Cosa sarà del mio Business dopo il Coronavirus? Manager, imprenditori e leader aziendali sono chiamati a scelte importanti. In una fase così delicata e dolorosa, occorre assumere un approccio razionale, energico, senza perdere occasione per fare leva e ridurre i costi, presidiare la relazione coi clienti, estendere il nostro business nelle nuove opportunità – che ci sono – , sostenere vecchi e nuovi partner agendo su ridefinizione di business model, finanza e supply chain attraverso un uso ancora più deciso del digitale, con un nuovo mindset e un’accresciuta capacità di relazione. In questo articolo cerchiamo di passare in rassegna gli snodi più importanti da affrontare.
Come sostiene un recente articolo su Harvard Business Review, l’emergenza non porterà necessariamente a chiusure di aziende e licenziamenti. Il consiglio? Comunichiamo apertamente, condividiamo il dolore, quando emerge, coinvolgiamo collaboratori e partner nella generazione di idee, consideriamo tutte le opzioni, persino quelle meno convenzionali, e soprattutto non perdiamo mai di vista i nostri valori e la qualità delle nostre relazioni.
Guardare ai fatti, superare le trappole mentali
Qualcuno aveva capito dall’inizio del contagio in Cina che sarebbe stato un maledetto problema? Tra i pochissimi che avevano compreso, c’era stato Paul Singer, il 75-enne fondatore del fondo Elliott, che il primo febbraio aveva messo in allerta i suoi collaboratori, 473 professionisti sparsi per il mondo, segnalando che il virus era già subdolamente in circolo tra i soggetti asintomatici, consentendo al fondo di prendere opportune misure e chiudere il primo trimestre con un risultato ancora positivo del 2%.
Se il virus aveva messo ko una provincia del gigante asiatico popolosa quanto l’Italia, era molto ragionevole aspettarsi che sarebbe arrivato fin qui. Ma il resto del mondo credeva che sarebbe stata ancora una volta un’epidemia lontana, circoscritta, gestibile. Tuttavia, guardando alle modalità di diffusione del contagio – elevata asintomaticità, lunga incubazione, facile trasferimento, lunga positività dopo la scomparsa dei sintomi, variabilità dei fenomeni – era un teorema non così difficile.
Siamo però abituati a maturare opinioni in modo collettivo. Possiamo essere positivi o contrari a un punto di vista, ma solo all’interno di un’agenda e di un set di opzioni – si chiama teoria dell’Agenda Setting. Se nessuno parla di qualcosa, semplicemente questa cosa non esiste. Ciò a cui non abbiamo mai assistito nelle nostre esperienze passate, non è percepito all’orizzonte. Un nostro difetto è che ci basiamo su esperienza e opinione, non su pensiero e ragione. La lezione da Platone a Voltaire non è passata. Al contrario, è proprio il rumore generato dalla nostra forma sociale sempre più interconnessa a generare ombre e pregiudizi cognitivi, bias dicono gli anglofoni. Per liberare invece la potenza del nostro pensiero dobbiamo guardare ai fatti: torniamo umili, dimentichiamo vincoli e trappole mentali. A questo ci chiama il ruolo di leader. È questo il compito dell’Executive, maturare opinioni e prendere decisioni in controtendenza, pensando al mettere al sicuro il proprio Business dopo il Coronavirus.
Il ruolo degli Executive in tempo di Coronavirus
Infondere coraggio, tenere la rotta, agire su due binari paralleli ma interrelati che contemperino salvataggio nel breve periodo e revisione strategica nel lungo termine. Produrre nuova socializzazione e valori, creare snodi di relazione all’interno dell’azienda e con l’esterno, scegliere nuovi partner e nuovi mentor, cambiare i modelli e i benchmark. Sicuramente tutto questo ci si aspetta del top management, ma anche e soprattutto un livello di razionalità, equilibrio, selezione che sia superiore, basato su una capacità predittiva e di ridefinizione che oggi deve essere da salto con l’asta.
Dalia Molokhia, Harvard Business Publishing, ci ricorda che anche e soprattutto in questo momento di grande incertezza, la nostra chiamata è di agire. Sbaglieremo? Sicuramente, ma il nostro mestiere è Adapt and Change e ci riuscirà se lo faremo utilizzando capacità di comunicazione, empatia, trasparenza e positività.
Come si legge nel Piccolo Principe di Antoine de Saint-Exupéry, per guidare persone a costruire una barca, prima di assegnare compiti, insegna loro ad amare l’immensità senza fine del mare.
Immaginare il futuro: le variabili in gioco
Dimentichiamo per un attimo il concetto di ritorno alla normalità e le dimensioni del come e del quando. Occorre immaginare il business dopo il Coronavirus sapendo che il grado di incertezza è tale che il futuro non è modellizzabile, perché dipende da un mix troppo ampio e mutante di fattori.
Prevenzione e cura
Test rapidi e precoci, vaccini, anticorpi e siero, antivirali, antinfiammatori, mascherine e altre protezioni, app e sistemi di tracciamento, presidi medici territoriali e riorganizzazione del sistema sanitario, dotazioni di posti in terapia intensiva e respiratori, presidi sul territorio a verifica delle applicazioni delle norme, accordi con altre nazioni per la mutua assistenza nelle fasi di picco. Basterebbe metà di queste cose fatte bene e ne saremmo quasi fuori? Non proprio: non conosciamo ancora né la durata dell’immunizzazione per i guariti, né le possibilità di mutazione del virus in forme che possano scavalcare immunizzazione e vaccini per riproporsi forse con sintomatologie ancora più drammatiche e probabilmente subdole.
