Nestlè Waters è uno dei principali produttori mondiali di acqua in bottiglia, un bene con un grande impatto ambientale. Attraverso vari marchi, tra cui Sanpellegrino, Panna, Vera e Perrier, produce 3,2 miliardi di litri l’anno, pari a 4 milioni di pallet distribuiti in 120 Paesi. L’impatto ambientale è legato principalmente al trasporto, ma anche all’uso del PET e al consumo della fonte: oltre all’acqua imbottigliata, infatti, va considerata quella utilizzata nella linea di produzione per i lavaggi. Nestlè Waters ha stimato che il 47% della CO2 che immette nel mondo viene dal packaging, il 18% dalla produzione e il 35% dal trasporto.
«Uno dei progetti di sostenibilità che abbiamo portato avanti – afferma Marco Toppano, Direttore Supply Chain Nestlè Waters – riguarda la fonte di Santa Rosalia, in Sicilia: oggi lo stabilimento produce 120 milioni di bottiglie e copre tutto il mercato siciliano con una distanza massima di 150 km. Inoltre, per produrre un litro ne consumiamo 1,28, un valore “top in class”, che significa che negli ultimi tre anni abbiamo ridotto del 32% la quantità d’acqua aggiuntiva sprecata. Uno degli assi importanti per noi è proprio la sorgente, perché non possiamo depauperarla».
Altri assi importanti per Nestlè sono la CO2 emessa e il consumo energetico. Afferma Toppano: «Quando si parla di impatto ambientale è fondamentale misurare: dire “ho ridotto” non basta, bisogna capire di quanto. Noi utilizziamo un tool, sviluppato con la casa madre Nestlè, che ci permette di misurare il processo end-to-end, quindi dal fornitore fino alla consegna del prodotto nei 120 Paesi dove operiamo. Si parla di CO2 equivalente perché andiamo a trasformare tutto quello che è inquinante in CO2». Questa visione completa ha permesso, ad esempio, di capire che una nuova bottiglia che si riteneva meno inquinante – perchè contenente meno plastica – in realtà comportava un maggiore inquinamento, perchè il risparmio sul packaging veniva perso completamente nel trasporto».
Per quanto riguarda invece il consumo energetico delle fabbriche, Toppano afferma che «il 100% dell’energia che utilizziamo proviene da fonti rinnovabili. Non significa che abbiamo le fonti rinnovabili in tutte le fabbriche: ne abbiamo due – San Bernardo dove abbiamo il parco eolico e Pejo dove abbiamo l’impianto di biomassa –, ma abbiamo un accordo con il fornitore energetico che ci permette di utilizzare energia rinnovabile».
Il trasporto è un’altra parte importante del problema. Per quello che concerne il riempimento dei camion, Nestlè ha già raggiunto una buona saturazione, mentre è impegnata nell’incrementare l’utilizzo del treno, un mezzo il cui impatto è la metà rispetto alla strada. Afferma Toppano: «Dove è possibile utilizziamo treni completi, con 16 vagoni che contengono dalle 900 alle 1000 tonnellate, che vanno da Nord a Sud: tutta la Levissima e la Nestlè Vera, che sono prodotte nel Nord Italia arrivano al Sud con il treno. Ma abbiamo un problema: il treno parte 2/3 volte a settimana e capita di dover andare via strada per non ritardare la consegna al cliente. In Italia in questo ambito si dovrebbe fare ancora di più. Per l’export, abbiamo il 100% delle consegne in Inghilterra via treno, il 90% in Belgio, il 50% in Germania».
Ultimo asse importante è il riciclo. «Sembra strano, ma la bottiglia di PET è quella che impatta meno sull’ambiente se riciclata. Il vetro a rendere, se si fa un’analisi end to end, inquina di più. La politica del riciclo per noi è fondamentale e la spingiamo molto: negli ultimi 10 anni, con il riciclo abbiamo creato un fatturato di 2,7 mld di euro dando lavoro a 44mila persone. Per la produzione della Levissima oggi usiamo il 25% di PET riciclato».
Infine, una nota sui costi. «È inutile nascondere – conclude il manager – che i costi devono essere appropriati, perché di certo i nostri clienti non sono disposti a pagare di più per avere una supply chain eco sostenibile. Si deve riuscire a trovare una giusta combinazione di tutti i fattori».