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Business Intelligence: tutti l’apprezzano (ma Excel va ancora alla grande)

Gestire al meglio le informazioni non basta. In realtà la questione Big Data porta alla ribalta un tema critico per le aziende: raggiungere una governance dei dati, strutturati e destrutturati. Servono analisti e strumenti che aiutino a formulare una nuova rappresentazione. ICT4Executive dà voce ad alcuni professionisti che su LinkedIn hanno animato una discussione ricca di spunti

Pubblicato il 08 Apr 2015

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Intelligenza informatica al servizio del business ovvero: Business Intelligence. A fronte dello sviluppo di strumenti evoluti a supporto di una migliore gestione dei dati, però, in azienda si usa ancora Excel per la loro raccolta e rappresentazione. L’interpretazione per celle risulta il criterio più opzionato per diversi motivi.

Eppure le aziende iniziano ad essere consapevoli dei limiti dello spreadsheet.

In una discussione a commento di un nostro articolo sul livello di comprensione delle aziende in merito alla BI lanciata qualche settimana fa su LinkedIn, un gruppo di professionisti si è espresso con molta lucidità, dando luogo a una vera e propria tavola rotonda virtuale, ricca di riflessioni che abbiamo avuto l’autorizzazione a condividere con i nostri lettori.

«In cosa differiscono i Big Data dalla tradizionale Business Intelligence? Non solo nel Volume (ovviamente) e nella Varietà (dati non strutturati e semi-strutturati, assieme ai tradizionali dati strutturati conservati nei db SQL) – ha commentato Wladimiro Bedin, CEO & Founder, aKite – BEDIN Shop Systems srl – ma, soprattutto, dalla Velocità con cui è necessario analizzarli per estrarre una conoscenza capace di alimentare automaticamente i processi aziendali al mutare delle condizioni esterne».

«Se i risultati della BI su dati strutturati più o meno voluminosi venivano interpretati da un essere umano per prendere decisioni nell’arco di settimane, il Big Data management ha il compito di fornire conoscenza in secondi per alimentare automaticamente il processo aziendale (per esempio, che tipo di coupon emettere al cliente in base alla storia dei suoi acquisti, ma anche dalla sua attività social, e specialmente dei prodotti che sta acquistando ora?). Da questo punto di vista è chiaro che tra Business Intelligence e Big Data c’è un oceano, e che oggi ancora pochi retailer utilizzano i soli dati di acquisto per fare della buona e vecchia BI».


Più che Big Data, è una questione di management
Estrarre i dati dalle procedure per capire meglio i processi significa tante cose. La governance, infatti, oggi ha a che fare con una molteplicità di informazioni legate non soltanto al mondo della produzione e dei servizi, ma anche all’ascolto dei mercati in generale, e dei clienti in particolare.

Così amministrare i sistemi significa ragionare di integrazione, orchestrando i mille rivoli della multicanalità in cui transita ormai qualsiasi tipo di contenuto digitale, grazie a una multimedialità ormai diventata una commodity. A fronte di analitiche evolute che la Business Intelligence offre a imprese e organizzazioni, qual è il motivo per cui Excel va ancora alla grande?

«Il grosso problema è che chi sente l’esigenza di avere i dati della BI normalmente è un dirigente che elemosina dati dall’IT e poi se li gestisce in autonomia – ha spiegato Michele Ballarin, Senior Consultant presso SinforSas -. Usando piccoli DB Access e fogli Excel con tabelle pivot di tutti i tipi, ognuno si crea i propri report, elaborandoli come più gradisce. Non esiste ancora una standardizzazione dell’estrazione e del trattamento dei dati».

Il problema più che di standardizzazione è di governance. Elemosinare i dati è una conseguenza di una frammentazione della gestione che, pur avendo motivazioni storiche, deve essere risolta prima possibile.

«Nella grande maggioranza delle aziende mancano ancora le figure di analisti di dati – ha aggiunto Neri Barletti, IT Manager presso Phone&Go -. In generale manca ancora la cultura della data analysis. Comunque sempre più aziende se ne rendono conto e stanno provvedendo, in questo spinte anche dalla crisi: il calo di fatturati invita, per così dire, a cercare di capire meglio il proprio business».


Perché l’analisi rimane un fondamentale
Un altro tema è che gli strumenti di archiviazione, filtering e analisi sono una questione tecnologica, ma la definizione delle query deve essere progettata insieme a a chi si occupa di Business e deve prendere decisioni. È questa la collaboration aziendale che aiuta a risolvere il falso problema dei Big Data (dal momento che l’ICT ha sempre dovuto gestire una curva crescente di informazioni).

