Forse non sarà il migliore dei mondi possibili, ma certamente questa è l’epoca migliore nella storia umana. Si può sintetizzare così il punto di partenza di tutto il lavoro di Steven Kotler, imprenditore e studioso delle connessioni tra tecnologia, psicologia, management e neuroscienze.
Nei prossimi vent’anni, dice Kotler, l’uomo potrà fare più progressi tecnologici che nei precedenti 200, e per la prima volta risolvere le esigenze vitali di ogni persona sulla Terra. Questo grazie a tre fattori abilitanti: una gamma di tecnologie a crescita esponenziale (stampa 3D, intelligenza artificiale, robotica, connessioni a banda larga, Internet ofthings e bionica); lo studio scientifico del Flow, uno stato mentale in cui l’uomo diventa cinque volte più produttivo del normale; e l’iper-connessione delle masse, con effetti benefici come il crowdfunding, il crowdsourcing e le community online.
Sono questi i concetti portanti del più recente libro di Kotler, scritto insieme a Peter H. Diamandis, dal titolo “Bold: How to Go Big, Create Wealth and Impact the World”, ed esposti dallo stesso Kotler al recente World Business Forum di Milano. «Per migliaia di anni gli unici che potevano cambiare qualcosa nel mondo erano i re. Da 200 anni hanno questo potere anche le banche, e da qualche decina d’anni anche le grandi aziende. Ma oggi per la prima volta ogni persona potenzialmente può cambiare il mondo, si può diventare miliardari aiutando un miliardo di persone».
Interfacce user-friendly, tecnologie per tutti
Cominciando dalle tecnologie, il digitale ne ha accelerato enormemente lo sviluppo. «Le “tecnologie esponenziali” sono le più potenti che il mondo
abbia mai visto. Le nanotecnologie ne sono un esempio meraviglioso, perché stanno accelerando cinque volte più velocemente rispetto alla legge di Moore: raddoppiano il loro potenziale ogni quattro mesi». Quanto alla sanità, oggi il 50% del corpo umano è rimpiazzabile da parti artificiali, e anche per questo ogni giorno ciascuno di noi guadagna 5 giorni di vita semplicemente essendo vivo. «Grazie all’intelligenza artificiale parliamo con il nostro smartphone, e due anni fa è nato Watson, un super computer in grado di diagnosticare le malattie meglio dei più bravi dottori al mondo». Secondo le statistiche i medici sbagliano diagnosi in circa il 40% dei casi, quindi l’intelligenza artificiale può rivoluzionare la sanità. «Nel giro di pochi anni probabilmente avremo questi strumenti diagnostici in Cloud e vi accederemo dallo smartphone. I benefici si sentiranno in tutto il mondo ma soprattutto in regioni come l’Africa, dove medici e infermieri scarseggiano, e gli ospedali possono essere anche a vari giorni di viaggio: questa tecnologia produrrà enormi cambiamenti e salverà molte vite».
«Ma le tecnologie non sono solo diventate esponenziali – sottolinea Kotler -. Sono anche aperte a tutti, perché hanno interfacce user-friendly, facili e comprensibili». L’esempio classico è internet: inventata nel 1971, per oltre vent’anni è stata utilizzabile solo dai militari. La svolta è stata nel 1993, quando fu inventata un’interfaccia user-friendly: il primo web browser, chiamato Mosaic. «Prima di questa evoluzione c’erano 26 siti web online, dopo ne sono nati decine di milioni».
Altre tecnologie “esponenziali” sono la robotica e la stampa 3D. Solo cinque anni fa per programmare un robot bisognava essere un tecnico specializzato, ora è stato creato il primo robot industriale con interfaccia user-friendly: è meno costoso ma soprattutto non richiede competenze specifiche.
Quanto alla stampa 3D, permette di riprodurre praticamente tutti gli oggetti riducendo di moltissimo il costo di produzione. Può creare oggetti partendo da 300 materiali diversi, dalla plastica fino a elementi elettronici e tessuti umani. «In Cina hanno da poco stampato un palazzo di 5 piani, due anni fa è stata creata la prima automobile, ci sarà un impatto molto forte anche sul mondo dei trasporti. La stampa 3D sta innescando la quarta rivoluzione industriale. È decisamente disruptive, ha un potenziale di business di miliardi e miliardi di dollari, e tutti la possono usare, proprio perché ha un’interfaccia user-friendly: basta un mouse».
Crowdsourcing: conoscenza globale e talenti nascosti
Un secondo grande fattore abilitante è l’iperconnessione delle masse. Questa è un’epoca in cui per la prima volta una persona si può rivolgere al mondo intero, via internet, per chiedere informazioni, servizi o finanziamenti. E questo dà vita alle community online e fenomeni come crowdfunding e crowdsourcing.