Organizzazione
Il nostro scenario è descritto dalla capacità da parte di chi ci governa di contemperare distanziamento fisico e sicurezza con l’apertura delle attività lavorative e personali: aziende, esercizi, servizi, trasporti, tempo libero. Un’apertura che auspichiamo possa essere per livelli articolati su una matrice granularizzata che ha per dimensioni il territorio – differenziato per indice di trasmissione “R con zero” – e presidi di sicurezza e sanitari applicati.
Tempo
Un’altra variabile importante è la velocità con la quale entrambe le cose sono gestite. Perché il range delle opzioni a disposizione di un’azienda si riduce via via che il tempo passa. C’è differenza tra una riapertura delle attività lavorative oggi oppure quando ormai la merce è deperita, i contratti di fornitura sono stati annullati con penale, il cliente ha scelto il concorrente estero al nostro posto, la gestione finanziaria si è deteriorata, i contratti di lavoro sono stati terminati, il personale è stato lasciato a casa, e così via.
Managerialità
La capacità del nostro Governo di procedere con chiarezza e linearità è cruciale per il futuro di ogni business dopo il Coronavirus, perché la certezza delle norme è ciò che consente a imprenditori e manager di definire il quadro su cui investire. Il Paese non ha una tradizione di eccellenza su questo aspetto.
Finanza
Anche qui non siamo favoriti. In Italia il quadro della stratificazione di agevolazioni prodotte in poche settimane è già paradossale per la complessità e per i costi che genera per la sua stessa gestione. E il contesto economico e finanziario internazionale ci vede come Paese target di speculazione purtroppo a causa delle nostre politiche storicamente erratiche e bassa capacità di governance degli impegni presi e delle risorse affidate.
I numeri di un disastro
Lo scenario già stimato a marzo da CERVED per le aziende Italiane è di una perdita di fatturato fino a 470 miliardi di euro nel 2020 e 172 nel 2021. E non abbiamo motivo per credere che nuove stime non possano rappresentare una situazione ancora peggiore. Soprattutto a fronte del fatto che le aziende italiane hanno subito chiusure maggiori per estensione rispetto alle omologhe di diversi Paesi esteri, perdendo quindi posizioni di mercato storiche e subendo molteplici danni in modo difficilmente rimediabile.
Il 30 marzo Confidustria segnalava la gravità della situazione di doppio shock, dal lato della domanda, con il rinvio delle decisioni di spesa da parte dei consumatori, la chiusura delle attività commerciali e l’azzeramento dei flussi turistici; dal lato dell’offerta, con il blocco di numerose attività produttive sia per decreto sia per consentire la sanificazione dei luoghi di lavoro delle imprese funzionanti. Confindustria pubblicava un report che indicava una stima di perdita sul PIL del 10% sul primo semestre e del 6% sull’anno, a condizione che da metà aprile si procedesse a una progressivo ritorno alla normalità. E soprattutto Confindustria segnalava che ogni settimana di ritardo sul rientro alla normalità avrebbe determinato un ulteriore -0,75% sul PIL. Capiamo quindi il danno di ogni minuto perso sulla riorganizzazione delle misure di presidio sanitario e di riapertura delle imprese. In termini di competitività del Paese, l’impegno maggiore per la riapertura dovrebbe essere sui settori maggiormente attivi nell’export e maggiormente esposti alla concorrenza internazionale e in genere sul comparto manifatturiero, a maggior ragione in presenza di ordinativi in obsolescenza o a rischio di cancellazione.
Il 14 aprile, il Fondo Monetario Internazionale ha sancito il peso glaciale del danno sul nostro Paese. La previsione è di -9,1% sul PIL. L’Italia è la nazione che sconta il differenziale più alto, seguita solo dalla Grecia. Ovviamente questo dramma non può essere considerato una fatalità, ma deve essere letto nella relazione tra governance pubblica, media e cultura d’impresa nella società italiana – i tre vertici tra cui si è consumato.
Next Normal: la nuova normalità e come prepararsi
Secondo un recente articolo di McKinsey, il quadro è così incerto che andrebbe configurato un modello di navigazione per frame temporali da qui a due anni, e solo al termine potremmo parlare di un Next Normal. Le grandi aziende dovrebbero organizzare al proprio interno un nerve center, coordinato da un C-level, con a bordo un project manager, un analista strategico e un esperto scientifico, in stretto contatto con i quattro comparti fondamentali in questa emergenza: supply chain, relazione col cliente, HR e finanza. Le imprese ancora più attente possono dotarsi di un plan-ahead team, incaricato di forward-looking intelligence, scenarizzazione e capacità propositiva.
Da tenere sempre sottomano: l’analisi della situazione corrente, ovvero un check-up realistico di chi siamo e cosa ci resta; scenari costantemente aggiornati; l’identificazione di percorsi e possibili obiettivi, tra cui scegliere la direzione giusta; strategie e trigger points, ovvero i punti di rottura dei diversi scenari e gli eventi limite al cui verificarsi attiveremo le misure predisposte. I possibili outcome strategici che qualsiasi azienda impattata ha di fronte sono diversi e vanno dalla ipotetica tenuta del business model, invariato fin quando possibile, ma soggetto a improvviso rischio di ristrutturazione, allo shift su modelli diversi, fino a un integrale shape a new business.
L’eventuale e futuro ritorno a una normalità, dopo il Resolve dei problemi immediati, la Resilience e un primo parziale Return all’attività, sarà su basi diverse, che McKinsey definisce di Reimagination e Reform. Quindi comunque una differente forma di business dopo il Coronavirus, basata su nuovi contesti regolamentari e competitivi.
