Pierluigi Paracchi è oggi Chairman e Ceo di Genenta Science, una startup che sta sviluppando una terapia genica contro i tumori, fondata a luglio 2014 dall’ospedale San Raffaele di Milano insieme agli scienziati Luigi Naldini, direttore del TIGET (Istituto Telethon – San Raffaele per la Terapia Genica) di Milano, e Bernhard Gentner, ematologo e ricercatore nello stesso TIGET. A cinque mesi di vita, Genenta Science ha completato il primo round di investimento raccogliendo 6,2 milioni di euro.
Nel passato Paracchi ha collezionato diverse storie di successo, tra cui quella di EOS (Ethical Oncology Science), società biofarmaceutica milanese ceduta nel novembre 2013 a Clovis Oncology (azienda biotech statunitense quotata al Nasdaq) per 420 milioni di dollari (ne avevamo parlato nel 2014). Paracchi ha cominciato a lavorare nel settore del venture capital nel 2002, nel periodo immediatamente successivo all’esplosione della bolla delle dot-com.
«Il primo obiettivo mio e del mio socio fu quello di convincere gli investitori a fornirci dei capitali da investire in innovazione. Non era un messaggio facile da fare passare in quel momento storico; si trattava di partire dalla ricerca scientifica e universitaria italiana e trasformarla in un’operazione di investimento di successo», ha affermato intervenendo a un incontro della Digital Innovation Academy della School of Management del Politecnico di Milano.
Con Quantica SGR, e il primo fondo, Principia I, riesce a raccogliere 25 milioni di euro in un periodo in cui il mercato del venture capital italiano faceva fatica a realizzare nel complesso 100 milioni di euro di investimento. «Ero convinto, a quel tempo, che il mercato del venture fosse destinato a decollare», racconta. «Invece non si è sviluppato particolarmente: sono passati oltre 10 anni e in Italia si fa fatica a raggiungere la cifra di 100 milioni di euro investiti in startup: questo è un limite enorme, poiché quando si vuole fare innovazione il capitale, la finanza è uno degli elementi fondanti», ha sottolineato.
La società di venture capital di Paracchi ha cominciato a investire in diversi settori, ma quello che si è rivelato più solido come qualità del “deal flow” è stato quello delle scienze della vita. In particolare, su 10 imprese in cui Quantica ha investito, 6 sono state abbandonate e 4 sono riuscite a ottenere un exit di valore. «Riuscire a disinvestire in un’impresa non è né semplice né scontato ed è la vera essenza del mestiere», ha aggiunto Paracchi.
Il caso di maggior successo che Quantica ha finanziato è stata la società di biotecnologie Eos; ancor più nota (ma con ritorni economici inferiori) è Banzai, società poi quotatasi di recente alla Borsa di Milano con una capitalizzazione di 250 milioni di euro.
«Ho poi lasciato l’attività di venture capital perché in Italia la trasformazione della tecnologia in business su cui investire è passaggio particolarmente complesso a causa della scarsa cultura imprenditoriale. Si tratta di uno dei principali elementi di difficoltà che è emerso in questi anni per tutti quelli che hanno provato a fare venture capital in Italia. Ho visto nella chiusura del gap un’opportunità e sono tornato a fare l’imprenditore».
Paracchi ha proseguito: «L’investimento medio in Startup in Italia è di 300-350 mila euro, e queste misere somme difficilmente permettono di arrivare alla fase denominata Proof of Concept (POC) del prodotto. Quando all’inventore si sommano capacità imprenditoriali siamo di fronte ad un unicum, come ad esempio un Bill Gates o uno Steve Jobs. Nella quasi totalità degli altri casi, a competenze tecnologiche vanno affiancate quelle imprenditoriali. A pari livello di peso e importanza. La finanza è sempre più un elemento essenziale per fare innovazione a livello competitivo: alle Startup occorre un investimento notevole per poter competere a livello globale».
Un momento favorevole per l’Italia
Per gli investitori e per le Startup questo è comunque un momento di enorme fermento in Italia. Nel nostro Paese, infatti, sono presenti imprenditori o ex imprenditori che stanno guardando con molta attenzione agli investimenti in imprese innovative private. «Si tratta di investitori che non mirano solo alla pura e semplice diversificazione del proprio risparmio ma vogliono vivere direttamente la storia imprenditoriale. Di converso, questi stessi investitori percepiscono la sottoscrizione di un fondo di venture capital come una black box dove si devono affidare a terzi gestori ma dove non vivono la storia dell’azienda».
Costruire una Startup di successo è ovviamente una sfida enorme, richiede sia un’idea, che deve essere unica, originale e possibilmente difendibile (brevetto), che un team in grado di eseguire l’idea stessa.
«In ambito biotecnologico, così come in molti altri settori, le grandi corporation hanno in parte abdicato al loro ruolo di innovatore: hanno preferito rinunciare alla Ricerca & Sviluppo, rischiosa, perché riescono comunque a sopravvivere grazie al loro posizionamento consolidato sul mercato finale, hanno forza produttiva e distributiva e branding. R&D e innovazione rappresentano un rischio per i manager delle multinazionali: innovazione è uguale al rischio, rischio vuol dire possibile insuccesso, insuccesso è uguale a stop alla carriera», continua Paracchi, che conclude: «queste stesse grandi aziende sono quindi disposte a pagare molto a venture capitalist e imprenditori quando il prodotto è validato piuttosto che assumersi il rischio iniziale di innovare. Ciò ha creato opportunità e spazio per venture capital e nuovi imprenditori».