«Il crowdfunding può essere una soluzione per il grande problema di chi fonda una startup: i finanziamenti. Introdotto nel 2009, oggi è un business da 16 miliardi di dollari che in 10 anni può arrivare a 150/300 miliardi, cioè 10 volte l’attuale potenzialità di capitali per chi ha una buona idea».
Il Crowdsourcing invece è expertise “on demand”, fino a poco tempo fa disponibile solo su scala locale, nelle comunità e nelle aziende. Oggi invece le indicazioni degli esperti possono arrivare da qualunque parte del mondo tramire apposite piattaforme online. «Un caso interessante è Foldit, un gioco online di ripiegamento delle proteine (protein folding) creato da tesisti della Washington University – racconta Kotler -. Nel 2011 in 10 giorni migliaia di giocatori di Foldit nel mondo hanno decifrato la struttura di un virus che aveva fatto impazzire gli scienziati per 15 anni. E il bello è che il maggior contributo non è venuto da un ricercatore o un docente, ma dalla segretaria di una clinica, che ci ha lavorato nei ritagli di tempo. Insomma il Crowdsourcing globalizza l’accesso alle competenze, ma dà anche visibilità ai talenti nascosti».
Capacità di performance, analisi e decisione estreme
Il terzo fattore abilitante è il cosiddetto Flow. «I primi due fattori delineano lo scenario per cui oggi è sempre più semplice creare una startup, e passare velocemente da un’idea a un business da un miliardo di dollari. Ora vedremo come i singoli – imprenditori e manager – possono gestire tutto questo grazie a capacità di performance, analisi e decisione estremamente superiori alla media». Capacità che si ottengono appunto con il “Flow”, uno stato mentale e di coscienza in cui le persone si sentono ottimamente e rendono al meglio delle loro possibilità, e che massimizza le capacità di apprendimento, e di creatività nel senso di nuovi collegamenti tra le informazioni.
Il Flow ha iniziato a essere studiato negli ultimi 30 anni, partendo soprattutto dai risultati di sportivi (scalatori, snowboarder, surfisti, ciclisti, runner, ecc.) che in pochi anni hanno polverizzato i limiti precedenti. «Il surf per esempio è uno sport che ha già una certa tradizione, ma fino a 20 anni fa i surfisti sfidavano onde alte un metro, oggi si cimentano con onde alte anche più 30 metri».
McKinsey: tutto il lavoro di una settimana concentrato in un solo giorno
Il Flow però non ha impatti solo nello sport, ma in tutte le attività umane, e quindi ovviamente anche sul lavoro: nel business può portare enormi benefici. McKinsey ha fatto uno studio di 10 anni su oltre 5000 executive coinvolti nei suoi workshop, e ha scoperto che le persone “inflow” (in stato di flow) sono cinque volte più produttive della media.
«Ciò significa che si può lavorare solo il lunedì essendo produttivi come in una settimana lavorativa intera. Le risorse inflow processano le informazioni più velocemente e profondamente, quindi trovano più connessioni tra informazioni e generano più idee e innovazione. Il tasso di problem solving può quintuplicare: è la base per un enorme cambiamento».
Il punto però è che fino a poco tempo fa entrare in stato di Flow era pressoché casuale. Sempre secondo lo studio di McKinsey, in un ambiente di lavoro le persone riescono a “essere inflow” mediamente per meno del 10% del tempo. Se consideriamo che aumentando solo del 20% questo tempo si può raddoppiare la produttività, diventa fondamentale “amplificare” i fattori che favoriscono il Flow.
«Oggi con le moderne tecnologie di monitoraggio e di diagnostica per immagini del cervello e del corpo lo stato di Flow può essere scientificamente studiato e sfruttato, ed è per questo che è nato il Flow Genome Project di cui sono co-fondatore e direttore della ricerca».
Buone scuole, pratica continua, attesa del premio? Non bastano
Il primo punto quindi è capire quanto funzionano le forme tradizionali di motivazione, che Kotler sintetizza con la sigla M3, che sta per Mother, Musicians e Marshmellow. «Mother rappresenta l’ambiente: secondo l’opinione comune, genitori colti e benestanti e buone scuole sono fattori facilitanti di risultati eccellenti. Musicians è una metafora invece per la pratica e l’allenamento: per avere risultati eccellenti bisogna esercitarsi per ore e ore, proprio come chi studia musica. Con Marshmellow si intende l’amplificazione della gratificazione attraverso l’attesa del premio, come i bambini che devono resistere per non mangiare una caramella, in modo da gustarla di più quando avranno il permesso di mangiarla».