Salvare il business dal COVID19, l’agenda del giorno 1
Ci sono molte le variabili in gioco, nuove informazioni ogni giorno e complessità da tenere sotto controllo. In un contesto di partecipazione al dolore per le perdite umane e la sofferenza, chi ha la responsabilità d’impresa deve guardare alla competitività dell’entità economica che gestisce, unitamente alla sicurezza e motivazione dei propri collaboratori. Ricapitoliamo l’agenda Executive nell’immediato:
- Presidi per la salute e la sicurezza di lavoratori, dei fornitori e dei clienti a partire da distanza fisica, igiene, mascherine, guanti, temperatura;
- smart working, a vele in poppa, per traghettarci dal telelavoro un po’ legnoso a una modalità lavorativa esponenziale, che si realizza compiutamente non solo con tecnologie e piattaforme ma anche con processi, nuovi momenti di socializzazione, un diverso mindset;
- Sostegni e agevolazioni, quindi il costante presidio delle nuove misure a supporto delle imprese;
- Gestione d’emergenza della situazione finanziaria, dal budget al cash flow.
I consigli del CFO per fronteggiare il calo di fatturato e liquidità
Andrea Pietrini, Chairman e Founder di YOURgroup, riassume le raccomandazioni per la gestione finanziaria con una una check-list per le aziende che stanno vivendo il forte e rapido calo di fatturato e liquidità. Superare questo choc è il primo passo per poter immaginare come far evolvere il proprio business dopo il Coronavirus e durante l’emergenza.
- Piano di cassa e piano finanziario, subito e su diversi scenari di riduzione del fatturato a medio termine;
- Margine di contribuzione: occorre puntare sui prodotti/servizi più redditizi e sui clienti potenzialmente meno rischiosi: non cercate di recuperare il fatturato a tutti i costi, ma sforzatevi di essere selettivi, soprattutto in ottica di rischio credito, che tenderà a salire. La liquidità diventa la priorità;
- Costi generali: occorre un’analisi e un piano per ridurli, ricordando che ci sono sempre sacche di spreco in azienda;
- Finanza agevolata e ammortizzatori sociali: azionate immediatamente tutti gli aiuti disponibili;
- Capitale circolante: massimizzate le fonti finanziarie analizzando i crediti in bonis, ma a scadenze lontane, per capire le possibilità di fattorizzazione o quelli “incagliati” su cui fare azioni attive di recupero, di vendita o di stralcio e magazzino (rivedere i prodotti fermi da tempo o a lento movimento per azioni di liquidazione);
- Attivo fisso: verificate se ci sono beni non necessari per l’impresa e utili a generare cassa straordinaria;
- Credito non utilizzato: verificate se avete disponibilità di accesso non utilizzate e azionate finanziamenti di sicurezza;
- Moratorie e rinegoziazione del debito: azionate immediatamente tutte le opportunità.
- Nuove fonti finanziarie: è il momento per avvicinarsi agli strumenti fintech, innovativi e soprattutto veloci.
In tempo di emergenza COVID, finanza vuol dire anche otto volante sugli impieghi della tesoreria, sulle valute, sui tassi, sui prezzi delle materie prime e del carburante. L’unica regola è posizionarsi in modo da minimizzare il rischio, sia che i valori risalgano, sia che scendano ancora, quindi guardare alla gestione caratteristica evitando le scommesse.
Salvare l’azienda, i punti di attenzione
Salviamo i clienti
Qual è il patrimonio più importante che abbiamo costruito prima dell’emergenza, l’azienda o i suoi clienti? Si può creare un’azienda da zero se abbiamo un portafoglio clienti. Al contrario, le aziende senza clienti falliscono. Quindi non facciamoci distrarre, è dal cliente che dobbiamo sempre ripartire e l’ultima cosa che molleremo.
Cambiare posizionamento e business model
Alcuni settori hanno ricevuto un impatto positivo dalla crisi: alimentari, digitale, delivery, sanitario, telco. Altri, molti di più, un impatto estremamente negativo: viaggi, auto e moto, abbigliamento, accessori, lusso, alberghi e turismo, arredamento, sport, cultura, tempo libero, vivaismo, cura della persona e medicina non essenziale, eventi, carburanti, ristorazione, retail, manifatturiero e prodotti e servizi per le imprese.
Si tratta, allora, di comporre una mappa in cui posizionare il proprio business e capire come indirizzarlo verso i settori favoriti dalla crisi, oggi e nei prossimi passaggi, valutando:
- Discontinuità di questo pattern rispetto al nostro posizionamento storico;
- Costo dello shift in termini di asset e competenze;
- Capacità e tempi di realizzazione del cambiamento rispetto all’evoluzione della crisi;
- Grado di reversibilità, sostenibilità e marginalità del nuovo modello nei diversi scenari;
- Punto d’arrivo a fine corsa, cioè valuterò l’opportunità della trasformazione non in ragione del primo cambiamento che affronto, ad esempio una prima innovazione nel go-to-market, bensì di accelerazione della trasformazione del modello di business, guardando già al punto d’arrivo.
Ora lo spieghiamo meglio.
Vola, non fermarti adesso
L’emergenza virus non è una parabola, cioè un’emergenza che poi riatterra sullo stesso terreno, ma una spirale di trasformazione. Quindi non torneremo alla normalità, ma a una dimensione nuova. Non sarà una dimensione “ridotta” rispetto al passato, sarà una dimensione per un certo periodo con diverse limitazioni ma da subito con nuove modalità di business. Poi la ripresa potrebbe essere ancora più drammatica che in passato. Sicuramente con maggiori disparità tecnologiche e patrimoniali.
