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Mariano Corso, Polimi: il lavoro nell’era digitale e come salvarlo

La quarta rivoluzione industriale ha caratteristiche peculiari ed estreme: è velocissima, pervasiva e profondamente impattante sull’intera società. Per affrontare le sfide che ci aspettano e salvaguardare l’occupazione urgono misure specifiche. Tutti sono chiamati in causa: singoli, imprese e policy maker. Ecco le 5 azioni più urgenti

Pubblicato il 13 Nov 2017

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Ormai la consapevolezza è piena: siamo di fronte a una nuova, vera rivoluzione industriale, destinata, come le precedenti, ad avere un impatto profondo sulle persone, l’economia e l’intera società. Non è la prima volta che una rivoluzione tecnologica cambia la storia dell’uomo: si parla infatti di Quarta Rivoluzione Industriale. Tuttavia, per comprendere appieno e poi affrontare le sfide che ci aspettano, non è sufficiente rifarsi alla storia e alle precedenti esperienze anche recenti.

Le prime tre rivoluzioni industriali. Dall’agricoltura ai servizi

Nelle rivoluzioni industriali del passato, automatizzare i lavori e i processi significava prevalentemente sostituire le mansioni ripetitive svolte dall’uomo con macchine più efficienti che aumentavano la produttività. In questo modo si creava ricchezza togliendo alle persone attività operative spesso sgradite.
La trasformazione nei contenuti e nei modi di lavorare, inoltre, avveniva in tempi sufficientemente lunghi per permettere alla “mano invisibile” del mercato di agire, trasformando l’aumento di ricchezza in nuovi bisogni e, conseguentemente, in nuovi lavori e professionalità.

Così nelle prime tre rivoluzioni industriali l’occupazione si è gradualmente spostata dall’agricoltura verso l’industria, e successivamente verso i servizi, continuando a creare nuova ricchezza e permettendo a un numero sempre crescente di persone di uscire dalla povertà. Un passaggio che ha fatto emergere una middle class sempre più istruita e benestante, capace di fare da collante sociale e da spinta all’affermazione della democrazia.

Tre caratteristiche peculiari della Quarta Rivoluzione Industriale

La Quarta Rivoluzione Industriale tuttavia si discosta sensibilmente da quelle precedenti, essenzialmente per tre ordini di ragioni.

Velocità: il ritmo incalzante ed esponenziale dell’innovazione non dà ai lavoratori il tempo di adattare le proprie competenze nè consente di creare nuovi bisogni e professionalità. Ne deriva innanzitutto un saldo negativo dell’occupazione: il numero di posti che si perdono che superano di gran lunga quelli che si vengono a creare. E in secondo luogo uno “spiazzamento” delle competenze: i lavoratori che perdono il proprio impiego non sono in grado di svolgere le nuove professioni di cui nel frattempo è nata l’esigenza, mentre i sistemi educativi faticano a produrre le nuove competenze con la velocità richiesta.

Pervasività: vengono sostituite non solo e non tanto le mansioni ripetitive, ma anche e soprattutto i lavori “di concetto”, andando a colpire proprio quella middle class e quei settori di terziario che erano stati avvantaggiati dalle precedenti rivoluzioni industriali. Si pensi, ad esempio, all’uso dei Big Data, cioè all’analisi automatica dei dati per interpretare e prevedere fenomeni e comportamenti, o alla multicanalità nelle banche o nel retail, dove è in atto una progressiva sostituzione di filiali e negozi fisici (e quindi di addetti e commessi) con sportelli automatizzati e canali online di eCommerce.