«Credo che la governance debba iniziare nella fase di raccolta ed elaborazione del dato e non si debba solo concentrare nella fase di delivery – ha precisato Giorgio Alfei, Project Manager, ICT Senior Consultant & Advisor Direzione IT-. Questo consente di centralizzare le logiche di elaborazione, generando consapevolezza a livello aziendale (non ci sono più tante versioni della verità come si suol dire) e definendo un responsabile di processo che non è più dunque, necessariamente IT. Lo stesso ricorso all’IT per la creazione di nuovi report oggi può essere risolta grazie agli strumenti di Analytics che la BI 2.0 mette a disposizione. Anche qui, un corretto modello di governance che definisce chi, a livello business, si deve occupare di fare analisi è fondamentale».

Rimane sempre il problema tra chi chiede (il manager) e chi da (l’IT), ha ribadito Ballarin. «Il manager ha in testa dei dati che chiede, che spesso non sono presenti o magari sono solamente catalogati in maniera differente, quindi tra dammi e prendi a volte si arriva con dati che non sono esattamente quelli che ci si aspettava. E poi, diciamolo, con Excel è molto facile addomesticare i dati…».

In sintesi, idealmente parlando, sarebbe il momento per i manager aziendali di mettersi a tavolino insieme all’IT per definire nuove linee di condivisione delle informazioni e di sviluppo in cui vengono definiti criteri e rappresentazioni dei dati tali per cui sia possibile implementare strumenti di BI veramente utili ed efficaci.

«Il problema è che non bastano IT ed Executive per avere una BI efficace perché di mezzo c’è l’ideazione del modello – ha precisato Graziano Previato, ICT Director, Quality Director, CTO at CSAV Agency Italy -. Oltre ovviamente al fatto che ci sono diverse metriche per la BI: c’è chi per BI intende il totale del fatturato col diagramma a torta, e chi invece l’EVA calcolato in tempo reale con la possibiltà di valutarne l’effetto al cambiare dei parametri del Business».

«Nel primo caso, anche per ottenere numeri semplici, la BI è impegnativa, sia in termini di costo (progetto, licenze, manutenzione, istruzione, etc) che di impegno nello sviluppo. Alla fine lo spreadsheet è più semplice: fai copiare i dati da qualcuno, un paio di somme/medie, e ottieni un bellissimo diagramma».

«La BI, a mio avviso, ha un senso quando viene percepita la complessità del business, si vuole una rappresentazione adeguata, e soprattutto si vuole creare valore enfatizzando i singoli, e conseguentemente dando loro la libertà di guardare i dati come risulta loro più congeniale, e dove quindi la semplicità e versatilità dello strumento diventa fondamentale (ad esempio QlikView)».

«Un aiuto sotto l’aspetto della spinta culturale potrebbero portarlo gestionali di nuova generazione (per le piccole e medie imprese, quelle fuori dal mercato degli ERP, per intenderci, dove strumenti di BI sono quasi d’obbligo, budget permettendo), che integrando già all’interno un modello base del business (che ovviamente già hanno) diffonderebbero sul grande pubblico strumenti di analisi e di scenario complessi (magari grazie a soluzioni open, come l’italiana SpagoBI), magari anche grazie a strumenti cloud… perchè no?».

La Business Intelligence è prima di tutto una questione di vision

«E’ vero – ha ribadito Ballerin -: molto spesso la BI non viene capita perfettamente dal management e serve solamente per le torte. Aggiungo, per quel che sono le mie esperienze che queste torte sono anche statiche: non ho mai incontrato nessuno che comparasse i dati con il passato e che provasse a fare proiezioni. In questo senso Excel è potentissimo».

In questi casi il problema non è tanto il capire o meno la BI e le sue potenzialità, che vanno dal report statico all’analytics, dall’analisi what-if alle famigerate balanced scorecard come strumento di CPM – ha precisato Alfei -, quanto avere competenze e metodo nell’affrontare i problemi specifici del business.

«Detto questo, la BI può aiutare in vari momenti e forme. Sono d’accordo con il commento sopra che per le PMI gli stessi strumenti operativi debbano offrire anche soluzioni di analisi (ERP, CRM analitico e via dicendo), ma non dimentichiamoci che poi a un livello di maturità maggiore c’è anche necessità di incrociare i dati e farlo richiede a quel punto un data warehouse».

«Le nostre aziende non hanno una elevata cultura IT – ha concluso Previato -: confondono troppo spesso l’informatica con l’automazione dei processi amministrativi e lì si fermano. Mediamente il valore strategico del dato è ancora lontano dalle scrivanie dei nostri amministratori/imprenditori (spesso i ruoli coincidono…)».

«La BI diventa utile nel modello di impresa di una generazione dopo: quando all’IT viene chiesto di essere elemento che porta valore al modello di Business, con ritorni in termini di governance (e quindi controllo e scelte) nonché di efficienza (complessiva) ed esplorazione di nuove aree per la delivery dei servizi».

«Oggi, volenti o nolenti, il business non può prescindere dall’IT per il suo sviluppo, e non lo scrivo per via del lavoro che faccio, ma perché l’area esperienzale delle persone si è informatizzata, amplificata da macchine come gli smarphone, i tablet e i pc di casa: chi vuole vendere deve saper attraversare il tunnel di questa esperienza e capire cosa sta succedendo e perché».

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