Le aziende più diversificate (e più presenti nei settori favoriti dal COVID), più forti, più digitali e operanti in sistemi Paese meglio organizzati, prevarranno sulle altre. Si imporranno nuove regole, nuovi ordini, una nuova velocità, ancora maggiore. Le montagne russe della finanza e lo scacchiere delle agevolazioni del periodo corona virus lasceranno nuovi poveri, nuovi ricchi, nuove aggregazioni. A livello nazionale, come internazionale: micro e macro.
In definitiva, non sarà importante che un’azienda o un Paese abbia fatto il segno meno. Sarà importante quanto questo segno meno è superiore ad altri segni meno. Contano i numeri relativi.
Business Transformation: è tempo di cambiare
La trasformazione del proprio business deve avvenire oggi abbracciando l’innovazione nel modo più aggressivo.
Se il business aziendale ieri era la ristorazione, oggi si guarda immediatamente al delivery dei pasti pronti, domani si ragiona sulla realizzazione di un prodotto confezionato per la distribuzione e dopodomani si presta consulenza ad altri per lo stesso servizio, creando aggregazione, trasformando quello che è partito come un canale di test in una piattaforma. L’evoluzione sta avvenendo sotto i nostri occhi: The Fork sposta i business sul puro delivery; Comehome trasforma i party a casa in virtuali; Deliveroo e Supermercato24 già a marzo davano una crescita del 30-40%, facendo fatica a tenere dietro agli ordini; nascono nuove ghost kitchen, che sono ristoranti rivolti esclusivamente al delivery; e si affacciano nuovi servizi di consegna della spesa e di ogni altro bene consentito. Il tema per loro sarà la traiettoria di evoluzione del modello di business dopo la fase di emergenza.
E lo schema sta funzionando, secondo il Centro Studi Fipe, il 14,5% dei ristoranti si è attrezzato con servizi di delivery. Fipe, che è la Federazione Italiana dei Pubblici Esercizi, ha anche lanciato la piattaforma Ristoacasa.net, proprio per dare visibilità ai ristoranti che offrono il servizio, l’unico che permette loro di lavorare, che conta già oltre mille esercizi a metà aprile e cresce di 40/50 al giorno. Nel frattempo, società come Dishcovery e Tiller – già attive nel settore – hanno iniziato a offrire servizi di consulenza per aiutare i ristoratori nella transizione normativa e digitale.
Per chi vende formazione, il primo step può essere quello di guardare all’ecommerce di servizi di training a distanza. E successivamente di ipotizzare una prima fase in cui si continua a vendere ancora lo stesso prodotto, ma su un canale nuovo, l’online, e poi una seconda in cui viene ribaltato il modello di business, per proporsi sul mercato come provider di una piattaforma di corsi online crowdsourced oppure per offrire servizi di promozione digitale di corsi online o di finanza agevolata e crediti per la formazione o per diventare un incubatore d’imprese di formazione, fino ad aggregare gli ex concorrenti.
Un’azienda manifatturiera può spingere la leva della lead generation, eseguire questa nuova iniziativa marketing con tutta la professionalità del caso e arrivare a considerare, oltre l’ecommerce, il mondo dei marketplace. Esplorando alternativamente i canali B2C, B2B e B2B2B secondo vari modelli di partenariato e di distribuzione esponenziale. A ogni step l’azienda può decidere se continuare a risalire nel grado di gestione in zoom out, ampliando il business scope, o fermarsi e prestare lo stesso servizi ad altri, trasformandoli da concorrenti a clienti. Fino a diventare una consulting. Follia? Impossibile? E’ la storia – nel mondo pre-digital di qualche anno fa – di World Class Manufacturing di FCA, di Porsche Consulting, di FESTO Consulting, unità partite per rinnovare il modello di casa made e poi diventate fornitori di servizi per aziende prima dell’indotto e poi di qualsiasi settore.
Se queste idee sembrano troppo aggressive, si può scegliere una low key, cioè identificare tra le opzioni per il primo step evolutivo quella che si sarebbe voluto intraprendere nel passato, che frullava in testa e che era stata accantonata, presi delle attività quotidiane. In altre parole, si può selezionare il primo step laddove il piano COVID e il vecchio piano hanno una sovrapposizione. Ci si sarà comunque mossi, ma in sicurezza.
Essenzialmente, si presidia il proprio modello di business storico ma continuando ad innovare e spostando in modo progressivo il proprio posizionamento. Si fa questo beneficiando di quelle azioni di riduzione dei costi fissi, agevolazioni finanziarie e valorizzazione di opportunità che l’emergenza mette a disposizione, sia in termini di mercato che di supply chain.
L’emergenza produce anche idee per nuove startup. Voice Med, offre la possibilità di verificare se si è infetti con una semplice telefonata e ha vinto il 29 marzo 2020 il premio Save Lifes durante l’evento Hack for Italy. Il team di Roman Drokov ha cercato una soluzione semplice e veloce per aumentare il numero di test. Un software di riconoscimento vocale, aiutato dall’Intelligenza Artificiale, confronta la voce della persona da testare con quelle di persone infette, attraverso appositi marcatori vocali, fornendo una diagnosi immediata. Il software ha un’accuratezza tra l’81% e il 97% ed è possibile partecipare ai test da questo link. Voice Med non è l’unico team che lavora su quest’idea, anche la squadra di Cecilia Mascolo, professoressa di Mobile Systems al Dipartimento di Informatica e Tecnologia dell’Università di Cambridge, sta sviluppando un progetto analogo, dopo aver vinto nel 2019 un Advanced Grant dell’European Research Council da 2,5 milioni di euro. E’ possibile testare anche questo software a questo link.