In realtà, però, la ricerca ha riscontrato che per il Flow questi elementi non risultano fondamentali. L’educazione non incide, e neanche la pratica. «Abbiamo individuato invece 17 fattori favorevoli (trigger) per il Flow, di cui alcuni psicologici, alcuni ambientali, alcuni sociali, cioè di gruppo, e alcuni legati alla creatività. Quelli psicologici – fortissima concentrazione, obiettivi chiari, e feedback in tempo reale – sono fondamentali, ma altri tre sono molto interessanti».
La difficoltà del compito dev’essere del 4% più alta delle nostre capacità
Uno è il cosiddetto Challenge/Skills Balance. «Per stimolare al massimo la nostra produttività, occorre che la difficoltà del compito sia leggermente più alta delle nostre capacità. Le ricerche dimostrano che questa differenza deve essere del 4%: se la difficoltà è più alta ci scoraggiamo, se è minore non ci concentriamo abbastanza. C’è un punto di equilibrio perfetto tra noia e ansia che innesca quello che gli scienziati chiamano “Flow channel”. Questo 4% di difficoltà in più ci porta fuori dalla nostra“comfort zone”, e permette di scalare e mantenere un livello alto di performance».
Il rischio, continua Kotler, è un altro potenziatore del Flow. «Può essere un rischio emozionale,fisico, creativo, ma quel che conta è che i rischi massimizzano lo sforzo personale e quindi ci mantengono“in flow”. Il rischio è l’elemento chiave che porta al successo, è un modo per portare le persone a usare in modo costruttivo la paura e cambiare l’atteggiamento mentale».
A questo si collega un ulteriore fattore abilitante: ridefinire l’impossibile. «Per decenni i fisiologi hanno ritenuto impossibile che l’uomo potesse correre un miglio in meno di 4 minuti, poi nel 1954 Roger Bannister l’ha corso in 3.59,4, e da quel momento molti atleti in pochi mesi sono riusciti a scendere sotto quel limite». Da qui è nata l’espressione “Bannister effect”: il limite fisiologico non era cambiato, ma l’atteggiamento mentale sì, e questo ha fatto la differenza. «C’è un legame fortissimo tra percezione e performance, bisogna vedere le cose come possibili e tutte le tecnologie e strumenti di cui ho parlato oggi permettono a chiunque di affrontare le sfide».
Facebook, Google, Toyota e Patagonia: tutti lavorano già sul flow
Legato a questo è un altro trigger, il concetto di “moonshot thinking”. «Non bisogna pensare di migliorare del 10%, ma di dieci volte, cioè del 1000 per cento. Nel primo caso infatti il miglioramento è incrementale, e per ottenerlo punterò sugli stessi strumenti, tecnologie e processi che uso di solito. Per migliorare di 10 volte, invece, bisogna mettere in discussione tutto, cambiare prospettiva e punto di vista, e puntare sulla creatività e sull’innovazione».
La scienza del Flow, ha concluso Kotler, è già ampiamente applicata nel business. «Alcuni colossi, come Facebook e Google, si stanno concentrando su singoli “trigger”, altri come Toyota e Patagonia, hanno già reso il Flow un componente della loro cultura aziendale. Quindi provare a sperimentare questi principi in qualche progetto pilota potrebbe non bastare in alcuni settori: magari qualche vostro concorrente è già avanti, e non avete alternative – se volete tenere il passo sugli indici di produttività – se non cominciare a fare sul serio anche voi».
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Chi è Steven Kotler
Steven Kotler è autore, giornalista e imprenditore. Le sue attività sono dedicate all’esplorazione delle connessioni tra capacità umane, tecnologia e coscienza. È coautore insieme a Peter Diamandis del bestseller “Abundance” e del recente “Bold”, nei quali si spiega come utilizzare le tecnologie esponenziali, il pensiero “in grande” e gli strumenti condivisi per migliorare gli standard di vita di miliardi di persone nei prossimi 20-30 anni. Ha inoltre scritto “The Rise of Superman”, dove spiega la scienza del Flow, uno stato di coscienza in cui l’uomo raggiunge i massimi livelli di benessere e performance. Un tema al centro delle attività del Flow Genome Project, di cui Kotler è cofounder e director.
I suoi scritti sono stati tradotti in oltre 40 lingue e pubblicati da circa 80 testate, tra cui The New York Times, Atlantic Monthly, Forbes, Wired e Time. Ha un blog su Forbes.com dal titolo “Far Frontiers,” dedicato ai temi di scienza e cultura, e in passato ha collaborato con aziende come Google, JP Morgan, Omnicom Media e Menlo Ventures.