Che piega prenderà il business durante la prossima ondata tecnologica? Negli ultimi dieci anni – anche in Italia seppure con un certo ritardo rispetto a mercati più evoluti – il Cloud ha cambiato per sempre le regole del gioco sotto diversi aspetti: flessibilità, riduzione dei costi, possibilità di sperimentare e sviluppare nuovi modelli di business senza stravolgere l’infrastruttura IT o immobilizzare risorse su progetti potenzialmente fallimentari. Ma soprattutto, il Cloud ha dato sempre più spazio alla digitalizzazione e alla dematerializzazione dei processi. È questo ciò che ha permesso alle aziende di cominciare a costruire un rapporto diretto con i propri clienti, studiandone le interazioni e le esigenze attraverso user experience sempre più appaganti e spalancando la prospettiva dell’approccio data-driven per la formulazione delle strategie di marketing su tutti i canali a disposizione, mobile in primis. Già questo cambiamento può essere definito epocale. Quali saranno dunque i prossimi passi sul piano tecnologico e su quello culturale?
Digitale sempre più spinto: l’evoluzione da azienda a piattaforma
Un’ipotesi convincente la fornisce David Moschella, Research Fellow presso il Lef (Leading Edge Forum) di Dxc Technology in un articolo apparso sul blog* del colosso dei servizi digitali pensati per il mondo enterprise – nato dalla fusione fra HPE (Hewlett Packard Enterprise ) e CSC. Secondo Moschella, che ha scritto un saggio sul tema intitolato “Seeing Digital”, sono diverse le componenti che, integrandosi in configurazioni estremamente diverse, daranno luogo alla prossima rivoluzione: machine learning, oggetti connessi e intelligenti, agenti e robot, blockchain, sistemi di riconoscimento biometrico, realtà aumentata e virtuale, il tutto sorretto dalla banda ultralarga e a bassissima latenza del 5G. Ce n’è abbastanza per far letteralmente esplodere un mondo che lo stesso Moschella definisce pervasivo, ‘embedded’, consapevole e autonomo. Se non fosse chiaro, quel mondo è prima di tutto l’azienda. Che, superando il concetto di organizzazione, punta sempre di più a diventare un catalizzatore delle soluzioni che permettono di accorciare le distanze tra management e mercato, integrando tecnologie, applicazioni, dati, processi, risorse online, competenze e persino altre organizzazioni per raggiungere la massima efficienza. In una parola, l’azienda si sta trasformando essa stessa in una piattaforma. Ed è una dimensione che si adatta perfettamente alla piccola e media impresa italiana, sia nell’ottica della specializzazione e dell’eccellenza, sia in quella della partecipazione alla creazione di distretti ed ecosistemi votati all’open innovation e all’internazionalizzazione.
Generare vantaggio competitivo in qualsiasi mercato
Proprio sul fronte internazionale, nota Moschella, la piattaforma-impresa avrà modo di sfruttare appieno le sinergie sviluppate con l’integrazione delle tecnologie digitali per semplificare le sfide che si incontrano via via di mercato in mercato. Ogni Paese ha, infatti, le proprie peculiarità, tra aspettative dei consumatori e sistemi normativi, specifici meccanismi sociali e impostazioni culturali. Elementi che nella stragrande maggioranza dei casi costringono le aziende ad aprire filiali locali e attivare operazioni la cui gestione risulta onerosa quanto complessa. La digitalizzazione spinta potrebbe consentire di appianare molte delle difficoltà derivate da questo tipo di adattamento facendo leva sia sulla semplicità degli strumenti che mettono in comunicazione processi interni e fenomeni esterni, sia soprattutto sui vantaggi che offrono intelligenza artificiale e machine learning in termini di risposte, puntuali, immediate e predittive: se il consumatore è il motore propulsivo del mercato e quindi del business stesso, riuscire a comprenderlo, seguirlo e anticiparlo anche in scenari sconosciuti significa trovare nuovo slancio rispetto ai competitor locali e globali anziché subirne l’iniziativa.