Supply Chain
E’ uno dei cardini di gestione della crisi, sottoposto a diverse pressioni: domanda discontinua, risorse umane e materiali sottoposte ad incertezza, fornitori in crisi e quadro normativo in continua evoluzione.
Un recente articolo su Harvard Business Review pone l’enfasi sul balance tra la tutela delle scorte per far fronte a una domanda che può essere fluttuante e intermittente e la flessibilità che le esigenze di cash flow e di revisione del modello di business possono determinare da un momento all’altro.
Vero è anche che con l’emergenza si rendono disponibili nuove risorse per una differente supply chain:
- Asset e scorte di nuovi fornitori, disponibili per ordini cancellati da altri clienti, possono essere reimpiegati;
- Fornitori che hanno perso clienti applicano nuove campagne sales. Questo non è sciacallaggio, è fornire un’opportunità di recupero e di ripartenza su prezzi da crisi;
- Società che offrono servizi a prezzi agevolati per cogliere l’opportunità del formarsi di una nuova domanda con strategie di penetrazione anzichè di scrematura, diversamente da come farebbero in periodi di espansione della domanda;
- I vendor più brillanti rinnovano il loro catalogo mediante servitizzazione, ampliamento del servizio, cloud, per recuperare le opportunità perdute;
- Studi di consulenza e associazioni offrono check-up gratuiti, percorsi di trasformazione digitale e facilitano le partnership tra i loro clienti;
- Lavoratori non più impegnati sui business tradizionali mettono a disposizione le loro competenze e voglia di ripartire;
- Il minor tempo speso nelle attività tradizionali viene reimpiegato nella produzione di modelli di offerta meglio combinati e più agili.
Mercati consumer
Immaginare il futuro del business dopo il Coronavirus richiede di osservare le differenze fra mercati consumer e Business to Business.
Guardiamo in primis al mercato consumer, quindi al reddito degli individui e alla loro capacità di spesa e motivazione. Evitiamo ancora una volta i luoghi comuni, non tutta la popolazione si sta impoverendo, né tutte le aziende. Chi lavora nei settori coinvolti dall’emergenza è pienamente attivo, anche con straordinari. Chi è dipendente (e non è in cassa integrazione, naturalmente) migliora il livello dei propri risparmi, perché non ha spese per il tempo libero e viaggi, né di trasporti. E gli investitori privati e trader che hanno avuto la ventura di rimanere almeno in parte liquidi possono oggi investire a mercati bassi (non senza una certa dose di rischio), con una buona prospettiva di plusvalenze.
Quindi, pur nella difficoltà di descrivere il consumatore dopo la crisi, sicuramente il mercato consumer sarà più polarizzato per capacità e voglia di spesa, con differenze significative anche drammatiche nei segmenti e nei comparti, che speriamo gli interventi pubblici possano mitigare. Il tema reddituale si ibriderà con un diverso mood sociale, per cui si tratterà di tirare una riga sulle passate segmentazioni e inventarne di nuove.
I consumatori il cui livello di risparmio non è stato intaccato dalla crisi potrebbero vivere, nei passi verso una progressiva e parziale riapertura, una fase di revenge shopping – come avverte Giuliano Noci, professore di Marketing al Politecnico di Milano.
Questo spunto suggerisce che i clienti potrebbero desiderare compensare i consumi di cui si sono dovuti privare con un incremento di fashion e luxury. Ciò potrebbe estendersi anche ad altri settori, sempre per segmenti limitati di popolazione, con un incremento di spesa e con un riposizionamento verso l’alto. Tuttavia il lusso ha bisogno di un palcoscenico, preferibilmente reale, per cui fino alla riapertura degli eventi e delle occasioni di aggregazione fisica – destinato ad avvenire per ultimo – il fenomeno troverebbe un limite. A meno che abili azioni di marketing da parte dei brand non riescano a scavalcare questo vincolo creando momenti virtuali di condivisione. Pensiamo a:
- club virtuali per gli acquirenti di un certo marchio di lusso;
- benefit digitali, ad esempio viaggi e party virtuali esclusivi, magari anche con l’impiego di visori di mixed reality (pensiamo, tra i vari modelli, agli HoloLens di Microsoft).
In effetti, se i limiti alla socializzazione fisica proseguiranno per mesi, come in alcune ipotesi, a partire dall’autunno ci aspettiamo un crescente impiego di augmented reality (AR) e virtual reality (VR). I visori di mixed reality (con cui s’intendono entrambe AR e VR) sono sulla rampa di lancio da anni ma di fatto non sono ancora decollati per una domanda che almeno fino ad ora non rinunciava alla pienezza del reale, relegando queste soluzioni al di fuori dei consumi mainstream. Tra le applicazioni più apprezzate fino ad ora pensiamo ai giochi per geek oppure all’ambito industriale (training e manutenzione nei settori ad alta tecnologia). Realizzazioni di questo tipo rappresenterebbero un lascito della crisi in grado di determinare nuovi trend di consumo. Il momento sarebbe maturo anche dal punto di vista tecnologico, col continuo progresso del 5G. In altre parole, questa fase di espansione del digitale potrebbe non solo agevolare l’impiego di tecnologie che erano state finora degli appuntamenti mancati, ma anche consolidarne la presenza nella dieta mediatica e nello scheduling dei consumi giornalieri. I consumatori, avendo più tempo a disposizione da impiegare online, potrebbero provare le nuove soluzioni, registrandosi online e andando ad arricchire i database delle aziende che da tempo cercano di sviluppare il mondo digitale nei suoi paradigmi più avanzati, per interventi di consolidamento dei consumi anche successivi alla pandemia.
