Non esistono un vecchio e un nuovo modo di fare IT. Né la vera, famigerata disruption nasce dalla completa sostituzione delle architetture tradizionali con approcci Cloud e SaaS (Software as a Service). È piuttosto dall’integrazione delle tecnologie che appartengono all’uno e all’altro ambito che discende la possibilità di attuare un vero cambiamento organizzativo, culturale e quindi di business.
Dunque meglio non sottovalutare gli investimenti sull’on premise, dato che è dal massimo efficientamento dei sistemi core che si possono ricavare risorse per muovere i passi verso i territori inesplorati della digital transformation. Senza contare che un gap eccessivo tra le piattaforme rischia di rallentare o vanificare anche gli sforzi fatti nelle aree più innovative dei processi e delle proposizioni sull’onda degli stimoli provenienti dalle tecnologie mobile, social e analytics. Una filosofia che si riassume nel cosiddetto Bimodal IT, al centro della relazione che ha tenuto Massimo Pezzini, VP e Fellow Researcher di Gartner, in occasione dell’IBM Technical Day, di scena a Segrate a settembre. L’evento dedicato dalla filiale italiana di Big Blue a partner e clienti è stato infatti tutto incentrato sulla capacità delle nuove soluzioni di riconfigurare il modo in cui dati e applicazioni possono essere utilizzati per dare nuova linfa al business, evidenziando insight, scenari e roadmap per supportare le decisioni strategiche del management. Pezzini ha in questo senso parlato di come oggi il successo di un’organizzazione sia determinato dalla sua capacità di muoversi parallelamente sui binari del modo Uno – l’approccio tradizionale – e del modo Due, basato sullo sfruttamento delle componenti più innovative del digitale.
«Così come conduciamo attività che hanno per unico obiettivo la predicibilità del risultato, ci sono aree in cui non è possibile prevedere e pianificare azioni e
investimenti, perché non esiste una serie storica con relazioni di causa ed effetto a cui fare riferimento», ha spiegato Pezzini. «Il modo Due è per l’appunto sperimentazione, e implica anche possibilità di fallire, purché accada alla svelta, in modo da validare le opportunità intraviste, capire se il loro sviluppo genera beneficio per il business ed eventualmente trasferire gli output come pratiche aziendali. L’efficacia di questo approccio si misura non solo sul piano del fatturato, ma anche rispetto ad asset intangibili come brand equity, soddisfazione dei clienti e miglioramento della user experience dei collaboratori». Per esempio, nota l’esperto di Gartner, è davvero necessario che le banche investano nel mobile? O che la Pubblica amministrazione punti sui social? Non esistono risposte univoche a queste domande. Tutto ciò che un’organizzazione può fare, soprattutto se incalzata dalla concorrenza di nuovi operatori che fanno dell’agilità il proprio atout, è sperimentare, individuare le best practice che combinano in maniera coerente le diverse focalizzazioni dell’azienda, offrendo al cliente l’esperienza più intuitiva e di maggior valore possibile.
I falsi miti dell’IT Bimodale
«Detto questo», ha aggiunto Pezzini, «bisogna sfatare diversi miti rispetto alle definizioni di Bimodal IT: innanzitutto agile e DevOps (development + operations, ndr) non sono sinonimi, così come Bimodal non significa semplicemente sviluppo di software. Il modo Due non è meno rigoroso o necessariamente più veloce del modo Uno, che non è per forza all’insegna della staticità. Ma la cosa più importante è che il modo Uno non scomparirà, e anzi richiede continua innovazione. Bisogna poi creare metriche e incentivi che mettano a fattor comune le capacità delle due anime dell’approccio bimodale e bilanciare i budget per evitare disconnessioni e debiti tecnici tra le soluzioni dell’una e dell’altra. Congelare gli investimenti sull’IT core è infatti una trappola mortale, perché non innovare, aprendoli, i sistemi legacy, conduce all’incapacità di portare avanti sperimentazioni sul Cloud. Come si attua concretamente? In piccola scala, non si può rivoluzionare tutto e i progetti bimodali vanno avviati all’interno di contesti specifici per generare curve di apprendimento in modo da allargare in seguito l’ambito applicativo delle funzioni IT».
«Garantire la resilienza del core business facendola convivere con le logiche del time to market e lo sviluppo di nuove applicazioni presuppone un’architettura IT che sia un giusto blend tra soluzioni native del Cloud e tecnologie on premise», ha aggiunto Stefano Rebattoni, Global Technology Services di IBM Italia. «Dobbiamo abbattere il limite del conosciuto con nuovi paradigmi: ovvero è necessario sperimentare sul campo, provare e fallire, imparare. Servono ovviamente anche le giuste risorse, ed è per questo che stiamo formando 200 neolaureati perché siano di supporto alle aziende che intendono percorrere la strada del Bimodal IT attraverso il Cloud».