Umberto Bertelè, professore emerito al Politecnico di Milano, è autore di “Strategia”, edizioni Egea, disponibile nella seconda edizione, focalizzata sulla trasformazione digitale.
Le estorsioni ci sono sempre state, accompagnate dalla richiesta di modalità di pagamento – da parte delle vittime – che rendessero difficile risalire agli autori delle estorsioni stesse.
Gli autori: talora gruppi “formalmente” malavitosi, con le loro offerte di “protezione”; talaltra politici o amministratori pubblici “ufficialmente” onesti, utilizzando i loro poteri di rallentare i pagamenti o di accelerare le autorizzazioni; talaltra ancora singole persone, anch’esse “ufficialmente” oneste, venute ad esempio in possesso (deliberatamente o casualmente) di fotografie o documenti in grado di danneggiare l’immagine o di creare le condizioni per verifiche fiscali o giudiziarie.
Le modalità di pagamento: le buste ripiene di contanti da consegnare furtivamente o i depositi in conti esteri ritenuti “segreti”.
Così era fino a poco tempo fa, ma ora l’innovazione digitale sta cambiando le cose anche in questo ambito, come in moltissimi altri. A fianco delle estorsioni “brick & mortar”, che continuano a esserci, crescono le “cyber extortion”, favorite dalla professionalità degli hacker. E al posto dei conti svizzeri, dopo la caduta del segreto bancario, c’è il “bitcoin”: che ha un grado di segretezza almeno per ora molto elevato e che per questa ragione sembra giocare un ruolo di grande rilievo nel cosiddetto “dark web”.
È difficile stabilire l’ampiezza del fenomeno, perché le vittime – soprattutto se decidono di pagare – non vogliono pubblicità. Ma colpisce come i tentativi di “cyber extorsion” (lo evidenziava un recente articolo del WSJ) siano stati diretti anche a imprese rilevanti come Netflix e HBO: con la minaccia di rendere gratuitamente disponibili in rete gli ultimi episodi di loro serie di grande successo, “carpiti” agli studios hollywoodiani che ne stavano curando l’editing finale.