Anche i mondi del travelling, ristorazione, sport e tempo libero potrebbero ricevere gli effetti del revenge shopping, cioè una parte dell’offerta potrebbe riposizionarsi verso l’altro per quella porzione di clientela uscita relativamente benestante dalla crisi e desiderosa di recuperare i consumi perduti. Se ancora per un po’ di tempo questi consumi avranno dei limiti, le porzioni di essi via via accessibili potrebbero avere un posizionamento verso l’alto. Ad esempio, i ristoranti saranno aperti solo a condizione di ridurre i coperti e mettere in atto una serie di presidi, per cui ipotizziamo uno spazio di aumento del prezzo, che in parte verrà messo in relazione agli accresciuti costi diretti per coperto, in parte verrà giustificato attraverso un riposizionamento verso l’alto dell’offerta ove possibile – pochi tavoli ma con un menu, un’accoglienza, un intrattenimento speciale. Se da 20 coperti un ristorante passa a 8, perché deve dimezzare i tavoli e ridurre le persone per tavolo, per garantire la sostenibilità del proprio business, dovrà scegliere tra: ridurre il personale; rinunciare a una parte degli utili; alzare i prezzi, facendo leva sulla riduzione dell’offerta magari argomentando un menu fisso oppure una sua maggiore valorizzazione (musica dal vivo, serate a tema); oppure, all’opposto, aumentare la rotazione dei tavoli, contando su una maggiore velocità del servizio. Insomma, cambiamenti normativi che generano scelte di riposizionamento.
Nel passaggio al Next Normal rimarrà uno spazio straordinario per il digitale, rispetto al mondo pre-virus, sia perché indietro non si torna, sia perché il digitale potrà essere luogo di socializzazione e consumo se il reale non potesse offrire sufficienti libertà a causa dei nuovi vincoli normativi. Il digitale espande le opportunità rispetto alla vita normale, annulla i vincoli moltiplicando tempo e spazio e può quindi consentire un volume di esperienze e socializzazione esponenziale, una volta accettato il concetto. Perché essere a una sola sfilata di moda, quando posso essere a dieci? Perché andare in una capitale europea – ammesso che mi sia consentito – con una persona quando posso essere in un numero infinito di luoghi con mille persone? Pensiamo a servizi premium di socializzazione, sviluppo personale, commerce e tempo libero sempre più appaganti in termini di esperienza. Le attuali limitazioni ci stanno dando l’opportunità di assaggiare e immaginare questi modelli. Pertanto, la crisi potrebbe consentire la metabolizzazione della realtà virtuale e aprire spazi di mercato illimitati per le aziende che investono e per i clienti che hanno disponibilità di spesa. I nuovi consumi digitali non sarebbero necessariamente sostitutivi delle esperienze reali – quando possibile – ma potrebbero anche solo integrarle in modo interstiziale.
Tuttavia, i temi consumer emergenti in questa fase vanno anche e soprattutto nella direzione opposta rispetto al revenge shopping, quella di un consumo responsabile. La crisi sembra orientare riflessioni sulla sostenibilità del nostro sistema, che si innescano sui temi di ambiente, società ed economia circolare che caratterizzavano il dibattito internazionale in modo crescente già prima della crisi. E in questo momento in tale direzione vanno molte dichiarazioni di personaggi pubblici e dei privati cittadini. Vedremo se questi buoni propositi verranno mantenuti, dipenderà anche dalla durata della crisi, dalla sua gradualità e dal modo in cui persone, istituzioni e aziende la vivranno e coloreranno.
Già iniziano le riflessioni in tutti gli ecosistemi. Nel mondo della moda, Giorgio Armani denuncia l’eccesso di pre-collezioni e le sfarzose modalità di promozione attraverso eventi, viaggi e show diventati ormai faraonici. In una lettera a WWD, diretta ai suoi clienti americani, lo stilista spiega che questa crisi è l’opportunità per rallentare la frenesia produttiva del sistema moda, a vantaggio di una slower fashion.
Le aziende saranno a un bivio: cavalcare il desiderio di revenge oppure sottolineare la nuova consapevolezza. Sono decisioni che esse prenderanno ascoltando tutti i giorni il mood e aggiornando continuamente i loro scenari. Ferveranno dibattiti e analisi nelle board rooms, i leader faranno le loro mosse, i follower si riposizioneranno con scelte me too o contrarian. I più coraggiosi investiranno nella costruzione di nuovi modelli densi – esperienziali e sociali – intorno ai loro brand.
Mercati B2B
Che si operi in ambito Consumer o B2B, il primo step da compiere è quindi quello di digitalizzare la propria offerta, cioè consentirle di superare i vincoli spaziali e di operatività fisica. Un prodotto digitale non solo supera ogni restrizione allo spostamento fisico ma è anche infinitamente replicabile. Ed è l’occasione per accelerare quei progetti che erano già nel ventaglio delle pianificazioni strategiche e che oggi si sovrappongono perfettamente alle idee per l’emergenza COVID.
