triangolare le competenze di chi gestisce la tecnologia (tipicamente l’IT), il corpo docenti e la governance (direzione). Sempre e comunque, la scelta tecnologica va personalizzata rispetto al contenuto formativo da un lato e al docente dall’altro. A ogni docente vanno presentate quali sono le alternative rispetto alla metodologia didattica disponibili. In seguito si procedere a tarare gli strumenti sulle competenze e le capacità degli insegnanti ma anche sulle caratteristiche di apprendimento degli studenti. Nella didattica non bisogna mai dare niente per scontato: gli investimenti, soprattutto nel social learning, non possono essere calati dall’alto: Le soluzioni vanno metabolizzate e fatte metabolizzare”.
Un altro elemento di innovazione è stata l’introduzione della gamification e, in particolare, del Business Game in cui lo studente si ritrova a simulare un’attività manageriale. Maggiori dettagli nella videointervista:
“Quando portiamo la tecnologia in Università – ha precisato Paolo Pasini, Direttore Unit Sistemi Informativi SDA Bocconi School of Management – dobbiamo sempre e comunque partire dalle persone: i docenti e gli studenti. L’esperienza dei primi rimane fondamentale per garantire la qualità della didattica ma è importante anche capire l’esperienza dei secondi. Per fare un esempio concreto: noi abbiamo tanti iscritti ai corsi on line ma dai nostri sistemi di monitoraggio emerge che i livelli di attenzione sono comunque bassi. Il motivo? I corsisti si annoiano. Digitalizzare in modo efficace la lezione tradizionale non basta: i ragionamenti vanno fatti considerando due tipologie di utenti diversi: gli studenti in aula e gli studenti da remoto. Abbiamo fatto un grosso lavoro di analisi, andando a segmentare i contenuti per valorizzare quelli più adatti, in cui la capacità del docente favoriva l’interazione. Abbiamo un’ottima infrastruttura ma non siamo ancora riusciti a replicare in un’aula digitale l’esperienza che vogliono i partecipanti. Abbiamo provato con i Business Games e con i sistemi di voting, ma l’efficacia dell’interazione in aula, quando lo studente di un corso executive fa al docente domande puntuali in cui viene richiesta la soluzione a un problema specifico è ancora insostituibile. In ogni caso la didattica digitale ha un grosso vantaggio: è multisensoriale e maggiormente esperienziale ed è qui che è possibile innestare un’innovazione più spinta. Oggi stiamo valutando soluzioni che ci permettano di dare maggiore flessibilità e scalabilità alle classi: la nostra esigenza è di poter modulare le strutture rispetto al numero e tipologia di partecipanti, ad esempio utilizzando tavoli con rotelle, diversi proiettori e diversi monitor da usare in varie combinazioni a seconda delle esigenze didattiche”.
Il digitale aiuta l’Università a evolvere
Il corpo dei docenti universitari è molto variegato e il cambiamento va gestito con grande attenzione.
“La tecnologia deve venire incontro alle esigenze dei docenti che ancora oggi conservano un approccio alla didattica molto tradizionale – ha sottolineato Mirko Bove, IT Project Manager del CTU il Centro per le tecnologie e la didattica universitaria multimediale e a distanza dell’Università degli Studi di Milano -. I docenti di analisi, ad esempio, qualche tempo fa hanno rifiutato le LIM principalmente a causa del ridotto spazio a disposizione anche se va detto che non erano evolute come quelle odierne. In ogni caso c’è una certa resistenza all’uso della tecnologia in aula, dettata anche dal fatto che il docente è obbligato a ripensare in toto il suo modo di fare lezione. Il nostro compito è quello di fare in modo che la tecnologia non venga vissuta come un ostacolo per la didattica. Per quanto riguarda invece il supporto dei percorsi esclusivamente online, tra i vari progetti attuati, abbiamo introdotto l’utilizzo di aule virtuali e formalizzato un processo di realizzazione di videolezioni e moduli multimediali”.
“Lavoriamo tanto sulla metodologia salvando, per quanto possibile, la prassi didattica – ha aggiunto Daniela Scaccia, Direttore del CTU il Centro per le tecnologie e la didattica universitaria multimediale e a distanza dell’Università degli Studi di Milano -. La tecnologia va proposta cercando di dare una continuità alle abitudini, per non generare troppo disagio. Un esempio? Abbiamo configurato i tablet dei docenti usando uno sfondo nero sul quale possono scrivere in bianco, perché è quanto di più simile alla lavagna in ardesia. Prima o poi queste figure matureranno una nuova cultura digitale ma quando non possiamo saperlo. Il nostro ruolo di esperti di metodologie e sistemi di e-learning è rendere il più possibile trasparente la tecnologia al docente. Dobbiamo creare percorsi di apprendimento in un contesto che sia favorevole agli studenti che, sempre e comunque, rimangono al centro dell’offerta formativa. Un forte driver del cambiamento ce lo aspettiamo con il trasferimento delle aree didattiche e di ricerca attualmente gravitanti nella zona di città Studi nei nuovi Campus di Lodi e dell’area ex EXPO 2015. Avremo a che fare in alcuni casi con spazi più ridotti e, a questo punto, le tecnologie saranno una risorsa strategica per la modernizzazione di ambienti di studio e ricerca, anche funzionali all’innovazione delle metodologie didattiche e al maggior coinvolgimento degli studenti nel processo di apprendimento. Stiamo studiando i modelli adottati dalle università straniere più all’avanguardia, per portare a casa esperienze e soluzioni”.
