Uno dei processi davvero rivoluzionati dalla trasformazione digitale è quello per identificare e certificare l’identità di chi sta diventando cliente: una fase chiamata in termini tecnici “client onboarding”, o semplicemente onboarding, che in molti settori ha forti impatti su customer experience, compliance e cybersecurity. E le tecnologie digitali sono il giusto supporto per eliminare finalmente la carta da questo processo, rendendolo più semplice per il cliente e più efficiente per l’azienda.
Questi i temi del workshop “HowTech – Identificazione, firme elettroniche e onboarding: gli strumenti per fare business”, organizzato da Intesa SpA (Gruppo IBM) nell’ambito dell’IBM Think 2018 a Milano. «Si parla tanto di tecnologie digitali perché sono strumenti potentissimi per migliorare o cambiare i processi, o addirittura il modello di business, ma vanno utilizzate con tre “parole d’ordine”: compliance, governance e security – ha spiegato Emilio Baselice, Direttore Generale di Intesa -. E cioè nel rispetto di norme e regolamenti, mantenendo il controllo dei processi, e proteggendo dati e informazioni».
Anche nell’era digitale ci sono valori che non si acquistano e non si perdono in pochi giorni, e uno è l’affidabilità, sottolinea Baselice. «Per essere una “digital trusted enterprise” occorre che tutte le attività di gestione delle transazioni digitali abbiano una certificazione di compliance: firme, autenticazione, onboarding, documenti, workflow, gestione degli e-payment».
L’esempio del processo di vendita
L’onboarding digitale fa parte del concetto di DTM (Digital Transaction Management), che non vale solo per i clienti finali, ma può essere applicato in varie funzioni aziendali, tra cui legal, HR, marketing, finance, vendite, supporto, aggiunge Franco Tafini, Security Solution Leader di Intesa.
«Prendiamo il processo di vendita: il problema è la carta. Si fanno tanti errori, l’experience è carente, le attività sono manuali e disconnesse dai sistemi, i dati spesso incompleti. Se il processo invece si supporta con il DTM, ogni passaggio è tracciabile (a prova di controlli e audit), il sistema guida l’utente, non ci sono blocchi, coinvolgere il cliente è facile su qualsiasi device, l’accesso avviene in sicurezza, e poi c’è l’integrazione con gli altri sistemi aziendali».
L’uso dell’Internet of Things per l’identificazione
Il DTM però richiede soluzioni per l’autenticazione sicura indipendenti da device e piattaforme, e adattabili al contesto (geolocalizzazione, ora, giorno, device reputation, fraud detection), magari basate su tecnologie di ultima frontiera come videoidentificazione e biometria. «Intesa può offrire tra le altre cose la firma digitale, ormai abilitata su qualunque device e integrabile con tutti i sistemi in-formativi più diffusi, la piattaforma Intesa Trust Network, e consulenza su best practice e compliance».
Tafini si è soffermato in particolare sull’uso dell’Internet of Things per l’identificazione: «Il nostro approccio all’IoT è semplice: le trusted identities sono legate alle secure transactions, se puoi fidarti dell’identità puoi fidarti della transazione». L’IoT però crea anche nuove criticità di sicurezza, dovute tra l’altro a varietà di device e piattaforme diversi, carenza di standard, percorsi e collocazioni fisiche dei dati, permessi d’accesso. «Occorre creare una “IoT Security Platform”, basata su un ecosistema “trusted” che attribuisce una trusted identity a ogni device, centralizza la gestione di autenticazioni e autorizzazioni, gestisce ambienti eterogenei grazie a strumenti hardware e software-indipendent, ed evolve con aggiornamenti on-demand».
Mettere in piedi una IoT security platform, sottolinea Tafini, è un vero progetto, con tutte le classiche fasi – scegliere i partner tecnologici, il modello di deployment, definire un prototipo, e così via. Si tratta di una piattaforma diversa per ogni azienda: è importante capire per ciascuna i rischi e minacce dei vari tipi di flussi di dati e punti di controllo delle transazioni. «Per rispondere, Intesa propone soluzioni di trusted identity e il know-how nella messa in sicurezza dei flussi di dati. In pratica noi forniamo trust, cioè allestiamo l’ecosistema “trusted” che garantisce le attività in ambienti a rischio più o meno alto».
Sorgenia, “il limite è la fantasia”
Al workshop hanno parlato anche alcune aziende clienti di Intesa. Una è Sorgenia, utility italiana che si definisce “digital energy company”: «Usiamo sistematicamente il digitale per automatizzare i processi e renderli più controllabili – ha spiegato in video l’ICT Director Alessandro Bertoli -. In particolare da poco con Intesa abbiamo automatizzato la stesura dei contratti di agenzia nella rete di vendita sul territorio. Parliamo di 30mila documenti/anno che erano su carta, in un processo che prevedeva molta gestione manuale con poca efficienza, mentre oggi è completamente digitalizzato, con firma e conservazione digitale. Il progetto è durato un mese e mezzo, oggi siamo autonomi e adattiamo il processo man mano che cambia il business: il solo limite è la fantasia, oltre naturalmente a normative e sicurezza dei dati».
Binck Italia: «Una rivoluzione: eliminati carta ed errori manuali»
Per Binck Italia ha parlato il Direttore Generale Vincenzo Tedeschi. «BinckBank è tra le prime cinque banche europee di trading online, con casamadre olandese: in Italia abbiamo 7500 clienti che nel 2017 hanno fatto 660mila operazioni. Non abbiamo reti di promotori, l’unico canale è il web».
La procedura di onboarding sul sito è quindi di importanza strategica, e da marzo è stata totalmente digitalizzata. «Sembra strano per una banca online, ma prima l’onboarding prevedeva molta carta, perché tutti i meccanismi di strong authentication digitale presuppongono l’identificazione del cliente. Ora si apre il conto senza stampare nulla: si compila il form, si caricano i documenti necessari, si verifica lo smartphone via SMS, si firma digitalmente il contratto, e si riceve l’IBAN per il primo bonifico».
Tedeschi parla di una vera rivoluzione. «Non abbiamo più carta, l’archiviazione è più efficiente, gli errori manuali sono spariti: il controllo dei dati è automatico, e il database è “pulito”. Il cliente inserisce i dati, noi li passiamo a Intesa che fa il contratto e lo fa firmare, poi noi apponiamo la firma digitale dell’AD, il legale rappresentante della banca». Con il nuovo onboarding il tasso di conversione è passato da meno del 30 al 46%, il 69% di chi ha aperto il conto lo attiva, e il 75% di questi riceve l’IBAN lo stesso giorno. «Abbiamo eliminato il dipartimento sales, che chiamava i lead per aiutarli a completare il processo. Le due persone che lo componevano ora assistono i neo-clienti nei primi mesi di utilizzo dei nostri strumenti».
Telepass, l’idea dell’onboarding come servizio
In Telepass invece la trasformazione digitale sta supportando l’ampliamento del business dai pedaggi in autostrada a qualsiasi pagamento per la mobilità, ha spiegato il CEO Gabriele Benedetto. «In questo quadro con la digitalizzazione del processo di acquisizione, i nuovi clienti non devono più andare ai “Punti Blu”. La procedura è stata semplificata, l’attivazione dei servizi è più veloce, la customer experience è migliore, e abbiamo eliminato la carta». E questo è solo l’inizio: «Possiamo offrire l’onboarding digitale come servizio», osserva Benedetto citando ad esempio gli operatori di car sharing: «Oggi ciascuno ha la sua app, il suo contratto, le sue procedure d’iscrizione: Telepass può dire loro ‘il cliente l’abbiamo già identificato noi, possiamo fare l’onboarding per tutti voi’».
Un altro aspetto importante è quello dei fattori favorevoli e degli ostacoli durante il progetto di onboarding, su cui si è soffermato Massimo Dallara, General Manager di Easydrive, società del gruppo FCA che fornisce servizi per automobilisti e concessionari. «Abbiamo digitalizzato la gestione delle pratiche amministrative di acquisto dell’auto, riducendo del 25% il tempo di consegna. Il fattore esterno più critico era interfacciarsi con enti come Motorizzazione o PRA, ancora in gran parte gestiti con la carta, quello interno erano le persone in contatto diretto con i clienti, che dovevamo “portare a bordo” per forza. Ma non è stato difficile: la soluzione digitale è stata subito percepita come qualcosa di immediato da usare, che riproduce il processo che prima era su carta».
IBM, la blockchain per “certificare” l’identità
Simone Bonetti, Blockchain Advisor di IBM, ha concluso il workshop parlando dell’uso delle tecnologie blockchain per certificare le identità su piattaforme digitali. «Aggregando servizi si possono proporre esperienze complessive, in cui il pagamento è solo un tassello. Pensiamo al retail, alla possibilità di pagare online e ritirare nel punto vendita, magari di un altro marchio. Tutto ciò si poggia sul concetto di KYC (know your customer), cioè sul processo di identificazione e verifica dell’identità di un cliente».
Concetto che secondo molti si sposa bene con quello di registro distribuito, il cuore della blockchain. «Combinando KYC e blockchain posso eliminare tutte le duplicazioni di certificazione d’identità di un cliente, pensate alle situazioni in cui nella stessa azienda o istituzione vi chiedono un documento ogni volta che accedete a un servizio. Inoltre posso distribuire aggiornamenti sui dati del cliente in tempo reale, e mantenere un archivio di tutti i documenti e attività di compliance per ogni cliente».
Bonetti ha citato Credit Mutuel Arkea, che ha usato le soluzioni Blockchain di IBM per un progetto pilota di centralizzazione delle informazioni KYC, in modo da chiedere al cliente i documenti una volta sola, con l’opportunità di “vendere” i servizi di garanzia di identità a terze parti. «L’uso di blockchain per la trusted identity comporta benefici per tutti: le persone (“detentori” dell’identità), i certificatori, e i verificatori di identità. Anche la Comunità Europea lo sta promuovendo: 22 paesi hanno firmato per creare una European Blockchain Partnership».