Il mondo fieristico da anni si è posto il problema della relazione tra eventi fisici e strumenti digitali. Cioè, se da un lato il digitale può ridurre l’interesse alla partecipazione ad una fiera, dall’altro può invece irrobustirne il valore aggiunto, creando un corollario di servizi e di esperienze caratterizzanti. E i modelli vincenti sono stati proprio quelli che hanno integrato il valore del digitale in modelli multicanale di visibilità e relazione nel dialogo tra espositore e clienti. Oggi quindi qualcuno è già pronto per un passaggio in sicurezza, o quasi, ai tempi del Coronavirus, andando a ribaltare da digitale corollario a digitale protagonista:
- La Design Week quest’anno non si terrà ma, mentre si ipotizza un evento diffuso per autunno, è stato annunciata una settimana tutta al digitale nei giorni 15-21 giugno sul portale it, con video on demand, live streaming, webinar, anteprime, formazione, networking, speciali dedicati a Cina e Giappone.
- Non da meno Pitti di Firenze, che aveva già lanciato una piattaforma online per l’interazione tra buyer ed espositori, videoconferenze e visite virtuali a stand e produzione. E che oggi ha stretto un accordo con l’Istituto Italiano per il Commercio Estero, che a sua volta guiderà l’ulteriore sviluppo della piattaforma, per metterla a disposizione di altri settori. Qui l’obiettivo sarà di creare un grande catalogo per scambi B2B, per consentire una continuità di relazioni alla stregua di un social network, fino a integrare funzionalità da marketplace. Insomma, avviare dei percorsi – così Carlo Ferro, presidente dell’ICE – guardando agli sviluppi del 3D, per un’interattività che oggi passa da una chat e domani potrebbe avvenire attraverso l’incontro di ologrammi.
Le aziende che servono il mercato delle imprese possono, in tempi di Coronavirus, distinguere tra due target e quindi due diverse selling proposition:
- Il target delle aziende spinte dalla crisi, cioè la cui domanda sta avendo un sostegno proprio a causa della situazione, i cui bisogni sono: l’efficientamento, il presidio della supply chain, la necessità di presidiare la forza lavoro in salute e in dimensione d’organico, lo shift su nuovi segmenti richiesti dalla crisi.
- Il target, all’opposto, delle aziende clienti colpite dalla crisi, alle quali è possibile offrire soluzioni orientate al Cost Saving, di pronta messa a terra, gestibili da un numero limitato di risorse e con basse immobilizzazioni.
Le imprese, quindi, che operano servendo l’industria e, più generalmente, in ambito B2B, potranno riposizionarsi su tre direttrici:
- Ridefinire i destinatari della propria selling proposition in base alla mappa del grado di attività, quindi focalizzare l’offerta a partire dalle aziende appartenenti ai settori trainati dalla crisi;
- Segmentare la propria offerta tra progetti a deployment veloce e non impattato dalle misure anti-COVID e progetti di lungo periodo, soggetti all’alea di un mondo che non conosciamo. Prevediamo che i primi abbiano una più facile risposta.
- Identificare i nuovi bisogni delle aziende target. Più digitale, più sicurezza sul lavoro, più concretezza, meno innovazione sul prodotto a puro effetto wow, più flessibilità, più garanzie sulla supply chain, più autonomia nella gestione e soprattutto progetti di cost saving.
Si tratta quindi di applicare un nuovo e diverso approccio alla segmentazione del mercato, attraverso una radicale rilettura della domanda.
I segmenti di mercato attivi nel corso della crisi stanno ricevendo un vero e proprio traino, con un livello di domanda che fanno addirittura fatica a soddisfare. Per queste realtà vi è l’opportunità di ampliare il proprio business scope su settori complementari lungo la filiera o a latere, se solo vengono forniti loro gli strumenti e i mezzi operativi. Ma altrettante opportunità di intervento evidenziano i settori e le imprese in sofferenza, hanno solo bisogno delle giuste risposte.
Il mercato B2B, dopo un momento di sospensione, sta ripartendo su queste tre dimensioni. Le aziende hanno inizialmente annullato meeting e progetti, come dopo una fortissima sberla. Poi si è capito che si può e si deve continuare. Ed è tornato il momento per fare scouting di nuove tecnologie e progettare innovazione. Si sono modificate le priorità e le agende dei CPO, i responsabili acquisti aziendali, e dei loro referenti interni Business, IT, Operations per guardare a progetti risintonizzati sulla nuova fase di transizione. Rallentati i progetti di lungo periodo, sospesi i progetti di espansione di valore e marginalità, si guarda a interventi di breve periodo, di implementazione semplice, resilienti, finalizzati all’accesso a nuovi canali, immediato cost saving, flessibilità, sicurezza sul lavoro e compliance, leva – anche indiretta – sui segmenti di domanda e di offerta trainati dall’emergenza.
Cost saving energetico
Gli incentivi Industry 4.0 e i progetti di ampia trasformazione digitale restano importanti ma rimangono sullo sfondo in questo momento, a fronte dell’ampiezza delle cifre messe in campo dalla crisi. I progetti sul plant rallentano e invece acquistano nuova rilevanza soluzioni veloci e pronte per portare alla riacquisizione di un vantaggio competitivo in tempi rapidi.