La didattica digitale aiuta a ripensare l’architettura degli Atenei offrendo concetti di modularità innovativi, capaci di conciliare ergonomia ed estetica attraverso scelte che non sono meri maquillage tecnologici. Le aule, grazie a pareti scorrevoli, lavagne e proiettori interattivi, aiutano a creare gli spazi didattici a seconda delle necessità e del numero di studenti. La possibilità di riprendere i docenti in aula, viene capitalizzata in diversi modi.
“Noi abbiamo scelto di operare su una multimedialità di qualità online – ha ribadito Elena Caldirola, manager di “Innovazione Didattica Comunicazione Digitale” dell’Università degli Studi di Pavia. I video sono un prezioso strumento per valorizzare i contenuti informativi. Un esempio? Stavamo per chiudere dei master in presenza, che insistevano su un territorio e un bacino di utenti ormai saturo mentre con le tecnologie digitali li abbiamo mantenuti e abbiamo aumentato le presenze. Non esiste cannibalizzazione perché queste attività rispondono a esigenze diverse. A tal fine, stiamo sviluppando centinaia di clip, andando a sviluppare una metodologia e una standardizzazione del servizio. La costruzione della didattica digitale richiede un processo di pianificazione partecipata, coinvolgendo distinte figure professionali: non può essere lasciata alle iniziative dei singoli. Per questo abbiamo creato uno staff dedicato, costituito da un operatore audiovideo, un regista e un coordinatore di progetto. Abbiamo coinvolto il docente, suggerendogli come trasformare la lezione in una clip di qualità. Siamo in contatto con vari atenei, come le Università del circuito Coimbra (Coimbra Group) – specialmente quella di Uppsala (Svezia) – per costruire learning space di nuova generazione. All’estero alcune realtà hanno fatto grandi progressi, lavorando sulla creazione di spazi modulari, con seggiole e tavoli dotati di rotelle, aule circolari, con lavagne interattive a scorrimento. Ogni aula è connessa e consente di attivare videoconferenze e collaborazioni online: si tratta di situazioni in cui gli studenti si sentono molto più coinvolti e in ruoli attivi nella lezione. È sempre più difficile – anno per anno – calcolare le numerosità degli studenti in aula: l’aggregazione e la disaggregazione dinamica e modulabile delle aule così come delle lavagne in rete garantisce la scalabilità necessaria, permettendo di gestire anche queste esigenze. Anche questa è una nuova frontiera della didattica digitale”.
La didattica digitale supporta la condivisione delle informazioni
“L’Università deve lavorare sull’apprendimento e non sulla diffusione di nozioni – ha raccontato Enrico Venuto, New Technologies IT Innovation Manager del Politecnico di Torino -. Nel nostro Ateneo utilizziamo le metodologie di e-learning per arricchire la didattica tradizionale di contenuti, piattaforme e strumenti per facilitare la didattica. Già dal 2010 registriamo integralmente alcuni corsi in aula per un totale di 3mila ore di lezioni all’anno, rese fruibili il giorno dopo a tutti i corsisti. Chi non ha capito o non ha potuto partecipare alla lezione ha così l’opportunità di colmare il gap e questo è indubbiamente un servizio di valore. A corredo di questo ci sono altri strumenti come forum o sistemi di condivisione dei file come, ad esempio, le slide che vengono scaricate dagli studenti e che sono nell’ordine delle migliaia. I docenti utilizzano un pen tablet da 22” che simula la lavagna di ardesia e il suo lavoro viene condiviso attraverso una serie di proiettori, salvato in automatico per essere poi distribuito al tablet o ad altri dispositivi usati dagli studenti. L’accesso a questo materiali blended learning è massivo: registriamo circa un milione di login al mese sulle nostre piattaforme e oltre 10 milioni di download all’anno. La didattica digitale sempre e comunque e va pianificata, per evitare lo shadow IT, ovvero l’innovazione lasciata all’iniziativa privata che può portare soluzioni e sistemi difficili da governare, regolamentare e mettere in sicurezza”.
Tra le soluzioni più innovative adottate dall’Ateneo Torinese una app che conta oltre 30mila installazioni e su cui sono stati innestati tantissimi servizi che oggi supportano gli studenti nei loro percorsi di studio. Maggiori dettagli, nella videointervista: