Gli eventi estremi legati al cambiamento climatico, inevitabilmente seguiti dalla conta dei danni e delle vittime, sono ormai una costante nei notiziari, che sempre più spesso ci mostrano le terribili immagini dei danni causati da piogge torrenziali, intense grandinate, venti forti, ondate di calore, mareggiate e altri fenomeni senza precedenti.
Gli impatti e le perdite economiche riguardano singoli cittadini, amministrazioni pubbliche e le imprese, e non solo quelle operano sul territorio interessato dal disastro, perché in un mondo globalizzato e interconnesso le ripercussioni si allargano a macchia d’olio.
Una prolungata siccità, per fare un esempio, ha ridotto al tal punto la profondità del Canale di Panama da mettere in crisi la logistica globale, dato che circa il 55% di tutte le navi portacontainer che si sposta dall’Asia agli Stati Uniti passa attraverso il Canale di Panama: più di 13.000 navi attraversano il canale ogni anno, servendo 170 paesi e collegando quasi 2.000 porti, scrive in un articolo BCG. Dallo scorso ottobre il numero di navi autorizzate a passare è stato limitato a quelle con minor pescaggio. Come conseguenza dei bassi livelli di acqua, definiti “senza precedenti”, il numero di slot di prenotazione sta venendo progressivamente ridotto, e si prevede che a febbraio 2024 ne saranno disponibili solo 18, metà del normale.
La conseguenza? Aumento del costo di trasporto delle merci in tutto il mondo e ritardi nell’arrivo di alcuni beni a destinazione.
Questo esempio dimostra che cambiamenti climatici sono oggi un rischio aggiuntivo per le imprese, anzi, una delle principali minacce, come evidenzia il Global Risks Report 2023 del World Economic Forum. Un tema che i business leader devono affrontare, ma su cui c’è ancora molto bisogno di informazioni e strumenti da mettere in campo: il 70% dei rispondenti valuta le misure esistenti per prevenire o prepararsi ai cambiamenti climatici come “inefficaci” o “altamente inefficaci”.
Alcuni studi provano a misurare le conseguenze economiche, come l’Agenzia Europea dell’Ambiente, che ha stimato che in Europa eventi climatici estremi come tempeste, ondate di caldo e inondazioni hanno causato negli ultimi 40 anni tra le 85 e le 145 mila vittime e una perdita economica dell’ordine di 500 miliardi di euro. In termini assoluti, le perdite economiche più elevate nel periodo 1980-2020 sono state registrate in Germania, seguite da Francia e poi Italia.
Un altro dato molto interessante è che appena il 23% delle perdite totali era assicurato.
Un’impresa italiana su 4 impattata dal cambiamento climatico
Come stanno reagendo le aziende di fronte alle minacce del cambiamento climatico? Diversi studi sondano la percezione dei manager confermando una forte preoccupazione circa l’esposizione ai rischi.
Un recente sondaggio realizzato da Assolombarda, Banca d’Italia e Confindustria Lombardia (“Il cambiamento climatico e le strategie delle imprese”) rileva che quasi un’impresa italiana su quattro dichiara di essere stata interessata direttamente o indirettamente da eventi naturali estremi, come alluvioni e tempeste, nel quinquennio 2017-2021.
Ancora, un’indagine Capterra su CEO e dirigenti di 266 PMI italiane che lavorano in un ufficio fisico conferma che il 79% delle aziende è preoccupato per l’impatto del cambiamento climatico sulla propria attività.
Ancora più alti i dati di uno Studio Deloitte a livello globale. Il 97% delle aziende dichiara di avere già risentito degli impatti negativi dei cambiamenti climatici, otto dirigenti su dieci affermano di essere stati personalmente colpiti da eventi di questo tipo nell’ultimo anno.
Come dovrebbero agire i business leader
È dunque tempo di agire. Ogni nazione, ogni persona e ogni azienda può e deve fare la sua parte impegnandosi nel ridurre la propria impronta ecologica, e a oggi questo sforzo appare largamente insufficiente, con discussioni che si concentrano, e si arenano, su chi pagherà per le soluzioni a basso contenuto di carbonio. Nel frattempo, dalle infrastrutture danneggiate ai raccolti decimati, i costi del non agire continuano a crescere.
Per i business leader è diventato imperativo affrontare da subito il tema in modo sistematico, per garantire alla propria organizzazione resilienza.
Secondo Deloitte, i C-Level dovrebbero ormai considerare l’impatto del cambiamento climatico in ogni aspetto del business, e questo per molti richiede una trasformazione profonda del modello di business, con implicazioni per gli acquisti, il talento, la catena di fornitura, lo sviluppo del prodotto, le relazioni con i clienti e altro ancora. Questo richiede la definizione di nuovi processi e un cambio di mentalità nelle persone dell’azienda, nei suoi fornitori e nei suoi clienti.
Da dove iniziare? Il primo passo, come sempre, è misurare. Le aziende dovrebbero definire metriche climatiche con lo stesso rigore con cui vengono definiti gli altri KPI operativi. I controlli, la supervisione della gestione e le procedure di Risk Management dovrebbero essere paralleli a quelli utilizzati per gli altri indicatori chiave di performance. Una definizione e un monitoraggio accurati delle metriche climatiche qualitative e quantitative più importanti aiutano a comprendere e comunicare le azioni effettuate e i rischi che corre l’azienda.
Va detto che non è semplice perché ancora non esistono standard consolidati a cui fare riferimento, ma solo raccomandazioni, come quelle della Commissione Europea e di altre organizzazioni internazionali. Attualmente nella maggior parte degli Stati membri dell’UE non è stato definito un meccanismo per raccogliere, valutare o segnalare le perdite economiche derivanti da eventi estremi legati al clima in modo omogeneo e con sufficienti dettagli per supportare le politiche di adattamento.
Lo studio BCG evidenzia le azioni che i leader aziendali dovrebbero mettere in campo per prevenire le interruzioni della Supply Chain, l’ambito più a rischio, come dicevamo all’inizio citando il caso del Canale di Panama. Il suggerimento è quello di diversificare le rotte di mercato e mitigare i rischi legati a tempi di attesa più lunghi e restrizioni di peso per i fondali ridotti di fiumi e canali. Significa avere più magazzini in posti differenti, utilizzare le ferrovie invece delle navi e comunicare i prezzi in modo trasparente, avvisando i clienti su eventuali costi aggiuntivi o ritardi.
I business leader dovrebbero poi far sentire la loro voce per spingere all’azione i governi e le istituzioni in occasioni come la COP28 e Davos, consapevoli che il costo di non agire ora sarà sempre più alto ogni giorno che passa. Un rapporto dell’Agenzia per la Protezione dell’Ambiente degli Stati Uniti stima, a questo proposito, che il costo sociale dell’emissione di una tonnellata di CO2 nel 2030 sarà tra i 140 e i 380 dollari.