I CFO cercano limature ai costi e i sistemi IoT possono essere d’aiuto per monitorare infrastrutture, edifici, attività lavorative al fine di prevenire problemi di sicurezza dei lavoratori e delle unità produttive, evitare sprechi e presidiare l’efficienza mediante l’impiego di sensori. Tra le molte applicazioni, il monitoraggio dei consumi energetici e la loro gestione è in questo momento probabilmente la più richiesta, perché consente una celere riduzione dei costi, senza impatto su produttività e offerta al cliente. Ci sono società altamente specializzate, che forniscono il servizio per impianti, edifici, server e qualsiasi altra realtà. E’ il caso di Smartik, innovativa piattaforma IoT in ambito localizzazione, monitoraggio energetico e infrastrutturale, video-sorveglianza, che proprio in tempo di Coronavirus ha stretto un accordo con Ouvert, società che opera nella fornitura di servizi di energy data intelligence attraverso soluzioni IT proprietarie, per offrire congiuntamente sensori, rete, piattaforma software, dashboard per la rilevazione dei dati e una serie di suite e competenze di modellazione energetica, benchmarking, ottimizzazione, gestione conguagli e rinegoziazione.
I requisiti per la riapertura
A breve il Governo annuncerà le linee guida per la riorganizzazione della fase 2: le aziende dovranno autocertificare di essere in regola con le nuove norme per il contenimento del contagio da COVID, in materia di dotazioni dei dispositivi di sicurezza personale, sanificazione, presenza del medico e tutte le altre regole che saranno diversificate a seconda delle filiere.
Una tra le condizioni per la riapertura delle aziende dovrebbe essere la presenza di strumenti digitali per la prevenzione del contagio. appFORGOOD, società specializzata nel mondo dei wearables, dell’industrial IoT e del software industriale, ha appena lanciato nuove features per Smartphone e Tablet Android e iOS e per Smartwatch Samsung che segnalano con un allarme se la distanza tra i dipendenti scende al di sotto delle misure di sicurezza. L’azienda può anche dotare i collaboratori di un cerotto con sensore e bluetooth che misura la temperatura, comunicandola all’app. Nel caso in cui un dipendente risulti contagiato, è possibile risalire a tutti i colleghi incontrati, funzionalità chiamata appunto di contact tracing. Mentre, infatti, l’app che sta lanciando il Governo, Immuni, è indirizzata al cittadino, la soluzione appFORGOOD ha un utilizzo specifico per l’azienda, in quanto interamente amministrabile, in linea con i requisiti per l’impresa e le normative per la privacy sul posto di lavoro. Le funzionalità appFORGOOD sono integrate nel software FreeHands, già in dotazione di molte aziende per l’efficienza e la sicurezza nei posti di lavoro, con features che rilevano ad esempio incidenti a persone o guasti a macchinari e che consentono lo scambio di comunicazioni operative come il procedere di una lavorazione, la richiesta di assistenza tecnica, l’ingresso e l’uscita da un turno, la condivisione di task, il completamento di una check-list.
Il nuovo scenario
Ogni azienda, ogni imprenditore costruirà il suo scenario e lo riscriverà ogni settimana. Qui ci limitiamo a dare gli ingredienti essenziali:
- Differente contesto normativo
- Rivoluzione dello scenario competitivo internazionale. Le aziende deboli diventeranno più deboli, quelle forti più forti. Il divario sarà accresciuto da: capacità del Paese di sostenere il proprio sistema economico; equità nel farlo, anche bilanciando i diversi impatti tra i settori; grado di restrizione all’attività economica e suo prolungamento; difficoltà di supply chain. La presenza di un allineamento negativo su tutti questi aspetti sarebbe la tempesta perfetta. In Italia ne abbiamo diversi, quindi noi manager dobbiamo essere, come sempre, più bravi.
- Differenze nella domanda: aumenteranno le diseguaglianze economiche nei redditi e patrimoni di famiglie e individui; e si polarizzeranno gli approcci, tra chi ritornerà ai consumi con revenge, chi avrà uno sguardo più consapevole o intimo, frugale e chi manterrà un nuovo stile più digitale;
- Pensiero esponenziale: mai così tante persone, mai così tante competenze e conoscenza, mai così tanta comunicazione, mai così tanti uniti sullo stesso problema, mai così tanta tecnologia, mai così tanto tempo da investire, mai così tanto divario tra liquidità disponibile e debito;
- Legacy digitale post-crisi: le aziende stanno creando mondi virtuali, che una volta lanciati, continueranno ad assorbire investimenti e quindi a crescere;
- Legacy database post-crisi: i consumi digitali che stiamo incrementando lasceranno tracce, cioè i nostri nomi nei database delle aziende, che saranno trasformate in nuovi incentivi al consumo;
- Finanza: crescite e fallimenti porteranno all’aggregazione per settore e per filiera, ma anche favoriranno la crescita di start-up per i più competenti, connessi e operosi;
- La creazione dei nuovi business model proseguirà a ritmo accelerato fino al termine della crisi, con esiti imprevedibili: ogni settimana lo scenario cambia.
Covidnomics: le priorità in sintesi
Affrontiamo la crisi con energia, non perdiamone uno scampolo. In sintesi, ecco le priorità.
- Riduciamo i costi alternando finanza operativa e tecnologie come l’IoT per monitorare impianti e infrastrutture;
- Identifichiamo clienti nelle aree di traino e sui nuovi bisogni;
- Migriamo il nostro business model verso quei percorsi che avremmo realizzato comunque e che colpevolmente avevamo lasciato indietro: adesso abbiamo tempo e motivazione per aggredire l’innovazione. E poi prendiamo il passo da qui per guardare a ciò che la crisi sta mettendo in movimento;
- Rivediamo la supply chain, rispettando i nostri fornitori ma guardando anche alle nuove dinamiche dell’offerta.
È iniziato un percorso, non conosciamo il punto d’arrivo ma ci distingueremo per usare il pensiero con maggiore autonomia. Ci sono delle opportunità, non vorremmo renderci conto di non averle viste come non avevamo visto l’emergenza che arrivava.