Imparare dai chi ci è già riuscito: i casi Netflix e Amazon
Moschella fa l’esempio di società che non hanno bisogno di presentazioni e che hanno già adottato da tempo la fisionomia di vere e proprie piattaforme: Netflix e Amazon. Entrambe operano su mercati eterogenei e con lo stesso incredibile successo. Questo perché fondano tutte le loro attività sulle reali esigenze del consumatore, senza più porsi il vincolo di incasellare attività e strumenti in rigide categorie funzionali e, men che meno, su supporti che possano limitare la user experience. Parlando di Netflix, per esempio, il servizio di raccomandazione di contenuti è da considerarsi upselling, una campagna promozionale o una forma evoluta di assistenza al cliente? Per l’utente finale tutto ciò non conta nulla, ma è indispensabile che i dati generati dalle sue interazioni con le interfacce (Internet, Smart TV, Smartphone) possano essere letti contestualmente da tutte le professionalità in grado di massimizzare il ritorno del servizio offerto in termini di marginalità. E questo a prescindere dalle premesse culturali ed economiche che contraddistinguono i vari mercati. Allo stesso modo, Amazon riesce a interpretare i bisogni della customer base facendo affidamento su un uso sempre più spinto e pervasivo dell’intelligenza artificiale e di progetti focalizzati su specifici obiettivi, ciascuno integrato in una piattaforma di servizi sterminata e in continua crescita. Come? Grazie al famoso modello di sviluppo basato sull’approccio ‘two-pizzas’: ogni team è composto al massimo da una dozzina di risorse (ovvero il numero di persone che può sfamarsi con un paio di pizze – americane, s’intende!) che collaborano gomito a gomito per elaborare soluzioni innovative, ultraspecializzate e abbastanza semplici per essere integrate con rapidità, grazie ad API standard, nell’ecosistema Amazon.
L’esperienza di Dxc Technology
Nella sua analisi, David Moschella fa ovviamente riferimento alla matrice che la stessa Dxc Technology ha maturato per tarare il proprio posizionamento sul mercato globale. Nato dalla fusione fra Enterprise Services di HPE (Hewlett Packard Enterprise) e CSC (Computer Sciences Corporation), il gruppo ha, infatti, dovuto operare una trasformazione estremamente complessa, dovendo affrontare sia i mutati scenari internazionali, sia l’integrazione di tecnologie e processi consolidati in entrambi i casi da oltre cinquant’anni di storia. Due realtà che, pur collaborando, hanno dato vita nel tempo a organizzazioni ciascuna con caratteristiche organizzative e operative e culture differenziate e marcate. La soluzione? Sfruttare il merger per evolversi in piattaforma, cavalcando l’onda del digitale per affrontare l’era post Cloud secondo le filosofie della flessibilità e della specializzazione. Oggi Dxc Technology, attiva anche in Italia dal 2017, è una società di servizi, tecnologicamente indipendente, fondata su un network di oltre 250 partner a livello globale, che comprende anche14 alleanze strategiche (a partire da quelle con Aws, Microsoft, ServiceNow e SAP) e 37 centri di produzione a livello internazionale caratterizzati da un modello di distribuzione dei servizi tarato sulle specifiche esigenze dei singoli mercati. Con un focus sui verticali dell’Insurance, del Travel and Transportation e del Life Sciences & Healthcare, il portafoglio di Dxc Technology comprendere interventi in nove linee: Consulting, Cloud & Workload Platforms, Workplace & Mobility, Application Services, Enterprise & Cloud Apps, Business Process Services, Big Data & Analytics, Security e Industry Solutions. Nove anime per un’unica offerta integrata e cucita di volta in volta sulla fisionomia del cliente.
*Fonte dell’articolo è il blog di DXC.