Profondità d’impatto: la magnitudo dell’aumento di produttività fa sì che una parte sempre minore della ricchezza creata si traduca in reddito per i lavoratori. Tale ricchezza si va concentrando in un numero sempre più limitato di “super ricchi” a detrimento della classe media, che non è più in grado di generare quei nuovi bisogni che nelle precedenti rivoluzioni industriali erano alla base dalla creazione di nuovi prodotti e servizi e quindi di occupazione e benessere sociale. La rivoluzione industriale che stiamo vivendo dunque, benché entusiasmante e in grado di creare ricchezza quanto o forse più delle altre, è però diversa. Pensare di affrontarla facendo riferimento all’esperienza delle precedenti è quanto mai illusorio e pericoloso.

Servono misure nuove e urgenti, in grado di dare risposta a quel crescente senso di ansia e disagio che già oggi è alla base di fenomeni a livello politico estremamente preoccupanti, come l’acuirsi dei populismi e dei neo nazionalismi, conseguenza della crescente rabbia delle classi medie e basse, che sfogano la loro paura verso il futuro in una crescente intolleranza verso l’altro e il diverso.

 Cosa fare per proteggere l’occupazione? I passi da compiere

Le caratteristiche peculiari ed estreme di velocità, pervasività e profondità dell’impatto della Digital Transformation nella quarta rivoluzione industriale impongono risposte specifiche e proattive a livello degli individui, delle imprese e dei policy maker.
Le persone sono le prime a dover investire in maniera continua nella propria formazione e nel continuo aggiornamento delle proprie competenze digitali e imprenditoriali, anche e soprattutto in considerazione del lavoro che svolgono. Questo è fondamentale per non lasciarsi cogliere impreparati dai cambiamenti che riguardano il proprio lavoro e che, a causa della trasformazione digitale, saranno sempre più veloci.
Le imprese devono tradurre la propria strategia in una “People First Strategy” costruendo dei piani di sviluppo delle risorse e dei profili professionali che permettano di cogliere al meglio le opportunità e gestire le sfide poste dalla Digital Transformation.
Questo significa lavorare costantemente all’individuazione delle competenze necessarie per operare, strutturando dei piani di sviluppo delle risorse umane capaci di colmare i gap riscontrati.
Le imprese dovranno agire sulla cultura aziendale, promuovendo un approccio continuo al cambiamento, alla digitalizzazione e all’innovazione, dovranno investire in ricerca e sviluppo, e ripensare il proprio modello organizzativo per sfruttare i benefici che la digitalizzazione può portare, tanto all’azienda, quanto ai dipendenti.
Per fare questo occorre mettere al centro le persone, sviluppare strategie di life-long employability, e creare, attraverso strumenti digitali e iniziative di ripensamento dei processi, organizzazioni che siano flessibili e resilienti al cambiamento.
I policy maker sono chiamati ad accompagnare il cambiamento favorendo la crescita di nuova occupazione e investendo sull’educazione e sul reskilling. In uno scenario in cui la tecnologia non solo sostituisce i lavoratori, ma se correttamente progettata, è in grado di affiancarsi a questi ultimi, potenziandone i talenti e le capacità, il ruolo dei policy maker si rivela essenziale per supportare, indirizzare e catalizzare il cambiamento.

Le azioni più urgenti

Fra le azioni che si rivelano più urgenti figurano la necessità di:

• intervenire sul sistema scolastico e universitario promuovendo lo sviluppo delle competenze digitali e imprenditoriali in tutti i curricula, non solo nell’area STEM (Science, Technology, Engineering, Math);

• promuovere l’investimento da parte delle organizzazioni in capitale umano, reskilling e programmi di sviluppo/aggiornamento delle competenze per i lavoratori maggiormente colpiti dal cambiamento;

• favorire nuove forme di organizzazione del lavoro;

• creare posti di lavoro che compensino in parte le perdite, attraverso investimenti in servizi pubblici strategici quali l’istruzione, la ricerca e i servizi alla persona;

• regolare e promuovere nuovi trend in atto nell’economia, come l’emergere del terzo settore o della sharing economy, che possono fungere da ammortizzatori capaci di indirizzare il cambiamento verso sistemi più sostenibili.

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